La fotografia è tradizionalmente legata nell’immaginario collettivo all’idea della riproduzione di istanti, di momenti legati a circostanze o persone o paesaggi reali che sotto lo sguardo professionale dell’autore di uno scatto possono diventare più realistici, più romantici oppure più metafisici; esistono però anche sfaccettature differenti attraverso cui l’arte fotografica si trasforma in un gesto più manuale, più creativo nel senso fisico e attuativo del termine, proprio in virtù di metodologie meno conosciute eppure in grado di rendere l’azione dell’interprete molto più simile a quella di un pittore o di uno scultore per la capacità di creare dal nulla un’idea, l’idealizzazione di un’immagine che nella realtà osservata non esiste. L’artista di cui vi racconterò oggi usa i Lucigrammi per manifestare una creatività che parte da una ricerca quasi analitica, quella sulla luce, per poi entrare nel mondo della produzione di figure molto simili agli stencil usati nella Street Art, che divengono parte di una vera e propria costruzione dell’immagine finale.
Alla sua nascita, intorno ai primi decenni del Diciannovesimo secolo, la fotografia basava tutta la sua ricerca sulla luce, fondamentale a permettere ai primi rudimentali strumenti di catturare un preciso momento osservato dallo sguardo e contemporaneamente ripreso appunto in virtù di una interazione con l’istantaneità, con l’immediatezza di un’immagine in precedenza impossibile da cogliere con la medesima velocità. In quel periodo tutto era manuale, l’azione del fotografo veniva seguita dallo sviluppo di un prototipo primordiale di pellicola in camera oscura, lo studio sulle rezioni del nitrato d’argento prima e del bitume di Giudea poi, l’eliografia su lastre di stagno, gli esperimenti di Daguerre che condussero al dagherrotipo per cui si avvaleva ancora di materiali solidi per la stampa delle immagini risultanti, come la lastra di rame, i fogli di argento lucidato, i vapori di iodio, insomma, prima di trasformarsi, evolversi e strutturarsi in maniera più moderna, l’arte fotografica era più simile a un lavoro artigianale studiato e analizzato sia nelle reazioni meccaniche che in quelle chimiche. La velocità e l’immediatezza della rappresentazione fotografica in qualche modo sostituì l’arte pittorica in particolar modo nell’immortalare i paesaggi e poi, dopo aver risolto il problema dei lunghi tempi di esposizione, divenne in breve tempo la prima scelta per la ritrattistica dalla nuova emergente borghesia. Il Novecento vide una rapida evoluzione della tecnica che divenne più agile, le macchine divennero più maneggevoli dando modo ai grandi fotografi di quel periodo di lasciare una scia poetica e una fondamentale documentazione visiva del passato, sia dal punto di vista artistico che da quello documentale; Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Elliot Erwitt e poi Robert Capa, William Klein furono maestri del bianco e nero tanto quanto Steve McCurry e Martin Parr, solo per citare alcuni dei maggiori nomi della fotografia mondiale, lo furono poco dopo con la scoperta e l’utilizzo del colore. Le macchine fotografiche ancora analogiche richiedevano una grande manualità e la sensibilità di scegliere il momento migliore per lo scatto che avrebbe catturato l’emozione e la sensazione suscitata nell’autore. Nel presente con la digitalizzazione delle immagini e la messa in disuso delle vecchie pellicole tutto è diventato meno manuale e così alcuni fotografi moderni hanno cercato di compiere un ritorno all’antica pratica per trasformare la fotografia non solo in arte visiva bensì anche in ricerca di metodologie molto più vicine al gesto creativo del pittore che possano trasformare le immagini in qualcosa di diverso, di più simile a una vera e propria generazione artistica. In questo contesto si inserisce il lavoro di Nino Migliori, fotografo italiano di fama internazionale che ha cominciato a studiare possibilità diverse, tra le quali quella di utilizzare la luce sulla carta fotografica come se fosse un pennello, un mezzo di scrittura attraverso cui dar vita a immagini di fantasia, oppure anche reali, dove però viene a mancare il principio di base della fotografia tradizionale, quello cioè dello scatto.
