Uno spettacolo ricco di trovate, colori e contenuti affidato alla grande bravura di tutti gli interpreti con alla testa Tato Russo
NAPOLI – Da venerdì 4 a domenica 13 novembre al Teatro Augusteo di Napoli (P.tta Duca d’Aosta 263) andrà in scena il debutto nazionale di “Gran Café Chantant”, vaudeville in due atti di Tato Russo da Eduardo Scarpetta, con lo stesso Tato Russo e Clelia Rondinella, Katia Terlizzi, Renato De Rienzo, Mario Brancaccio, Salvatore Esposito, Dodo Gagliarde, Letizia Netti, Carmen Pommella, Antonio Romano, Francesco Ruotolo, Caterina Scalaprice, Massimo Sorrentino e con l’Orchestra Gran Cafè Chantant.
Il tutto è incorniciato dalle scene di Peppe Zabo, impreziosito dai costumi di Giusi Giustino e valorizzato dalle musiche di Zeno Craig e le luci di Roger La Fontaine.
LA STORIA:
Siamo ai primi del ‘900, nel cuore della belle epoque. Molti teatri di prosa chiudono perché la moda dell’epoca li rende ormai deserti. Qualcuno per seguirla viene trasformato in ritrovo di numeri ben più allegrotti. Due coppie di artisti ormai alla fame sono costretti, loro detentori dell’antica arte della tragedia, a riciclarsi come vedette di café chantant. Una serie infinita di traversie e di avventure tutte da ridere li accompagna in quello che vuole soprattutto essere l’affresco d’un epoca edonistica e culturalmente in grande decadenza.
Tato Russo riscrive e trasforma la commedia di Scarpetta in un vaudeville, che è un tourbillon di trovate e di caratteri, e intorno al classico divertentissimo intreccio scarpettiano ci propone l’analisi critica di un periodo storico che, pur durando lo spazio di una meteora, fu denso di significati culturali e civili, che chiudeva un secolo, l’Ottocento, e ne proponeva un altro: quello dell’opera moderna. Un mitico quindicennio che, pur proponendosi come un’epoca di splendori, portava in se un periodo di miseria e decadenza. Nel 1900 i teatri di prosa chiudevano per lasciare spazio al Café Chantant.
Questa nuova forma di spettacolo metteva in crisi quello tradizionale come accadrà qualche decennio più tardi con l’avvento del cinema e oggi con l’avvento dei one man show da cabaret. I luoghi teatrali si trasformavano. Chiudevano molti “teatri storici”, altri per sopravvivere erano costretti a modificare il repertorio.
La vicenda dura un giorno, ma Tato Russo dilata lo spazio temporale di questa giornata, riferendola all’intero periodo di quel quindicennio, dalla nascita, allo splendore, alla miseria del café chantant: un lungo giorno in cui cambia la moda, il gusto, la maniera di pensare della gente. E se l’azione parte dalla crisi del teatro di prosa determinata dall’aggressione del café chantant, termina nella fine quest’ultimo a sua volta stroncato dall’avvento del cinema.
Intorno ai quattro protagonisti della storia si muove una miriade di personaggi, che vagano tra tipi macchiette. Tato Russo ha impostato la commedia su questa folleggiante contrapposizione di stili recitativi e di drammaturgia.
Da una parte il linguaggio di commedia che sarà di Eduardo, dall’altra quello da farsa che è tipico di Scarpetta. Da una parte un Felice, personaggio nel vero senso della parola; dall’altra il mondo delle caricature, dei trucchi, delle esagerazioni. Tato Russo ripropone cosi uno Scarpetta diverso, più vicino ai classici nelle linee di una direzione personale di fare teatro, laddove ogni intuizione critica non si propone mai come fine a se stessa ma sottostà invece ad un piano organico di messa in scena, in cui ogni elemento concorre in giusta proporzione con tutti gli altri.