MILANO – É un uomo alto, grigio di capelli, sempre in camicia. La sua bancarella, è la più intrigante al mercatino di Brera, il terzo sabato di ogni mese. Gli strumenti musicali sono i suoi pezzi forti. Trombe, tromboni, oboe, clarinetti. Strumenti da banda, che fanno allegria solo a guardarli. E poi gli oggetti più strani, punte di aratro, lanterne di minatori, bilance di orafi, legni lavorati da contadini della Lombardia. C’è da passare del tempo prima di conoscere tutti gli oggetti magici di Tino. Quando lo incontro cerco di Emilio, il suo socio, un uomo piccolo e pelato, sempre sorridente, forse più simpatico di lui.
“Arrivi in ritardo, Emilio non c’è più. Sette mesi fa se ne è andato per sempre. Se guardi bene gli strumenti non sono più lucidati come si deve, lo faceva lui troppo bene. Io non ho la sua pazienza”.
Ma l’ho visto l’ultima volta che sorrideva il tuo amico. Tutto bene, mi ha ripetuto, tutto bene. E mi salutava con un braccio, come partisse per un viaggio.
“Lui è veramente partito. S’è suicidato. S’è sparato e impiccato nello stesso istante. L’ho trovato nel suo appartamento con la testa fracassata da un colpo di pistola, e il corpo penzolava dal soffitto… il collo era stretto ad una cinghia di cuoio vecchia di un secolo. Penzolava e sanguinava. E io l’ho abbracciato per l’ultima volta con la dolcezza del suo più caro amico”.
Aveva gli occhi chiusi o aperti?
“Che strano, questa domanda me l’hanno fatta in tanti qui al mercatino. Sarà che lui aveva gli occhi chiari, come il mare. Sprizzavano allegria, voglia di vivere. Li aveva chiusi, per fortuna. Pareva addormentato. E nonostante la stretta di quella cinghia, le sue labbra erano rimaste immobili in una specie di sorriso. Mi voleva bene Emilio. Voleva bene a te, a tutti quelli che passavano di qua e chiedevano notizie sugli strumenti, sugli oggetti in vendita. Non gli importava se si concludeva l’affare o no. Lui si divertiva a raccontare da dove arrivava il trombone, dove aveva trovato la caffettiera, o il misurino del grano di una fattoria lontana”.
Fai fatica a raccontare?
“Mi sembra sempre la prima volta, quando ho dovuto farlo con la polizia. Tutti i particolari, le ore esatte dell’ultimo appuntamento, le telefonate. I suoi problemi famigliari erano immensi. Io credo che non possiamo giudicare chi non ha più le forze per vivere. Per loro l’unica e ultima soluzione è quella di farla finita col mondo. E allora inventano i metodi più balordi per chiudere. Finire sotto un tram, un treno, o buttarsi da un balcone. Emilio ha scelto la pistola di un suo vecchio zio. Un’arma della grande guerra. Il proiettile che gli ha perforato la testa dal basso verso l’alto, era perfettamente conservato, oliato. A vederla, quella pistola sembrava un vecchio giocattolo, inutilizzabile. Una pistola da favola per bambini. E invece lui è riuscito a trasformarla in un’arma per una tragedia. Tutto riusciva a far rivivere Emilio, tutto e forse anche se stesso in un’altra dimensione. Era un bambino di sessant’anni che giocava col traguardo del 2020. Voleva sorpassarla di corsa, quella data, innamorato pazzo. Guarda come è strana questa bilancia leggera per pesare la lana. E’ un oggetto dei primi del Novecento. Lui l’ha trovata, non so dove, l’ha restaurata, e poi l’ha portata qui, esattamente sette mesi fa, l’ultima volta che abbiamo esposto insieme”.
Posso comprarla?
“Dopo il 2020 come lui voleva. Io al suo posto. Ma lui è dentro di me, quindi devo portare al di là del 2020 come lui voleva”.
Gli parli?
“Tutte le sere. Vado spesso nel suo studio, che è rimasto intatto.Nessuno ha ancora portato via gli oggetti d’antiquariato. C’è tutto il suo carattere colorato e sognatore. Una sera ci sono rimasto più del solito. Mi sono seduto su una sedia di legno di fine Ottocento. Legno semplice, che lui aveva lucidato a nuovo. Intorno a me avevo tutti gli strumenti che tu sai. Tutta una banda, ma senza i suonatori. All’improvviso dalla finestra è arrivata come una ventata gelida. Chissà, sarà stato l’effetto della corrente, perché avevo lasciato la porta aperta dietro di me. Fatto sta che quella strana ventata faceva sibilare tutti gli strumenti.
Suonavano. Come se Emilio si divertisse a dirigere i suonatori che non c’erano. Le trombe, i tromboni, gli oboe, i clarinetti, persino i tamburi fremevano. E non è durata poco quella strana musica. Penso dieci minuti. É stato il brivido più intenso e balordo di tutta la mia vita. E ne ho passate di battaglie. Per combatterle, mi sono distratto, e non ho aiutato il mio miglior amico. Vivo di rimorsi, di frasi non dette, di telefonate non fatte. Eppure, con quello strano concerto di dieci minuti, Emilio voleva dirmi di stare tranquillo, di non sentirmi in colpa, voleva parlarmi, aggiungere qualche frase rassicurante. Voleva dirmi quelle parole che non ha fatto in tempo a registrare su un nastro, o a scrivermi in una lettera”.
Ha ceduto a due anni dal 2020.
“É quello che mi fa impazzire. Lui che credeva nel gioco del tempo. Guarda quegli orologi in fondo alla bancarella. Lui li ha trovati chissà dove. Sono antichi, autentici. Non so come riuscisse a farli funzionare. Li smontava, li curava come fossero creature, e loro ripartivano, misteriosamente. Questo era Emilio, un uomo senza tempo ma che adorava il tempo degli orologi. C’è una grande pendola nel suo studio. E’ la che io sarò a mezzanotte del 2020. Devo sentirla suonare la sua pendola, quando arriva il 2020. Vorrei raccontare la storia di Emilio, i suoi sogni, la sua dolcezza, a migliaia di persone. E fare ascoltare a tutto il mondo a mezzanotte del 2020”.