La storia di Andrea, colpito da un raro tumore renale a 12 anni, palesa l’importanza di incontrare i medici giusti, capaci non solo di curare e di applicare gli ultimi ritrovati della ricerca, ma anche di sostenere il paziente negli inevitabili momenti di sconforto.
Andrea ha 12 anni. É estate e sta giocando a pallone con gli amici sulla spiaggia quando sente un forte dolore allo stomaco. Il giorno dopo il dolore si fa più intenso, la madre decide di portarlo a fare un controllo e il suo medico suggerisce di eseguire un’ecografia.
Insieme ai genitori, Andrea va all’ospedale Gaslini di Genova e, immediatamente dopo l’esame, capisce che qualche cosa non va. Gli vieme diagnosticato un tumore di Wilms (un cancro ai reni) e viene operato d’urgenza. É il 15 luglio 1996. Da quel momento per lui la vita cambia.
La chemioterapia lo costringe a stare a casa: ha continuamente la nausea ed è molto debole. Ma Andrea è un bambino tranquillo, ottimista, positivo, ed è convinto di farcela. La famiglia è fondamentale: il papà, la mamma e il fratello Alessandro. “Mio fratello non mi ha mai trattato da malato. In casa di nascosto facevamo dei tiri a pallone. Mi dava perfino le botte! Ma questo atteggiamento mi aiutava a sentirmi meno malato”.
I medici che lo hanno in cura sono per lui quasi una seconda famiglia, lo accompagnano nel suo percorso di terapia, spiegandogli tutto con parole molto semplici.
LO SCONFORTO
A gennaio del 1997, dopo quattro mesi, la terapia finisce, ma le notizie non sono buone. Andrea ha una ricaduta. Ma questa volta non ha più la forza di continuare. “Ho parlato con i miei genitori e ho detto basta, io non faccio più niente, mi fermo qua”. Ma i genitori lo portano in ospedale a parlare col direttore del reparto di oncologia pediatrica che riesce a convincerlo.
“Appena l’ho visto e lui mi ha detto ‘ciao Andrea’, le mie resistenze sono crollate. la sua convinzione, la sua tranquillità, mi hanno dato di nuovo fiducia”.
Andrea inizia un nuovo ciclo di chemioterapia associato alla radioterapia, non più a casa, ma in ospedale. E di questo lui è quasi felice perchè, grazie alla continua assistenza, riesce a stare meno male e ad attenuare la nausea. Dopo quattro mesi di cure, una nuova difficile prova. Bisogna decidere se operare ancora. I medici lasciano la decisione ai genitori. E così, a un anno di distanza dalla prima, una nuova operazione. É il 1° luglio 1997. E per Andrea sarà l’ultima.
PIÚ FORTE E TENACE
Da allora però è sempre stato bene. Il 30 agosto di quello stesso anno è di nuovo sul campo di calcio a giocare a pallone. E non ha mai smesso.
Andrea sostiene che la malattia lo ha reso più forte. Ora non si spaventa tanto facilmente. “Per i miei genitori è stata quasi più dura, è stato un anno terribile per loro. Mi ricordo, dopo la prima operazione, era luglio, faceva molto caldo, e mio padre è stato vicino a me tutta la notte a farmi vento con un giornaletto. Non ha mai smesso, ogni volta che aprivo gli occhi, lui era lì che sventolava”.
Nessuno di loro ha mai perso la speranza, grazie anche al sostegno e all’incoraggiamento dei medici che hanno seguito Andrea passo dopo passo.
“Non bisogna mai darsi per vinti, mai farsi prendere dallo sconforto. Bisogna affidarsi al cento per cento ai medici e ai ricercatori. Sono persone che fanno di tutto, per farci tornare alla vita normale, ai nostri progetti, ai nostri sogni, e per permetterci di continuare la nostra vita come prima”.