“L’intero concept del brano può essere riassunto con il titolo-citazione dello spettacolo di Alessandro Bergonzoni, ‘E il male minore è diventato maggiorenne’. È proprio ad esso e al lavoro teatrale di questo artista multidisciplinare che mi sono ispirato per la scrittura di questo testo”
Da venerdì 26 novembre è disponibile in rotazione radiofonica “Che pena”, il nuovo singolo di Guido Seregni. “Che pena”, musicalmente fresco e orecchiabile, in un’inedita sonorità per l’autore Guido Seregni, è un mix di pop elettronica e rock che, nella scrittura, riprende il filo del discorso e la vena da canzonatore di “Non fa niente”. Il brano, a metà tra lo slogan e la constatazione, è una fotografia della realtà contemporanea, scritta pre-Covid. Il testo è ricco di giochi di parole e modi di dire rivisitati ispirati dallo spettacolo di Alessandro Bergonzoni “Il male minore è diventato maggiorenne”, frase citatata all’interno della canzone stessa.
Guido Seregni ci ha gentilmente concesso un’intervista.
“Che pena” è il tuo nuovo singolo, di che cosa si tratta?
La definirei una fotografia della scoieta’ e di tutti noi molto attuale, in cui vengono messi alla berlina delle situazioni e dei nostri modi di fare sempre utilizzando molto l’ironia e poco il politicamente corretto.
Cosa vuoi trasmettere con questo brano?
Il brano è una provocazione e uno spunto di riflessione, mi piacerebbe toccare, provocare e far riflettere chi la ascolta, sempre a modo mio: ovvero con ironia, seppur feroce e strappando anche un sorriso.
C’è anche un lyric video, come si caratterizza?
Parto dal presupposto che pur disponendo sempre di budget limitatissimi amo il mondo dell’animazione in varie declinazioni, come si puo’ vedere nei video precedenti. Questa volta essendo il testo molto fitto e avendo ogni riga un focus per me importante ho deciso di fare un lyric video per dare peso alle parole, ma nello stesso tempo amavo l’idea di dare qualcosina in piu’. Ho contattato un ragazzo che non vive qui e non parla nemmeno italiano e fa questi video il cui stile mi piaceva molto. Gli ho commmissionato il lavoro, non è stato semplice perche’ ho dovuto tradurre tutto il testo in inglese ma ci sono modi di dire, detti e giochi di parole difficili da spiegare a chi non li conosce…abbiamo poi deciso volutamente di tenere una tonalita’ scura…quasi triste, in contrasto con la musica che pero’ andava a sottolineare , scavando dietro l’ironia, l’amarezza delle constatazioni del brano.
Ti definisci un “canzonatore”, perché?
La definizione nasce da quando sui profili social come Twitter o Instagram si deve condensare in una parola chi sei e cosa fai. Scrivere “cantautore” mi sembrava un po’ banale e mi suonava anche un po’ datato. Oltretutto io comunque faccio un genere non solo prettamente cantautorale, quindi pensando ai testi delle mie canzoni, sempre piene di pungente ironia mi è venuto il termine canzonatore un po’ per gioco. Poi pero’ mi è piaciuto e funzionava e ho deciso quindi di farlo diventare un marchio di fabbrica personale.