ROMA – Nel 2016 i consumi finali degli italiani, al netto dell’inflazione, sono ancora inferiori del 4,8% rispetto ai livelli pre-crisi (2007), per circa 47 miliardi di euro in meno in valori assoluti. E’ il calcolo fatto da Cer Eures in una ricerca condotta per Confesercenti, presentata all’assemblea annuale della confederazione. Secondo lo studio la ripresa dei consumi “non e’ ancora arrivata” e continuando ai ritmi attuali, si tornera’ ai livelli di consumi del 2007 solo nel 2020. La spesa per consumi delle famiglie italiane e’ passata da 984,6 miliardi di euro del 2007 a 908,6 miliardi nel 2013 e 937,5 nel 2016.
In questo quadro – sottolineano gli istituti di ricerca – l’annuncio del blocco delle clausole di salvaguardia e’ estremamente positivo. L’aumento Iva previsto, infatti, avrebbe frenato ancora di piu’ la ripresa dei consumi e la crescita del Pil. Se si procedesse all’innalzamento delle aliquote, perderemmo a regime 8,2 miliardi di consumi: si tratta di circa 305 euro di spesa in meno a famiglia. Sul prodotto interno lordo, invece, l’impatto negativo ammonterebbe a -5 miliardi di euro. L’effetto atteso sui prezzi, infatti, e’ di un aumento dello 0,7%.
Una stangata che si trasformerebbe quasi completamente in contrazione di spesa, anche considerando che le due aliquote interessano molti servizi e generi di largo consumo, colpendo anche le fasce piu’ deboli della popolazione. L’aumento dell’Iva penalizzerebbe i consumatori italiani anche nel confronto europeo: dal punto di vista dell’imposizione sui consumi l’Italia si colloca tra le prime posizioni nel panorama internazionale, seconda solo alla Svezia, Paese noto per l’elevata pressione fiscale come il resto dei Paesi scandinavi.
Sommando la tassazione dei consumi nelle forme vigenti oggi, si ottiene per l’Italia un valore dell’11,7% del Pil, in salita dal 10,3 registrato nel 2008. E che si confronta con l’11% della Francia, fino al ben piu’ modesto 9,5% osservato in Spagna.