L’artista di origini altoatesine ma ormai da anni residente a Ferrara Sonia Rossi si ispira fortemente a questa traccia di Migliori per elaborare un suo proprio stile artistico, perché è proprio di arte che si tratta sia dal punto di vista della ricerca sulla luce e sui materiali utilizzati per realizzare le sue affascinanti immagini, sia dal punto di vista del risultato finale che infonde nell’osservatore il medesimo fascino dei dipinti più onirici, o metafisici, dai quali fuoriesce non solo il senso visivo ma anche quello più meditativo che va verso il significato, il messaggio che l’artista desidera infondere alle sue atmosfere un po’ magiche.
I suoi Lucigrammi sono realizzati senza fotocamera e sono il risultato di una lenta e attenta sperimentazione sull’effetto della luce, appunto, che attraverso una fonte puntiforme va letteralmente a disegnare la carta fotografica; la base su cui l’elemento luminoso viene puntato, per pochi secondi, è una sorta di scenografia progettata e realizzata da Sonia Rossi utilizzando vari materiali come carta, cartoncino, cellophane, legno o filo di ferro, scolpiti nella loro forma finale esattamente come avviene con gli stencil tanto utilizzati nell’esecuzione rapida dei murales Street Art, in particolare è Banksy a utilizzarli per le sue furtive incursioni artistiche sui muri delle città, ma anche da alcuni rappresentanti della Pop Art italiana come Franco Angeli.
L’utilizzo rigoroso del bianco e nero contribuisce a mettere in evidenza quei dettagli funzionali a lasciar emergere l’idea creativa dell’artista che si manifesta attraverso una tecnica quasi artigianale sviluppata in camera oscura e che mette l’autrice al centro del percorso creativo, protagonista di ogni singolo passo esattamente come avevano fatto i suoi predecessori nel momento in cui andavano a studiare e analizzare il modo per accelerare il processo realizzativo della fotografia. Con i Lucigrammi, o come ama definirli Sonia Rossi i Luci-foto-grammi, sembra compiersi una sorta di ritorno al passato, a quei ritmi lenti e riflessivi dell’esplorazione delle reazioni chimiche, dell’osservazione attenta e macroscopica delle immagini che lentamente fuoriescono dal buio proprio a seguito dell’impressione della luce; eppure, al di là dell’approccio quasi scientifico del metodo esecutivo, ciò che colpisce l’attenzione è quella magia che appartiene al risultato finale, quell’impalpabilità luminosa che si concretizza attraverso l’alternanza in dissolvimento di chiarore e ombra, del bianco che sembra definire e del buio sottostante da cui tutto emerge come se si rivelasse all’osservatore. Non solo, il suo passato come medico anatomo-patologo l’ha condotta verso l’analisi macroscopica e di ricerca, e dunque ha potuto applicare questo ormai innato atteggiamento mentale anche alla fotografia, realizzando inizialmente le sue opere attraverso l’utilizzo della luce fissa dell’ingranditore e successivamente con una fonte di luce puntiforme, Lucigrammi appunto, di cui la caratteristica più distintiva è quella della tridimensionalità.
Tutto ciò appartiene all’atto esecutivo di Sonia Rossi, ma dal punto di vista emozionale del ricevente i suoi Lucigrammi, tutti opere uniche, assumono una valenza affascinante proprio perché misteriosi nella loro forma; la logica dunque deve soccombere all’inspiegabilità che funge da traghetto verso possibilità nuove, verso una reiterazione delle immagini che sembra eco, che diviene concretizzazione di una sensazione inspiegabile evocata dalle trasformazioni che l’artista compie.
