Nella realtà attuale l’osservazione che molti creativi compiono della contingenza, li induce a dimenticare quanto la traccia di ciò che viene vissuto oggi sia il risultato di quanto è stato osservato, combattuto e a volte pianificato nell’esistenza di ieri, in un passato che è stato importante e come tale ha bisogno di essere valutato; alcuni artisti hanno bisogno di attingere alla tradizione della loro terra sia dal punto di vista propriamente espressivo, sia da quello più concettuale perché spesso l’arte ha bisogno di legarsi ad altre discipline culturali in virtù delle quali riesce ad arricchirsi donando agli interpreti il dono particolare di essere testimonianza di tutto il bagaglio di conoscenze che essi portano con sé. L’artista di cui vi racconterò oggi mostra l’influenza di una figurazione che attinge alle sue radici elleniche ma che poi trasforma attraverso una rivisitazione di stili più moderni attraverso i quali dona all’osservatore la sua visione riflessiva e filosofica sulla realtà attuale.
La vivacità artistica dei primi decenni del Novecento ha dato vita a movimenti spesso in disaccordo tra di loro, distanti per intento espressivo e anche per ideologia rappresentativa, al punto che i suoi interpreti si sono in alcuni casi scontrati per sostenere ciascuno le proprie posizioni e le proprie tesi; questo è stato il caso della Metafisica e del Surrealismo i cui massimi esponenti non condividevano la medesima visione sull’approccio alla pittura, più misurata e piena di misteri e ambientazioni enigmatiche quella di Giorgio De Chirico, e più inquietante ed eccessiva, popolata da incubi e mostri deformi quella di Salvador Dalì. Anche in quel periodo vi furono tuttavia autori che si posero come una via di mezzo tra i due estremi, creando di fatto una connessione inconsapevole con cui veniva colmata la distanza attraverso una rappresentazione priva di eccessi, misurata ed equilibrata ma i cui misteri erano quelli della dimensione onirica e della mente umana. Il Surrealismo Metafisico di René Magritte e di Paul Delvaux indusse il pubblico a considerare aspetti della quotidianità, della capacità della mente e dello sguardo umano di interpretare in maniera nuova il visibile e anche l’invisibile, che non sarebbero furiusciti senza lo stimolo riflessivo e la capacità osservativa dei due autori, entrando di fatto in una dimensione più esistenzialista.
Dopo un lungo periodo in cui l’arte scelse di distaccarsi dalla figurazione, intorno agli anni Quaranta del Novecento vi fu un ritorno all’immagine con una innovazione prodotta dagli Stati Uniti, quella cioè di cominciare a parlare al grande pubblico, a proporre le icone dei nuovi mezzi di comunicazione e dei simboli della nuova società borghese emergente con un aspetto affascinante e divertente che potesse avvicinare anche chi non aveva avuto una formazione culturale adeguata a comprendere l’arte. La Pop Art introdusse nelle opere una gamma cromatica vivace, allegra, decontestualizzata, attraendo lo sguardo dell’osservatore ma nascondendo significati e analisi sociali compiute dal fondatore Andy Warhol e poi sviluppate in modo particolarmente acuto dagli esponenti inglesi del movimento, come Patrick Caulfield e David Hockney in cui il l’attenzione era puntata sull’essenzialità dell’immagine, su colori pieni e vivaci, piatti in alcuni casi oppure sfumati per infondere nello sguardo quel senso di familiarità di situazioni in cui riconoscersi, come fossero parte della vita stessa dell’autore, mettendone a nudo l’adesione al conformismo dell’epoca, o il desiderio di evaderne.
L’artista greco Kostas Spiropoulos fonde le atmosfere metafisiche di René Magritte alla semplicità espressiva Pop di Patrick Caulfield, senza dimenticare quell’iconografia ellenica tradizionale in cui le figure erano essenziali proprio per permettere al messaggio di arrivare diretto all’osservatore; le sue opere raccontano di paesaggi della sua nazione sospesi tra cielo e mare, e della terra tradizionalmente considerata la culla della cultura e della filosofia attraverso la quale l’uomo è potuto progredire e allargare la sua conoscenza. Ed è esattamente questa spinta esplorativa e conoscitiva che ha condotto l’artista a coltivare il suo lato creativo malgrado una professione, quella di medico, decisamente più logica e scientifica; le sue due anime dovevano interagire e convivere per permettergli di sentirsi pienamente appagato, ed è forse in virtù di questo approccio osservativo che le opere presentano sfaccettature differenti sulla base dell’argomento che egli desidera mettere in evidenza.
