Cultura

“25%: una donna su quattro” è il nuovo libro di Erica Isotta, l’intervista

25%: una donna su quattro” è l’ultimo libro di Erica Isotta ed è un saggio che va a comprendere come conciliare le due esperienze apparentemente inavvicinabili dell’aborto spontaneo e femminismo. Erica Isotta ci ha gentilmente concesso un’intervista.

“25%: una donna su quattro” è il tuo ultimo libro, di che cosa si tratta?

Ci sono alcune storie che devono essere, non solo raccontate, ma anche scritte, per dare un senso diverso al nostro percorso di vita quotidiana. 25% è proprio questo. L’aborto spontaneo è un tema spesso ignorato, anche dal mondo femminista, nonostante la sua alta incidenza. Avere un aborto spontaneo è stata forse la prima esperienza che non ho vissuto come femminista. Non mi sono sentita solo invisibile all’ideologia con cui sono cresciuta, ma mi sono sentita abbandonata. Solo nel 2018, oltre 40’000 donne in Italia sono state dimesse per aborto spontaneo. L’aborto spontaneo resta un tabù al giorno d’oggi nonostante tocchi la vita di moltissime donne, in Italia e non solo. Spesso l’aborto spontaneo viene vissuto come un trauma, un fallimento e una sconfitta. La donna e la coppia sperimentano il lutto, a volte un senso di colpa e di impotenza. Diversai studi hanno provato di come l’aborto spontaneo minacci la salute mentale delle donne che si trovano spesso lasciate sole.

L’aborto spontaneo e il femminismo, i due temi principali trattati in questo volume, sono molto dibattuti. Come vengono affrontati in questo lavoro e in quale chiave?

Altre femministe incinte e pro-choice, che affrontano l’interruzione involontaria di una gravidanza desiderata, spesso trovano difficile concettualizzare e piangere la perdita perché abbandonate dal sistema. La poca letteratura che c’è al riguardo invita a sostituire i termini di “embrione” e “feto” con “bambino” per elaborare la perdita. Prima di vivere quest’esperienza, da femminista pro-choice quale sono, non avrei mai pensato di voler definire bambino un embrione o feto per non permettere al mio linguaggio di essere frainteso da chi invece è pro-life, anti-choice e anti-aborto. Puoi immaginare che sia impensabile per una femminista favorevole all’aborto cambiare la propria narrativa riguardo un argomento del genere solo perché personale. Per mesi non sono riuscita a processare la perdita che avevo sofferto perché non trovavo un linguaggio per tradurla senza andare contro all’ideologia con cui sono cresciuta.

Si tratta del tuo terzo libro pubblicato, come ti sei avvicinata alla scrittura?

Ho sempre amato scrivere, ma forse questo è quello che dicono tutti, vero? Il mio primo ricordo legato alla scrittura, oltre ai tantissimi diari che ho collezionato crescendo negli anni, risale all’anno 2000 quando avevo otto anni. Mia mamma aveva uno dei primi computer portatili destinati al grande pubblico e mi sono ritrovata a scrivere la storia di un alter-ego immaginario, Emma. Emma, come me aveva otto anni, e viveva ad Oslo. In qualche modo senza saperlo ero già affascinata dall’estero, caratteristica che mi contraddistingue tutt’ora dopo aver vissuto gran parte della mia vita adulta vivendo in Francia, Irlanda, Spagna, Regno Unito e Germania e parlando correntemente quattro lingue. Il tema dei viaggi viene ripreso anche nelle mie prime due opere, “Portami con te” e “Quando Torni”. La storia di Emma non è ancora stata raccontata in uno dei miei libri – magari nel quarto!

Per te anche esperienze nel settore commerciale, come ti sei rapportata con questa realtà?

Dopo gli studi universitari, nonostante io non abbia mai smesso di scrivere, mi sono trasferita all’estero e ho avuto la possibilità di lavorare in grandi aziende della tech come LinkedIn e Salesforce. Dal settore commerciale ho imparato che più impegno mettevo, più venivo ricompensata. Sebbene alcune persone abbiano ancora un pregiudizio nei confronti delle persone che lavorano in questo ambito, la verità è che i bravi venditori sono concentrati sull’aiutare gli acquirenti a risolvere i loro problemi di business, quindi si avvicinano al processo di vendita dal punto di vista del dare e non del ricevere. Quando ti concentri sul servire gli altri, le persone vogliono naturalmente fare affari con te.

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Pubblicato da
Francesco Rapino
Argomenti: Intervistelibri

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