Maschere, foglie, farfalle sembrano danzare, muoversi sugli sfondi scuri quasi come se non riuscissero a placare il loro movimento, come se in virtù del processo creativo di Sonia Rossi potessero evolvere in forme inedite, esattamente come dalla crisalide può generarsi una vita diversa. Tutto ciò che non è definito appartiene alla casualità della magia che la luce compie sulla base dei secondi di permanenza sulla carta fotografica, quasi l’inaspettato, l’indeterminabile, volesse entrare a ogni costo nel risultato finale perché in fondo l’incanto dell’esistenza si nasconde esattamente in quelle possibilità inesplorate dalla mente ma che sono tangibili e reali quanto quelle determinate e analizzate dalla logica.
E così Sonia Rossi lascia entrare tutto ciò che non fa parte della sua progettazione, si lascia andare con apertura e sorpresa a quell’inimmaginabile in grado di modificare il percorso iniziale e di arricchirlo di un’interazione emotiva, illogica, irrazionale che non può che avvolgere l’osservatore proprio per quell’impossibilità di essere ricondotta a tutto ciò che lo sguardo si aspetta.
Sonia Rossi ha al suo attivo la partecipazione a mostre collettive dedicate sia alla fotografia digitale che alla fotografia analogica off camera a Ferrara, Parma, Arezzo, ed è stata selezionata per partecipare alla Biennale della Creatività 2024 che avrà luogo a metà novembre a Ferrara.
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Sonia Rossi’s Lucigrams, to transform photographic technique without camera into a glow of magic
Photography is traditionally linked in the collective imagination to the idea of the reproduction of instants, of moments linked to real circumstances or people or landscapes that under the professional gaze of the author of a shot can become more realistic, more romantic or more metaphysical; however, there are also different facets through which photographic art is transformed into a more manual gesture, more creative in the physical and actuative sense of the term, precisely by virtue of lesser-known methodologies that are nevertheless capable of making the interpreter’s action much more similar to that of a painter or sculptor due to his ability to create an idea out of nothing, the idealisation of an image that does not exist in the observed reality. The artist I am going to tell you about today uses Lucigrams to manifest a creativity that starts from an almost analytical research, that on light, and then enters the world of the production of figures very similar to the stencils used in Street Art, which become part of a real construction of the final image.
At its birth, around the first decades of the 19th century, photography based all its research on light, which was fundamental in allowing the first rudimentary instruments to capture a precise moment observed by the eye and at the same time filmed precisely by virtue of an interaction with instantaneousness, with the immediacy of an image previously impossible to capture with the same speed. At that time, everything was manual, the photographer’s action was followed by the development of a primordial prototype of film in the darkroom, the study of the reactions of first silver nitrate and then Judean bitumen, heliography on tin plates, Daguerre‘s experiments that led to the daguerreotype for which he still used solid materials to print the resulting images, such as the copper plate, polished silver sheets, iodine vapour, in short, before transforming, evolving and structuring itself in a more modern way, the art of photography was more like a craft studied and analysed in both mechanical and chemical reactions.
The speed and immediacy of photographic representation somehow replaced pictorial art especially in capturing landscapes and then, after solving the problem of long exposure times, quickly became the first choice for portraiture by the newly emerging bourgeoisie. The 20th century saw a rapid evolution of the technique, which became more agile, the cameras became more manageable, allowing the great photographers of that period to leave a poetic trail and a fundamental visual documentation of the past, both from an artistic and documentary point of view; Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Elliot Erwitt and then Robert Capa, William Klein were masters of black and white as much as Steve McCurry and Martin Parr, to name but a few of the biggest names in world photography, were shortly afterwards with the discovery and use of colour. Cameras that were still analogue required great dexterity and the sensitivity to choose the best moment for the shot that would capture the emotion and feeling aroused in the photographer. In the present day, with the digitisation of images and the mothballing of the old film, everything has become less manual, and so some modern photographers have tried to make a return to the ancient practice in order to transform photography not only into visual art but also into a search for methodologies much closer to the creative gesture of the painter that can transform images into something different, something more akin to a true artistic generation.