La gamma cromatica sempre accesa e piena, a volte si frammenta come a voler tendere verso la geometricità del Cubismo, pur rimanendo all’interno di un’espressione Pop, altre invece si concentra sul significato profondo del senso delle cose in virtù del quale Spiropoulos mette in secondo piano la personalizzazione dei soggetti narrati spostandosi verso la Metafisica, e altri invece decontestualizza l’immagine mettendola al centro di una cartolina ideale in virtù della quale immagina luoghi dove la bellezza e la calma della sua terra divengono il contesto ideale dentro cui lasciarsi andare alle sensazioni e abbassare le difese.
Il risultato è uno stile attuale nella forma ma tradizionale nella riflessione stimolata che attinge a quella filosofia di cui la Grecia, paese in cui Kostas Spiropoulos è nato e vive, è stata la culla dando vita a un’elevazione della mente che ha permesso alla civiltà di evolversi considerando e mettendo al centro l’interiorità e il desiderio di esplorazione dell’inconoscibile.
The interpretation of silence è la tela in cui l’artista invita il fruitore ad andare al di là dell’apparenza, a non considerare il dettaglio estetico bensì spingendosi dentro il sentire di quelle figure moderne, ascoltandone i pensieri e i desideri che vanno oltre il momento contingente e si insinuano nella dimensione del sogno, o del ricordo di un viaggio di cui non possono fare a meno di ricordare i panorami incontaminati e suggestivi; l’immagine evoca una delle più celebri opere di René Magritte e tuttavia se ne distacca inserendo il senso più emozionale che Kostas Spiropoulos desidera far emergere, rinunciando all’enigma sulla mente umana per lasciar prevalere quel sottile velo nostalgico che avvolge l’anima quando si confronta con se stessa e con tutto ciò che attraverso l’esperienza vive.
Il gruppo delle tre donne modaiole ed eleganti è un tema ricorrente nella produzione artistica di Kostas Spripoulos, quasi esse fossero il punto fermo da cui poi sperimentare le sue diverse anime espressive, come se costituissero un’emanazione di un sentire sensibile che l’artista associa al mondo femminile per la capacità di essere sempre in stretto contatto con il mondo delle emozioni; la tela The last trip infatti è molto più espressionista rispetto all’opera precedente, tende quasi all’Astrattismo di Paul Klee con quello sfondo costituito da quadrati di tonalità diverse interrotti però da una linea su cui vengono inserite delle farfalle, simbolo di libertà e di leggerezza, la stessa che le tre donne hanno provato nel viaggio compiuto insieme e che si appresta a terminare velando le espressioni di quella malinconia generata dalla fine di qualcosa di bello che non si vorrebbe lasciar andare. Qui la gamma cromatica è estremamente vivace e luminosa, sembra quasi che Kostas Spiropoulos voglia mettere in evidenza il sole, il caldo e l’allegria che si respira nella sua terra, sempre più o meno silenziosa protagonista delle sue tele, e che induce le signore a desiderare di rimanere ancora un po’.
La tela Utopia landscape in the mind appartiene invece alla serie di opere più propriamente Metafisiche perché la decontestualizzazione è assoluta, l’immagine centrale del paesaggio sembra entrare nel dipinto come se vi fosse stata apposta in un secondo momento, come se lo sfondo piatto e costituito da un azzurro pieno volesse contenere la bellezza ideale di quello scorcio di Grecia anch’esso ricorrente nei dipinti dell’artista; in questo caso addirittura esso diviene luogo immaginario simbolo di un domani migliore, un posto in cui rifugiarsi senza pensare più a nulla, senza il timore di essere raggiunti da una realtà che a volte può fare paura. La mela rappresenta non più il peccato come nell’iconografia cattolica che la lega alla caduta dall’Eden, bensì il cibo, la nutrizione dell’anima che si verifica nel momento in cui l’interiorità si sente al sicuro e può lasciarsi andare alle sensazioni pure, semplici e prive di qualsiasi barriera difensiva verso l’esterno. Il blu circostante invita l’osservatore a immergersi in quella semplicità, in quell’angolo di paradiso all’interno di cui sembra che nulla potrà accadere se non un ritrovamento della sua vera essenza.
