Molto spesso tutto ciò che circonda l’essere umano può essere visto e interpretato sulla base della singolarità del soggetto osservante o dal punto di vista da cui si parte per analizzare la realtà circostante; per alcuni autori però l’approfondimento diviene un mezzo necessario per andare a esplorare ogni cosa secondo un approccio differente, più concettuale proprio perché si sofferma su ciò che non emerge e che ha bisogno di una meditazione più ampia per riuscire a essere compreso.
In questo caso il linguaggio artistico non può non adeguarsi a un relativismo osservativo che è necessario per esprimere le sensazioni ricevute a livello inconscio che poi evolvono in riflessioni che si concretizzano a livello visivo attraverso una cifra stilistica in bilico tra i vari estremi della realtà, sottolineando quanto tutto resti a galleggiare nel mezzo. Il protagonista di oggi dà vita a una personalizzazione incisiva e suggestiva di un contemporaneo che ha bisogno di essere studiato con un approccio concettuale quanto percettivo.
Tra la fine del Diciannovesimo e l’inizio del Ventesimo secolo, vi fu in molti artisti una particolare attenzione alla scomposizione dell’immagine, perseguendo quell’impeto di distacco dalla tradizione classica e accademica che faceva dell’utilizzo del colore, delle sfumature e del chiaroscuro il tema predominante per la riproduzione fedele della realtà. Dopo le prime intuizioni impressioniste altre correnti successive hanno esplorato e ampliato il tema della suddivisione del colore, come nel Puntinismo e nel Divisionismo, e poco dopo quel tipo di approccio all’immagine ha dato origine alle correnti più estreme ed eccessive del Novecento come il Futurismo, per cui l’utilizzo della geometrizzazione degli oggetti e dei dettagli e la loro ripetizione era fondamentale a infondere il senso del movimento e della velocità che voleva adeguarsi al rapido progresso in tutti i campi che stava cambiando la vita delle persone, e il Cubismo con cui invece gli autori utilizzavano le forme geometriche per permettere all’osservatore di trovarsi davanti a una realtà improbabile in cui tutti i piani fossero davanti a sé simultaneamente, appiattendo così la prospettiva e sviluppando le quattro dimensioni su un unico piano visivo. In entrambi i casi ciò che faceva la differenza tra un’eccessiva rigidità e un possibilismo inevitabilmente appartenente alla realtà era l’utilizzo del colore, più emozionale e coinvolgente, malgrado entrambi i movimenti fossero più analitici sul concetto e sull’uso della geometricità, nel caso di Umberto Boccioni e Gino Severini per il Futurismo, e più scientifico e determinista nel caso di Juan Gris e Georges Braque nel Cubismo. Ma soprattutto ciò che emerse in modo inequivocabile fu quel vento di innovazione che condusse alcuni artisti coevi a tendere verso l’astrazione più assoluta, allontanandoli di fatto da una forma visibile che invece doveva permanere sia nell’espressività futurista che in quella cubista. L’avanzare del secolo e lo scoppio della prima guerra mondiale permise agli artisti di affrontare una riflessione che li distaccò dalle estremizzazioni sollecitando un ritorno all’ordine che ebbe nel movimento milanese Novecento uno dei suoi massimi esponenti, Mario Sironi, a cui rispose da Bologna la ricerca intimista di Giorgio Morandi, e che si diffuse oltreoceano con il Precisionismo americano, dove pur permanendo una forte componente geometrica, ogni estremizzazione fu abbandonata per essere armonizzata a una rappresentazione che necessitava ritrovare un punto di riferimento in quel visibile funzionale a riequilibrare gli sconvolgimenti del periodo bellico. L’artista lombardo Juri Perin assorbe la geometricizzazione dell’oggettività del Cubismo dandone però una versione personale perché nel suo linguaggio artistico la stilizzazione è estrema pur non andando a generare l’appiattimento della dimensione spazio temporale, anzi, i paesaggi narrati sono perfettamente raccontati dal punto di vista della prospettiva e della profondità, tuttavia l’aspetto degli elementi che li compone è cubizzato, o cubettizzato come preferisce sottolineare lui, quasi a infondere la sensazione di quanto ogni aspetto della realtà sia spesso inquadrato e rinchiuso all’interno di regole, di schemi che con il tempo divengono parte della normalità pur essendo di fatto punti di vista imposti dall’esterno all’individuo.
