Un intenso documentario girato nei campi profughi mostra una quotidianità fatta di coraggio e disperazione
“La forza delle donne” è il racconto del viaggio di Laura Aprati, esperta giornalista di inchiesta e del giovane regista Marco Bova, fra libano, Siria e Iraq, scritto e sceneggiato con e per le donne travolte dai conflitti che dilaniano quei Paesi.
Figure femminili, prime vittime degli orrori bellici, da sempre marginali negli equilibri sociali e politici, oggi centrali nelle fughe dalla famiglia lontano dai teatri di guerra.
Donne di ogni etnia e religione si trovano fianco a fianco a dettare a Laura Aprati storie di coraggio e disperazione. “Abbiamo girato nei campi profughi, dove il dolore e l’angoscia, la paura e l’insicurezza sono le uniche cose che non scoraggiano. Luoghi dove le donne invertono il rapporto storico con l’altro sesso e diventano l’anello forte,, in grado di resistere, organizzare e amministrare il campo”, racconta la giornalista.
“Perchè – continua l’Aprati – se le emergenze rimbalzano sui tavoli della politica internazionale e sugli schermi tv, è nella quotidianità oscura e dimenticata, che emerge la vera forza delle donne”.
Sono donne quelle che accolgono le loro pari genere e insieme si sforzano di mantenere un senso umano, dalla pulzia della tenda alla dignità di vestire i figli con abiti puliti, a distribuire cibo e la poca acqua a disposizione.
“Il bisogno di raccontare la loro vita quotidiana, di gridare al mondo l’oscenità della guerra è forte quanto l’orgoglio di invitarci a prendere un tè nella loro tenda, sacrificando buona parte della loro razione di acqua giornaliera”, ricorda la giornalista, una punta di commozione nella voce.
La metà dei rifugiati al mondo è di sesso femminile, donne giovani e anziane, bambine, tutte sottoposte all’indifferenza quando va bene, alle sopraffazioni e alle insidie sessuali negli altri casi. E allora la donna esce dai confini dove la cultura locale la costringe e si industria in tutto, si difende dalle molestie, scava latrine e smina i terreni attorno a casa per non vedere saltare in aria i propri figli mentre corrono, giocando.
Assume l’incredibile ruolo di capofamiglia, quando l’uomo è lontano, morto o semplicemente depresso e incapace di reagire alla prova infinita dalla vita.
Tra le donne che aprono le braccia alle loro sorelle, a Beirut c’è suor Antoinette, in uno dei campi sostenuti dalla Focsiv, la Federazione degli degli organismi cristiani servizio internazionale volontario.
“Qui dividiamo i dolore e la sofferenza con le nostre sorelle, di qualunque credo e Paese, perchè la religione è per Dio e l’aiuto è per tutti” sorride dolcemente.