Kostas Spiropoulos, medico di professione e artista per irrinunciabile vocazione, ha alle spalle una lunghissima carriera artistica che lo ha visto esporre le sue opere in mostre personali, collettive e fiere internazionali in Grecia, Italia, Usa, Belgio, Turchia, Francia, Adzerbaijan, Bulgaria, Svizzera, Repubblica Ceca, Austria, Canada e Germania, ha ricevuto molti premi per la sua carriera e le sue opere fanno parte di collezioni private e pubbliche in Grecia e all’estero.
KOSTAS SPIROPOULOS-CONTATTI
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The narrative delicacy of Kostas Spiropoulos’ Pop Metaphysics, a traditional essentiality with contemporary interpretative freshness
In today’s reality, the observation that many creatives make of contingency leads them to forget how much the trace of what is experienced today is the result of what was observed, fought for and sometimes planned in yesterday’s existence, in a past that was important and as such needs to be evaluated; some artists need to draw on the tradition of their land, both from a strictly expressive point of view and from a more conceptual one, because art often needs to bind itself to other cultural disciplines by virtue of which it succeeds in enriching itself by giving the authors the special gift of being a testimony to the entire store of knowledge they carry with them. The artist I am going to tell you about today shows the influence of a figuration that draws on his Hellenic roots, but which he then transforms through a reinterpretation of more modern styles through which he gives the observer his reflective and philosophical vision of current reality.
The artistic liveliness of the first decades of the 20th century gave rise to movements that were often at odds with each other, so distant in their expressive intentions and also in their representational ideology that its interpreters sometimes clashed to support each other’s positions and theses; this was the case with Metaphysical Art and Surrealism, whose greatest exponents did not share the same vision in their approach to painting, Giorgio De Chirico‘s being more measured and full of mysteries and enigmatic settings, and Salvador Dali‘s more disturbing and excessive, populated by nightmares and deformed monsters. Even in that period, however, there were authors who positioned themselves as a middle ground between the two extremes, creating an unconscious connection with which the distance was bridged through a representation devoid of excess, measured and balanced, but whose mysteries were those of the oneiric dimension and the human mind. The Metaphysical Surrealism of René Magritte and Paul Delvaux induced the public to consider aspects of everyday life, of the capacity of the human mind and gaze to interpret the visible and even the invisible in a new way, which would not have been possible without the reflexive stimulus and observational ability of the two authors, effectively entering a more existentialist dimension.
After a long period in which art chose to detach itself from figuration, around the 1940s there was a return to the image with an innovation produced by the United States, that is that of beginning to speak to the general public, to propose the icons of the new means of communication and the symbols of the new emerging bourgeois society with a fascinating and amusing aspect that could also approach those who had not had an adequate cultural education to understand art. Pop Art introduced a lively, cheerful, decontextualised colour palette into the artworks, attracting the viewer’s gaze but concealing meanings and social analyses made by the founder Andy Warhol and then developed in a particularly acute way by the British exponents of the movement, such as Patrick Caufield and David Hockney in which the focus was on the essentiality of the image, on full and vivid colours, flat in some cases or shaded to instil in the eye that sense of familiarity of situations in which to recognise oneself, as if they were part of the author’s own life, laying bare the adherence to the conformism of the era, or the desire to escape from it.