Eppure, nell’analisi compiuta da Juri Perin, esiste sempre un’altra opzione, quella della morbidezza che sottintende un possibilismo attraverso il quale tutto assume un aspetto differente, tutto può essere affrontato con la scelta di sottrarsi a quelle regole per osservare la realtà seguendo solo il proprio impulso, l’istinto che può condurre anche verso decisioni fuori dalle righe della conformazione alle regole.
L’effetto visivo è dunque insolito, si avvicina alla geometricità figurativa di Paul Klee mescolata alla suggestione silenziosa di Carlo Carrà eppure supera entrambe spostandosi verso un’astrazione che però va a ricomporre i panorami in una forma differente, quasi come se i dettagli appartenessero alla dimensione del sogno, a frammenti colti distrattamente con l’emozione che poi si vanno a cementare e cristallizzare nel ricordo che rielabora e interiorizza.
In alcune tele la gamma cromatica è più affine al paesaggio raccontato, in altre invece si distacca dalla realtà e tende verso una maggiore affinità con il sentire, con il mondo immaginario dentro cui l’interiorità si sente serena e appagata; in entrambi i casi i colori sono sfumati perché il rigore della geometricità è affidato alle linee, mai troppo nette ed evidenti ma funzionali a generare quei lati e quegli spigoli che fanno parte del mondo di regole in cui l’essere umano contemporaneo si trova, soprattutto si è trovato nel periodo pandemico durante il quale lo stile di Juri Perin si è evoluto verso la direzione attuale, e alla contiguità dei cubi che definiscono l’ambiente tanto quanto avevano fatto in passato i piccoli tocchi circolari del Puntinismo, le linee irregolari e ripetute del Futurismo e le scomposizioni visive del Cubismo. Juri Perin compone, costruisce e genera un mondo diverso, che va oltre la realtà e si spinge verso il concetto, ed è questo il modo in cui egli stesso osserva il visibile, i luoghi che vede costantemente davanti a sé reinterpretandoli in virtù di quella capacità di andare più a fondo, lasciando la possibilità al fruitore di riflettere su quanto in fondo il dettaglio perfetto non sia fondamentale alla mente che invece ha un suo processo selettivo legato al sentire.
Le atmosfere sembrano così quasi metafisiche, sospese in una dimensione di mezzo tra realtà e immaginario e avvolgono per l’utilizzo della cromaticità tenue ed evocativa, come nella tela Nuvola su terra che evapora dove la forma della nube è completamente cubettata, quasi a voler sottolineare la pesantezza di ciò che spesso appartiene alla terra, metafora di un essere umano che ha perso la semplicità e la capacità di godere delle piccole cose e soprattutto divenuto incapace di lasciare da parte la competitività, la corsa verso il potere, il desiderio di prevaricazione e di predominio sull’altro. Attraverso i cubi che costituiscono la nuvola, Juri Perin sembra volersi augurare che le brutte abitudini dell’uomo attuale evaporino e si dissolvano in cielo per generare un nuovo domani, più sereno e pacifico come la tonalità giallo dorato con cui rappresenta il cielo sembra suggerire.
Nell’opera Lago di Segrino
5 Lago di Segrino – olio su tela, 50x70cm
invece, raffigurante un luogo specifico e ben definito della sua Lombardia, l’artista sottolinea ancor più il netto contrasto tra il rigore e la morbidezza, tra la geometricità e la mobilità di tutto ciò che, seppur in modo forse meno determinista rispetto alla solidità, può sopraggiungere e dare una versione differente, con una forza meno irruenta eppure altrettanto plausibile; qui il lago, narrato attraverso acque verdi sulla cui superficie galleggiano delicate ninfee, sembra arginare la compattezza e la stoicità della terra, e tuttavia nella realtà è forse più vero il contrario perché spesso è la terra a dover contenere il lento avanzare delle acque. La riflessione verte dunque su quanto sarebbe più semplice lasciarsi andare agli accadimenti senza volersi aggrappare a certezze troppo spesso simili a zone sicure che non nascondono sorprese e che nonostante l’opposizione si verificheranno comunque, non necessariamente generando effetti negativi.
