Valter, docente di letterature comparate all’università Sorbonne Nouvelle-Paris 3, torna a casa per la morte del padre
È disponibile in libreria e negli store digitali “Le Negazioni”, il nuovo romanzo dello scrittore Marco Gottardi, pubblicato da Emersioni. “Questo romanzo costituisce, prima di tutto, l’accettazione e il compimento di una sfida stilistica, da sempre al centro della mia ricerca narrativa, e al contempo la realizzazione di un’idea di teoria letteraria (legata al concetto di negazione) declinata nella più piena, intima e profonda concretizzazione del progetto di storia, di fictio narrativa, di trama gravida di valori”, commenta lo scrittore.
Marco Gottardi ci ha gentilmente concesso un’intervista.
“Le Negazioni” è il suo nuovo romanzo, di che cosa si tratta?
Fondamentalmente è la storia di un ritorno a casa. Il protagonista, Valter, vive a Parigi da sedici anni e per tutto questo tempo non ha più avuto contatti con il padre che ha abbandonato dopo un litigio. Quando il genitore muore è costretto a rientrare nella casa in cui ha vissuto per ventiquattro anni, apparentemente solo per vendere l’immobile e tornarsene a Parigi dove lo aspetta la compagna Amélie. Ma il tempo che trascorrerà nel suo paese natale assume subito le sfumature di un tempo cadenzato da ricordi, sentimenti che riaffiorano, sensi di colpa, ombre e persino da un mistero che innerva tutta la storia e che lo costringerà a conoscere un pezzo di vita di suo padre che ignorava. Si tratta di una sorta di cammino di redenzione, di riappropriazione del proprio passato, di ridefinizione della vita di un uomo che riscopre lentamente le sue radici, e ne innamora fatalmente.
Cosa vuole trasmettere con questo lavoro?
Prima di tutto vorrei che il lettore provasse piacere per lo stile con cui è scritto il romanzo, per me la seduzione del lettore tramite la sensualità e la profondità delle parole è la cosa più importante, più ancora della storia. La storia è un pretesto per fare l’amore con il lettore. Non voglio insegnare nulla, sono un parnassiano e credo nel concetto dell’art pour l’art, nell’assoluta inutilità dell’arte (e la scrittura è l’arte più difficile di tutte) che ne decreta la necessità, credo in una narrativa svincolata da ogni istanza etica, educativa, credo nel piacere della letteratura intesa come sublimazione della parola, come ricerca di un’estetica libera e appagante. Certo, poi, a differenza dei due romanzi precedenti, questo è anche una bellissima storia da leggere con un bel finale a sorpresa…
Un libro sull’abbandono e sulla possibilità di porvi rimedio, se e quanto è presente questo elemento nella nostra società?
Ci sono molte forme di abbandono. Dietro ogni scelta che facciamo c’è l’abbandono di una serie di possibilità che inceneriamo in favore di qualcos’altro. E siamo costretti a sceglierci, ogni giorno, come diceva Sartre. C’è abbandono, anche, in ogni forma di egoismo, ma anche nell’altruismo, se questo spegne del tutto la fiamma della nostra personalità: in questo caso si abbandoniamo noi stessi. La peggiore delle sciagure possibili.
Cosa rappresenta per lei la scrittura e la letteratura?
Scrivere per me è come respirare: non posso farne a meno o morirei. Ma la scrittura non è soltanto l’atto dello scrivere, il momento in cui si apre il taccuino o ci si mette a computer e si buttano giù parole e frasi che poi diventano libri. Scrivere è uno stato esistenziale, quotidiano, è una condanna e una palingenesi, è un modo di osservare e pensare la vita, di costruirne una migliore, qualora quella vera ci stesse un po’ stretta. E così tutta la letteratura non è altro che un modo di vivere vite che, altrimenti, non potremmo mai vivere. È questo il grande miracolo della letteratura: far vivere più vite in una vita sola.