The Greek artist Kostas Spiropoulos blends the metaphysical atmospheres of René Magritte with the expressive Pop simplicity of Patrick Caufield, without forgetting that traditional Hellenic iconography in which figures were essential precisely to allow the message to reach the observer directly; his artworks tell of landscapes of his country suspended between sky and sea, and of the land traditionally considered the cradle of culture and philosophy through which man has been able to progress and expand his knowledge. And it is precisely this explorative and cognitive drive that has led the artist to cultivate his creative side in spite of a profession, that of a doctor, which is decidedly more logical and scientific; his two souls had to interact and coexist in order for him to feel fully satisfied, and it is perhaps by virtue of this observational approach that his paintings present different facets based on the subject he wishes to highlight. The chromatic range, always bright and full, sometimes fragments as if tending towards the geometricity of Cubism, while remaining within a Pop expression, while at others it focuses on the profound meaning of the sense of things by virtue of which Spiropoulos puts the personalisation of the subjects narrated in the background by moving towards Metaphysics, and others instead decontextualises the image by placing it at the centre of an ideal postcard by virtue of which he imagines places where the beauty and calm of his land become the ideal context within which to let go of sensations and lower one’s defences.
The result is a style that is current in form but traditional in stimulated reflection that draws on the philosophy of which Greece, the country where Kostas Spiropoulos was born and lives, was the cradle giving rise to an elevation of the mind that has allowed civilisation to evolve by considering and placing at the center the interiority and the desire to explore the unknowable. The interpretation of silence is the canvas in which the artist invites the viewer to go beyond appearance, not to consider the aesthetic detail but to push into the feeling of those modern figures, listening to their thoughts and desires that go over the contingent moment and insinuate themselves into the dimension of the dream, or the memory of a journey of which they cannot help but recall the uncontaminated and evocative landscapes; the image evokes one of René Magritte‘s most famous works and yet it detaches itself from it by inserting the more emotional sense that Kostas Spiropoulos wishes to bring out, renouncing the enigma about the human mind in order to let prevail that subtle nostalgic veil that envelops the soul when it confronts itself and everything that throught experience it lives.
The group of three fashionable and elegant women is a recurring theme in the artistic production of Kostas Spripoulos, almost as if they were the fixed point from which he then experimented with his different expressive souls, as if they were an emanation of a sensitive feeling that the artist associates with the feminine world for its ability to always be in close contact with the world of emotions; the canvas The Last Trip is in fact much more expressionist than the previous work, tending almost towards Paul Klee‘s Abstractionism with that background made up of squares of different shades interrupted, however, by a line on which are inserted butterflies, a symbol of freedom and lightness, the same that the three women have experienced on the journey they have made together and which is about to end, veiling the expressions of that melancholy generated by the end of something beautiful that one does not want to let go of.
Here the colour palette is extremely vivid and bright, it almost seems as if Kostas Spiropoulos wants to highlight the sun, the warmth and the cheerfulness of his land, always more or less the silent protagonist of his canvases, and which induces ladies to wish to stay a little longer. The canvas Utopia landscape in the mind, on the other hand, belongs to the series of paintigs that are more properly Metaphysical because the decontextualisation is absolute, the central image of the panorama seems to enter the work as if it had been placed there at a later date, as if the flat, full-blue background wished to contain the ideal beauty of that glimpse of Greece that also recurs in the artist’s production; in this case it even becomes an imaginary site symbolising a better tomorrow, a place where one can take refuge without thinking about anything, without the fear of being caught up in a reality that can sometimes be frightening.
The apple no longer represents sin as in Catholic iconography, which links it to the fall from Eden, but rather food, the nourishment of the soul that occurs at the moment when the inner self feels safe and can let go to pure, simple sensations, free of any defensive barrier to the outside world. The surrounding blue invites the observer to immerse himself in that simplicity, in that corner of paradise within which it seems that nothing can happen except a rediscovery of its true essence. Kostas Spiropoulos, a doctor by profession and an artist by vocation, has behind him a very long artistic career that has seen him exhibit his works in solo and group exhibitions and international fairs in Greece, Italy, the USA, Belgium, Turkey, France, Adzerbaijan, Bulgaria, Switzerland, the Czech Republic, Austria, Canada and Germany. He has received many awards for his career and his works are part of private and public collections in Greece and abroad.