This is the context for the work of Nino Migliori, an internationally renowned Italian photographer who has begun to study different possibilities, including the use of light on photographic paper as if it were a paintbrush, a writing medium through which he can give life to fantasy images, or even real ones, where, however, the basic principle of traditional photography, that of the shot, is lacking. The artist, originally from Alto Adige but now living in Ferrara for many years, Sonia Rossi, is strongly inspired by this trace of Migliori‘s to elaborate her own artistic style, because it is precisely art that we are dealing with both from the point of view of research into light and the materials used to create her fascinating images, and from the point of view of the final result that instils in the observer the same fascination as the most oneiric or metaphysical paintings, from which emerges not only the visual sense but also the more meditative one that goes towards meaning, the message that the artist wishes to instil in her somewhat magical atmospheres. Her Lucigrams are made without a camera and are the result of slow and careful experimentation with the effect of light, which through a point source literally draws the photographic paper; the base on which the light element is pointed, for a few seconds, is a sort of set designed and created by Sonia Rossi using various materials such as paper, cardboard, cellophane, wood or wire, sculpted into their final form exactly as happens with the stencils so much used in the rapid execution of Street Art murals, in particular it is Banksy who uses them for his furtive artistic incursions on city walls, but also by some representatives of Italian Pop Art such as Franco Angeli.
The rigorous use of black and white contributes to highlighting those details functional to let emerge the artist’s creative idea, which is manifested through an almost artisanal technique developed in the darkroom and which puts the author at the centre of the creative process, protagonist of every single step exactly as her predecessors had done when they were studying and analysing how to speed up the photographic process. With the Lucigrams, or as Sonia Rossi likes to call them the Luci-photo-grams, there seems to be a sort of return to the past, to those slow and reflective rhythms of the exploration of chemical reactions, of the careful and macroscopic observation of images that slowly emerge from the darkness precisely as a result of the impression of light; and yet, beyond the almost scientific approach of the executive method, what strikes the eye is that magic that belongs to the final result, that luminous impalpability that is realised through the fading alternation of light and shadow, of the white that seems to define and the underlying darkness from which everything emerges as if revealed to the observer. Not only that, her past as an anatomo-pathologist has led her towards macroscopic analysis and research, and so she has been able to apply this now innate mental attitude to photography as well, initially realising her arworks through the use of the fixed light of the enlarger and later with a point source of light, Lucigrams in fact, whose most distinctive feature is its three-dimensionality.
All this belongs to Sonia Rossi‘s act of execution, but from the emotional point of view of the recipient her Lucigrams, all unique artworks, take on a fascinating value precisely because they are mysterious in their form; logic must therefore succumb to inexplicability that acts as a ferry towards new possibilities, towards a reiteration of images that seems to echo, that becomes the concretisation of an inexplicable sensation evoked by the transformations the artist performs. Masks, leaves, butterflies seem to dance, to move against the dark backgrounds almost as if they could not stop their movement, as if by virtue of Sonia Rossi‘s creative process they could evolve into new forms, just as from the chrysalis a different life can be generated. Everything that is not defined belongs to the randomness of the magic that light performs on the basis of the seconds of permanence on the photographic paper, almost as if the unexpected, the indeterminable, wanted to enter at all costs into the final result because after all, the enchantment of existence is hidden precisely in those possibilities unexplored by the mind but which are as tangible and real as those determined and analysed by logic. And so Sonia Rossi lets in everything that is not part of her design, she lets herself go with openness and surprise to that unimaginable which is able to modify the initial path and enrich it with an emotional, illogical, irrational interaction that cannot but envelop the observer precisely because of that impossibility of being traced back to everything that the eye expects. Sonia Rossi has taken part in group exhibitions dedicated to both digital and off-camera analogue photography in Ferrara, Parma and Arezzo, and has been selected to take part in the Biennale della Creatività 2024 that will take place in mid-November in Ferrara.