Molto spesso il filtro emozionale con cui viene percepita la realtà si traduce in necessità di trovare un approccio narrativo differente, una gamma cromatica che pur essendo decontestualizzata perché lontana da quella più attinente a tutto ciò che lo sguardo coglie, di fatto rende perfettamente visibile la sensazione percepita dall’artista nel momento in cui si è trovato di fronte a panorami o paesaggi o semplicemente a dettagli che hanno colpito la sua sensibilità. A questo tipo di interpretazione dell’arte appartengono tutti quegli autori per cui l’eccessiva perfezione esecutiva sarebbe una distrazione da un mondo interiore che invece deve predominare sulla tela che pertanto diviene mezzo per un racconto diverso, intimista e al contempo fortemente espressivo; l’artista di cui vi racconterò oggi appartiene a questo gruppo di creativi per cui dipingere equivale a compiere un viaggio all’interno delle proprie emozioni e della capacità di manifestarle senza alcuna interferenza da parte della logica.
Nei primi decenni del Ventesimo secolo cominciarono a delinearsi le linee guida di un movimento pittorico che aveva fatto sue le teorie iniziali dei Fauves francesi ma che aveva bisogno di evolvere quelle caratteristiche accordandole a un approccio diverso nei confronti della realizzazione artistica, da un lato mitigandone la gamma cromatica eccessivamente aggressiva ma dall’altro esaltandone la decontestualizzazione funzionale a lasciar emergere il mondo emotivo legato al sentire soggettivo del singolo interprete. In particolare in Germania il gruppo Die Brücke di Dresda applicò la semplificazione descrittiva della figurazione dei Fauves a colori pieni, ma meno accesi, con cui esaltare l’emozione dei loro personaggi, legandosi a tutto quel sentire interiore ombroso e a volte cupo dell’Espressionismo nord europeo; dunque gli appartenenti al gruppo furono innovatori al punto da divenire ispiratori di un altro gruppo di poco successivo e in qualche modo antagonista, quel Der Blaue Reiter che mise Monaco al centro della scena artistica dei decenni pre bellici. In questo caso la scelta cromatica venne declinata secondo una tavolozza più brillante, più luminosa perché ciò che doveva fuoriuscire dalle tele era quella vibrazione spirituale, quella connessione con l’animo umano in grado di condurre verso una trascendenza che si manifestava esattamente con l’uso dei colori e con le forme distinguibili ma meno definite della realtà narrata. Dunque le influenze Fauves furono mescolate all’ascolto delle energie della natura e delle singole cose che era stato alla base del Simbolismo dando vita a un tipo di Espressionismo più lirico, sia per i soggetti scelti e sia per l’interpretazione di tutto ciò che colpiva l’attenzione degli artisti appartenenti al gruppo. Fondatore di questa coniugazione espressionista fu Vassily Kandinsky che attraverso la sua spinta ad associare il sentire personale alla melodia musicale all’interno di tutto l’osservato attrasse a sé altri pittori che condividevano con lui la medesima tendenza ad andare verso la luminosità trascendente e spirituale di tutto ciò che ruotava intorno a loro; Franz Marc, August Macke, Gabriele Münter furono alcuni tra i principali rappresentanti del Der Blaue Reiter, in cui le tonalità scelte per realizzare le loro tele sembravano essere in perfetta armonia con i soggetti raccontati, non costituendo più così un punto di rottura quasi violenta come nel caso dei Fauves, e neanche la manifestazione di sensazioni inquiete e tormentate dei Die Brücke, bensì erano espressione di tutta la magia che può aleggiare nella realtà e che fuoriesce attraverso un ascolto più attento e profondo della spiritualità all’interno di ogni elemento.
È proprio a questa accezione dell’Espressionismo che può essere ricondotta la produzione artistica di Sabine Kühner, anche lei di Monaco dunque erede di quelle tematiche di Der Blaue Reiter di cui riprende non solo la gamma cromatica chiara e luminosa, ma anche la tendenza a tendere quasi verso un’astrazione in virtù della quale riesce a rendere ancor più incisiva la sensazione spirituale di tutto ciò su cui il suo sguardo si posa; le sue tonalità si avvicinano a quelle luminose e sorridenti delle opere più recenti di David Hockney in cui la Pop Art di cui il maestro inglese è stato grande interprete ha cominciato a sfumare verso un NeoEspressionismo affascinante e seducente. Sabine Kühner dunque rivisita completamente, attualizzandole, le linee guida del gruppo Der Blaue Reiter, di cui mostra le influenze che la conducono verso una narrazione completamente emozionale dell’osservato, come se si ponesse in ascolto delle voci delle colline, delle foglie degli alberi, dei sentieri che entrano all’interno del suo mondo attraverso lo sguardo ma che poi si trasformano in un meraviglioso mondo incantato attraverso la pittura.
