Inaugurazione sabato 10 novembre ore 16:00 al Museo Ugo Guidi la mostra a cura e presentazione critica di Francesco Menconi
FORTE DEI MARMI – Il Museo Ugo Guidi – MUG e gli Amici del Museo Ugo Guidi Onlus presentano la 145a mostra di pittura e scultura di Alfio Bichi dal titolo “Ruggine e vino”. Le opere, alla presenza dell’artista, saranno esposte e presentate al MUG a cura e con presentazione critica di Francesco Menconi, sabato 10 novembre alle ore 16:00 a seguire parte delle opere saranno presentate al Logos Hotel, via Mazzini 153, dove resteranno visibili ad ingresso libero fino al 4 dicembre 2018. La mostra con le opere esposte al MUG saranno visitabili su prenotazione a museougoguidi@gmail.com fino alla stessa data.
Nell’occasione sarà presentato il catalogo delle opere di Alfio Bichi.
“É sempre un po’ questione di fare i conti con quello che resta, lacerti di sensi e sensazioni, brividi e ricordi si impastano, si fanno gesto e segno sopra lamiere e marmo, si fanno spazio e forma tra ossidi e ruggini. Intuizione e sua restituzione plastica si esprimono attraverso materiali già vissuti e chiamati a nuova vita, nuove possibilità. É un po’ una filosofia quella di Bichi, l’arte di camminare in equilibrio instabile tra quello che vuoi e vorresti e quel che c’è, un modo di sfangarla imparando a giocare con le carte che ti capitano in mano. Un’arte fatta di materiali poveri, inconsapevole dei suoi altissimi rimandi storici, dalle mosse linee di Medardo Rosso a quelle più studiate ma certo non meno veloci di Boccioni, dai ready-made di Duchamp fino ad approdare alle scarne e aspre opere dell’Arte Povera. Un’arte che affonda le radici in un inguaribile bisogno di muovere le mani, che guarda e cerca tra quel che altri non considerano più degno d’attenzione ritenendolo finito, inutile, senza più un uso pratico e profittevole possibile.
Un’arte degli ultimi che sa di vino, parole e rughe, un’arte fatta di ombre, di impronte, di figure appena suggerite, di colori soffiati e apparizioni fantasmatiche, macchie di Rorschach in una sorta di autopsicanalisi del quotidiano. Volti di donna indecisi tra il nascondersi e lo svelarsi. Figure che se ne vanno, quasi sempre. Tra quelli che vanno e quel che resta, dicevamo. Alfio è sensibile, prensile, ascolta, capta, accoglie e restituisce in maniera schietta, sincera, onesta. Non ci sono tradimenti nelle sue opere. Bichi crede fortemente in quello che fa, non esiste affettazione in lui, instaura con le proprie creature un rapporto di rispettosa reciprocità, le interroga, ci parla, le ascolta, cerca di interpretarne l’umore e di dar loro l’abito e la forma più giusta per esprimersi.
Alfio ha dell’artista il bisogno non la posa. Il materiale che predilige sono le lamiere di ferro, piegate, ritorte, tagliate, corrose e poi lasciate lì all’aperto per far si che il tempo concluda l’opera stendendovi sopra la propria patina. Un lavoro a quattro mani come un virtuosismo al pianoforte. Materiali sottratti all’oblio e recuperati, ripensati, ripiegati, riplasmati e riscattati. Forme nascoste trovano nelle sue mani nuovo senso, giorni nuovi, come in una sorta di archeologia del futuro. Ruggine e ferro, legno e marmo, calli alle mani e sigarette che sfumano in bocca. Potremmo definire il talento di Alfio Bichi come una capacità che nasce da un’incapacità, quella di adattarsi alle convenzioni, ai convenevoli e a quello che conviene, alla mondanità e “alle persone che profumano troppo” come dice lui stesso. Un’arte concreta, vera, sincera, che muove le mani e gli occhi attorno ai nodi del legno, sopra le corrosioni di una lamiera, tra gli avanzi di cantiere; un’arte che nasce in seno ad un’insopprimibile esigenza di fare, di comunicare, di dirsi. Perché alla fine è sempre un po’ questione di fare i conti con quel che resta anche di noi”.
Francesco Menconi