Con L’isola delle lucertole blu invece Juri Perin si sposta nella dimensione del sogno, della totale rivisitazione di un posto esistente dall’arta parte del globo che diviene allegoria di tutto ciò che di incontaminato potrebbe ancora esistere se l’azione dell’uomo non andasse costantemente a disturbare la natura e a rompere gli ecosistemi esistenti; qui dunque i cubi vogliono rappresentare una protezione per gli animali che sembrano completamente mimetizzati con le pietre, perché nascondersi è l’unico modo per trovare rifugio e difesa da un’ingerenza esterna che ne minaccia l’esistenza. Ecco dunque che nelle opere ermetiche dell’artista emergono messaggi inattesi che svelano il suo punto di vista sulla realtà contemporanea, le sue contraddizioni e le sue regole ormai distanti da quelle della natura.
Juri Perin partecipa regolarmente a mostre nazionali e internazionali, ha preso parte alla 60° Biennale di Venezia come The Perceptive Group, ed è stato inserito in diversi cataloghi d’arte, tra i quali l’Atlante dell’Arte Contemporanea e il Catalogo d’Arte Moderna Giorgio Mondadori.
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Juri Perin’s unreal panoramas, between geometricity and softness to highlight the contrasts of contemporary living
Very often everything that surrounds the human being can be seen and interpreted on the basis of the singularity of the observing subject or the point of view from which one starts to analyse the surrounding reality; for some authors, however, in-depth study becomes a necessary means to explore everything according to a different approach, more conceptual precisely because it dwells on what does not emerge and needs broader meditation to be understood.
In this case, the artistic language cannot fail to adapt to an observational relativism that is necessary to express the sensations received at an unconscious level, which then evolve into reflections that are realised at a visual level through a stylistic figure poised between the various extremes of reality, emphasising how everything remains floating in the middle. Today’s protagonist gives life to an incisive and suggestive personalisation of a contemporary that needs to be studied with a conceptual as much as a perceptive approach.
Between the end of the 19th and the beginning of the 20th century, there was in many artists a particular focus on the decomposition of the image, pursuing that impetus of detachment from the classical and academic tradition that made the use of colour, shading and chiaroscuro the predominant theme for the faithful reproduction of reality. After the first Impressionist intuitions, other subsequent currents explored and expanded the theme of colour subdivision, as in Pointillism and Divisionism, and shortly afterwards that type of approach to the image gave rise to the most extreme and excessive currents of the 20th century such as Futurism, for which the use of the geometricisation of objects and details and their repetition was fundamental to instilling a sense of movement and speed that wanted to adapt to the rapid progress in all fields that was changing people’s lives, and Cubism with which, on the other hand, authors used geometric shapes to allow the observer to be confronted with an improbable reality in which all planes were in front of him simultaneously, thus flattening perspective and developing the four dimensions on a single visual plane.
In both cases what made the difference between an excessive rigidity and a possibilism that inevitably belonged to reality was the use of colour, which was more emotional and involving, despite the fact that both movements were more analytical about concept and the use of geometricity, in the case of Umberto Boccioni and Gino Severini in Futurism, and more scientific and determinist in the case of Juan Gris and Georges Braque in Cubism. But above all, what emerged unequivocally was that wind of innovation that led some contemporary artists to tend towards the most absolute abstraction, effectively distancing them from a visible form that instead had to remain in both Futurist and Cubist expressiveness. The advance of the century and the outbreak of the First World War allowed artists to face a reflection that detached them from extremes, urging a return to order that had in the Milanese movement Novecento one of its greatest exponents, Mario Sironi, to which the intimist research of Giorgio Morandi responded from Bologna, and which spread across the Atlantic with American Precisionism, where although a strong geometric component remained, every extreme was abandoned in order to be harmonised with a representation that needed to find a point of reference in that visible functional to rebalance the upheavals of the war period.