La natura è una rivelazione, è una forte spinta alla connessione con tutto l’irreale che può emergere anche dalla situazione più comune, da quei panorami familiari che senza la capacità intuitiva dell’artista resterebbero semplicemente contemplati ma mai compresi nella loro emanazione più profonda; è così la spiritualità a emergere, come se una vita segreta sotterranea e positiva abitualmente inascoltata riuscisse a essere percepita in virtù dell’interpretazione di Sabine Kühner che ne compie una narrazione soggettiva e proprio per questo in grado di conquistare l’osservatore affascinato dalla dimensione positiva e luminosa che viene evocata.
Nell’opera Bergleuchten (Luci della montagna) il linguaggio cromatico trova la sua piena realizzazione tanto quanto la sua tendenza, che si lega fortemente al Der Blaue Reiter, a sfumare la figurazione verso un Astrattismo necessario per ampliare la forza della spiritualità che avvolge le montagne protagoniste della tela, come se esse stesse fossero depositarie di una vitalità sotterranea che non può non colpire la sensibilità dell’artista intesa come soggetto ricevente di quelle sottili energie, e poi nell’atto esecutivo del gesto plastico, emanante delle emozioni percepite. È questo il motivo per il quale la forza del colore sovrasta ogni senso di realtà, si deve necessariamente connettere con una coscienza più profonda in grado di andare oltre il visibile per respirarne l’essenza; le tonalità sono vivaci, vitali, positive tanto quanto lo è lo sguardo di Sabine Kühner nell’approcciare e nell’aprirsi alla bellezza dell’esistenza, dei panorami in cui si inoltra nel suo mondo a metà tra visione e immaginazione che trasporta il fruitore nei suoi mondi incantati.
Nella serie di quattro opere denominate Freie Nature (Natura libera) l’artista esplora diversi paesaggi con una cifra stilistica molto più vicina a David Hockney, il tratto infatti è più definito, la descrizione più precisa sebbene resti fortemente presente la decontestualizzazione e la composizione improbabile in cui accosta rilievi e vallate che sembrerebbero non potersi trovare una accanto all’altra, eppure nel mondo della Kühner tutto diventa possibile e quegli accostamenti non fanno che incrementare la sensazione di meraviglia che appartiene a ogni tela dell’artista.
I colori vengono associati all’emozione da lei provata nel momento contemplativo divenendo protagonisti assoluti di una dimensione speciale in cui la natura sembra dialogare a un livello differente da quello oggettivo, mettendo in mostra tutta la sua bellezza segreta solo a chi la sa osservare nel modo giusto.
Questo concetto diviene persino più evidente nel dipinto Not as it should be, poiché già nel titolo Sabine Kühner chiarisce quanto il suo approccio pittorico vada al di là della pura descrizione trasformandosi in interpretazione personale di ciò che lo sguardo abitualmente nota; il titolo diviene dunque esplicativo del suo modo di intendere l’arte, quella modificazione soggettiva che non può prescindere dall’ascolto dei messaggi segreti che la natura emana come se ogni suo dettaglio avesse una propria personalità nascosta eppure pronta a svelarsi. Solo da una posizione fortemente empatica è possibile mostrare ciò che appartiene alla profondità dell’anima e che va a espandersi verso l’esterno della tela fino ad ammaliare il fruitore che viene toccato esattamente da impensabili possibilità, da un punto di vista differente che lo conduce all’interno di un universo fiabesco dove ogni elemento potrebbe da un momento all’altro muoversi e prendere vita per far sentire la propria unica personalità.
Sabine Kühner ha al suo attivo la partecipazione a mostre personali e collettive in Germania e in Svizzera e nel 2021 ha vinto il Primo Premio della Città di Holzkirchen che le ha permesso di installare in maniera permanente l’opera 58 and me in uno spazio pubblico.
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The Expressionism by Sabine Kühner, when spiritual transcendence becomes an inner need to interpret the observed world
Very often the emotional filter through which reality is perceived translates into the need to find a different narrative approach, a chromatic range that, although decontextualised because it is far removed from that which is most pertinent to all that the eye grasps, in fact renders perfectly visible the sensation perceived by the artist at the moment in which he found himself in front of panoramas or landscapes or simply details that struck his sensitivity. To this type of interpretation of art belong all those authors for whom excessive executive perfection would be a distraction from an interior world that must instead predominate on the canvas, which therefore becomes a medium for a different, intimist and at the same time strongly expressive story; the artist I will tell you about today belongs to this group of creatives for whom painting is the equivalent of taking a journey inside one’s own emotions and the ability to manifest them without any interference from logic.
In the first decades of the 20th century, began to take shape the guidelines of a pictorial movement that had embraced the initial theories of the French Fauves, but needed to evolve those characteristics by tuning them to a different approach to artistic realisation, on the one hand mitigating the overly aggressive colour palette, but on the other enhancing the decontextualisation functional to allowing to emerge the emotional world linked to the subjective feeling of the individual interpreter. In Germany in particular, the group Die Brücke of Dresden applied the descriptive simplification of the Fauves‘ figuration to full but less bright colours with which to exalt the emotion of their characters, linking themselves to all that shadowy and at times gloomy inner feeling of Northern European Expressionism; thus, the members of this group were innovators to the point of becoming inspirers of another group that followed shortly after and in some ways was antagonistic, Der Blaue Reiter that placed Munich at the centre of the artistic scene in the pre-war decades. In this case, the choice of colours was declined according to a brighter, more luminous palette because what had to come out of the canvases was that spiritual vibration, that connection with the human soul capable of leading towards a transcendence that was manifested exactly through the use of colours and the distinguishable but less defined forms of the narrated reality.
