E, per certi aspetti, lo shock fu ancora più grande quando, ascoltando le note di “Black Star”, un album di una profondità lacerante, ci si trovò di fronte al capolavoro di un uomo che ha deciso di raccontare la propria fine annullando il confine tra arte e vita. David Robert Jones, il nome con cui era iscritto all’anagrafe di Brixton, nel Sud di Londra, ha dimostrato che una rockstar può essere molto di più di un rocker e qualcosa di diverso da una star.
Per esempio un alieno caduto sulla Terra chiamato Ziggy Stardust che fece scoprire al mondo l’idea che un musicista poteva essere contemporaneamente una figura che metteva in gioco un’ambiguità sessuale sfrontata e al tempo stesso mescolata con il Cabaret berlinese, il teatro Kabuki, il Mimo di Lindsay Kemp. Assunse l’identità del Thin White Duke, il Duca Bianco lanciato alla conquista dell’America ma schiavo della cocaina, per poi immergersi nella Berlino della metà degli anni ’70 per produrre la celeberrima Trilogia Berlinese con una delle tante scioccanti svolte stilistiche.
E’ impressionante pensare quante cose sia stato David Bowie, un crooner dal carisma impareggiabile, un autore geniale, un’icona di stile, un esploratore di suoni, un attore, un artista che tutto sommato si è curato poco del mercato ma ha guadagnato montagne di soldi grazie ai Bowie Bond, un’operazione finanziaria senza precedenti, un pittore legato all’Espressionismo tedesco, un attore dal curriculum importante composto da film come “L’uomo che cadde sulla Terra”, “L’ultima tentazione di Cristo”, “Miriam si sveglia a mezzanotte”, “Furyo”, “Tutto in una notte”, “Labirinth” e che si è concesso un autoironico cameo in “Zoolander” e un’apparizione in “The Prestige” di Christopher Nolan.
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