The Lombard artist Juri Perin absorbs the geometricisation of Cubism‘s objectivity, but gives it a personal version, because in his artistic language, stylisation is extreme without flattening the space-time dimension; on the contrary, the narrated landscapes are perfectly told from the point of view of perspective and depth, however, the appearance of the elements that compose them is cubed, or cubectivised as he prefers to underline, almost as if to instil the feeling of how every aspect of reality is often framed and enclosed within rules, within schemes that with time become part of normality despite being in fact points of view imposed from outside on the individual. And yet, in Juri Perin‘s analysis, there is always another option, that of softness, which implies a possibilism through which everything takes on a different aspect, everything can be approached with the choice of evading those rules in order to observe reality by following only one’s own impulse, the instinct that can also lead towards decisions outside the lines of conforming to rules.
The visual effect is therefore unusual, approaching the figurative geometricity of Paul Klee mixed with the silent suggestion of Carlo Carrà, yet going beyond both, moving towards an abstraction that recomposes the landscapes in a different form, almost as if the details belonged to the dimension of dreams, to fragments captured distractedly with emotion that are then cemented and crystallised in the memory that is re-elaborated and internalised. In some canvases the chromatic range is more akin to the narrated landscape, while in others it detaches itself from reality and tends towards a greater affinity with feeling, with the imaginary world within which interiority feels serene and fulfilled; in both cases the colours are shaded because the rigour of geometricity is entrusted to the lines, never too sharp and evident but functional in generating those sides and edges that are part of the world of rules in which the contemporary human being finds himself, especially found in the pandemic period during which Juri Perin‘s style evolved towards its current direction, and to the contiguity of the cubes that define the environment as much as the small circular touches of Pointillism, the irregular and repeated lines of Futurism and the visual decompositions of Cubism did in the past.
Juri Perin composes, constructs and generates a different world, one that goes beyond reality and pushes towards the concept, and this is the way in which he himself observes the visible, the places he constantly sees before him, reinterpreting them by virtue of that ability to go deeper, leaving the viewer to reflect on how in the end the perfect detail is not fundamental to the mind that instead has its own selective process linked to feeling. The atmospheres thus seem almost metaphysical, suspended in a dimension somewhere between reality and the imaginary, and they envelop one in the use of soft and evocative chromaticity, as in the canvas Nuvola su terra che evapora (Cloud on evaporating earth) where the shape of the cloud is completely cubed, almost as if to emphasise the heaviness of what often belongs to the earth, a metaphor for a human being who has lost the simplicity and ability to enjoy small things and, above all, has become incapable of leaving aside competitiveness, the race for power, the desire for prevarication and dominance over others.
Through the cubes that make up the cloud, Juri Perin seems to wish that the ugly habits of present-day man would evaporate and dissolve into the sky to generate a new tomorrow, more serene and peaceful as the golden yellow shade with which he represents the sky seems to suggest. In the artwork Lago di Segrino (Segrino Lake), on the other hand, which depicts a specific and well-defined place in his Lombardy region, the artist emphasises even more the stark contrast between rigour and softness, between geometricity and the mobility of everything that, although perhaps less deterministically than solidity, can come along and give a different version, with a less impetuous yet equally plausible force; here the lake, narrated through green waters on whose surface delicate water lilies float, seems to stem the compactness and stoicity of the earth, and yet in reality the opposite is perhaps more true because it is often the earth that has to contain the slow advance of the waters.
Reflection therefore focuses on how much simpler it would be to let go of events without wanting to cling to certainties too often resembling safe havens that do not conceal surprises and which, despite opposition, will still occur, not necessarily generating negative effects. With L’isola delle lucertole (Island of blue Lizards), Juri Perin instead moves into the dimension of dreams, of the total reinterpretation of a place that exists on the other side of the globe, which becomes an allegory of everything uncontaminated that could still exist if man’s action did not constantly disturb nature and disrupt existing ecosystems; here, therefore, the cubes are meant to represent a protection for animals that seem to be completely camouflaged with the stones, because hiding is the only way to find refuge and defence from external interference that threatens their existence. Thus, in the artist’s hermetic works emerge unexpected messages that reveal his point of view on contemporary reality, its contradictions and its rules that are now far removed from those of nature. Juri Perin regularly participates in national and international exhibitions, took part in the 60th Venice Biennale as The Perceptive Group, and has been included in several art catalogues, including the Atlante dell’Arte Contemporanea and the Catalogo dell’Arte Moderna Giorgio Mondadori.