Thus the Fauves influences were mixed with the listening to the energies of nature and individual things that had been the basis of Symbolism, giving rise to a more lyrical type of Expressionism, both in terms of the subjects chosen and the interpretation of everything that caught the attention of the artists belonging to the group. Founder of this expressionist conjugation was Vassily Kandinsky who, through his drive to associate personal feeling with the musical melody within everything observed, attracted to himself other painters who shared with him the same tendency to move towards the transcendent and spiritual luminosity of everything that revolved around them; Franz Marc, August Macke and Gabriele Münter were some of the main representatives of Der Blaue Reiter, in which the tones chosen to realise their canvases seemed to be in perfect harmony with the subjects depicted, no longer constituting a point of almost violent rupture as in the case of the Fauves, nor even the manifestation of the restless and tormented feelings of Die Brücke, but were the expression of all the magic that can hover in reality and that emerges through a more attentive and profound listening to the spirituality within each element. Sabine Kühner, also from Munich and therefore heir to the themes of Der Blaue Reiter, can be traced back to this very sense of Expressionism, from which she takes not only the light and luminous colour range, but also the tendency to tend almost towards abstraction, by virtue of which she succeeds in rendering the spiritual sensation of everything her gaze rests on even more incisive; her tones come close to the bright and smiling tones of David Hockney‘s most recent works, in which the Pop Art of which the English master was a great interpreter has begun to fade towards a fascinating and seductive Neo-Expressionism. Sabine Kühner therefore completely revisits, updating them, the guidelines of the Der Blaue Reiter group, whose influences lead her towards a completely emotional narration of the observed, as if she were listening to the voices of the hills, the leaves of the trees, the paths that enter her world through her gaze but are then transformed into a wonderful enchanted world through painting. Nature is a revelation, it is a strong urge to connect with all the unreal that can emerge from even the most ordinary situation, from those familiar panoramas that without the artist’s intuitive ability would simply remain contemplated but never understood in their deepest emanation; it is thus spirituality that emerges, as if a secret underground and positive life that is usually unheard of manages to be perceived by virtue of Sabine Kühner‘s interpretation, which carries out a subjective narration of it and for this very reason is able to captivate the observer fascinated by the positive and luminous dimension that is evoked.
In the artwork Bergleuchten (Mountain Lights), the chromatic language finds its full realisation as much as its tendency, which is strongly linked to Der Blaue Reiter, to blur the figuration towards an abstractionism necessary to amplify the strength of the spirituality that envelops the mountains that are the protagonists of the canvas, as if they themselves were depositaries of an underground vitality that cannot fail to strike the artist’s sensibility as the recipient subject of those subtle energies, and then in the executive act of the plastic gesture, emanating the perceived emotions. This is the reason why the strenght of colour overpowers every sense of reality, why it must necessarily connect with a deeper consciousness capable of going beyond the visible to breathe its essence; the tones are lively, vital, positive, just as positive as Sabine Kühner‘s gaze is in approaching and opening up to the beauty of existence, of the panoramas in which she penetrates into her world halfway between vision and imagination, transporting the viewer into her enchanted worlds. In the series of four paintings called Freie Nature (Free Nature), the artist explores different landscapes with a stylistic approach much closer to David Hockney, the stroke in fact is more defined, the description more precise, although the decontextualisation and improbable composition in which she juxtaposes reliefs and valleys that would seem impossible to find next to each other remain strongly present, yet in Kühner‘s world everything becomes possible and those juxtapositions only increase the feeling of wonder that belongs to each of the artist’s canvases.
The colours are associated with the emotion she feels in the contemplative moment, becoming the absolute protagonists of a special dimension in which nature seems to dialogue on a different level from the objective one, displaying all its secret beauty only to those who know how to observe it in the right way. This concept becomes even more evident in the painting Not as it should be, for already in the title Sabine Kühner makes it clear how her pictorial approach goes beyond pure description, transforming itself into a personal interpretation of what the eye usually notices; the title thus becomes explanatory of her way of understanding art, that subjective modification that cannot be separated from listening to the secret messages that nature emanates as if each of its details had its own hidden personality, yet ready to reveal itself. Only from a strongly empathic position is it possible to show that which belongs to the depths of the soul and which expands outwards from the canvas until it captivates the viewer, who is touched by exactly the unthinkable possibilities, by a different point of view that leads him into a fairy-tale universe where every element could at any moment move and come to life to make its own unique personality felt. Sabine Kühner has participated in solo and group exhibitions in Germany and Switzerland, and in 2021 she won the First Prize of the City of Holzkirchen, which allowed her to permanently install the work 58 and me in a public space.