Arra quelle due erre arrotate sulla lingua, il suono di quel nome è vivo nella mia mente come se tutto fosse accaduto ieri. Arra era la cavalla da traino della mia famiglia, eravamo in tanti, c’erano i nonni, i miei genitori, sorelle, fratelli, ziii e cugini. Gli adulti lavoravano i campi, erano contadino e io ero piccolino. Arra era grande, alta, enorme come la vedono due occhi di bambino. Era tutta bianca con la criniera e la coda un poco ingiallite, aveva il muso lungo, due grandi occhi neri, le orecchie attente e le sue narici, viste dal basso, erano come due profondi crateri.
Trainava il carro verso la campagna per andare a raccogliere l’erba appena tagliata. Non aveva le redini, non ne aveva bisogno, bastava una voce a guidarla: “Ora volta da quella parte!” qualcuno con tono imperioso le gridava – se girava la testa dalla parte sbagliata di nuovo si alzava la voce che diceva: “No! Dall’altra parte!“. Lei correggeva la sua direzione e svltava decisa dalla parte giusta.
Nel viaggio d’andata, quando il carro era vuoto, un adulto mi alzava da terra e mi metteva seduto sul bordo, con le gambe penzoloni. Guardavo con occhi sgranati la cavalla: pensavo che fosse la Mia cavalla! Osservavo ogni suo passo e mi sentivo in viaggio con lei su quel carro. Con stupore ammiravo la sua intelligenza perchè spesso, senza ricevere i comandi, svoltava sulla carreggiata giusta, dove il prato era appena tagliato. Con le sue grandi narici seguiva il fresco profumo dell’erba e i suoi occhi facevano il resto.
Una volta mi raccontarono che quando ero piccino dormivo dentro una grande cesta di legno collocata in mezzo al portico, per avermi vicino mentre lavoravano nella stalla. Un giorno Arra era fuggita dal recinto e imbizzarrita era arrivata al galoppo sotto il portio. Correva e tutti pensarono che mi avrebbe travolto ma la cavalla quando mi vide fece un balzo e saltò oltre la cesta. Quando me lo dissero immaginai la cavalla bianca con le ali volare sopra di me, volare in alto in alto, per non farmi del male.
Arra tirava due carri insieme con le ruote di ferro. Erano pesanti perchè avevano sopra due grosse botti di legno, ricolme di acqua raccolta nel fiume. Dal fiume a casa lei trainava tutto quel peso con l’aggiunta di una turbina per estrarre l’acqua, agganciata all’ultimo carro.
Durante il tragitto, piegata sotto il peso tirava con estremo sforzo quel carico, era affannata, respirava a stento. Ogni passo che faceva riceveva una bastonata: “più forte! Più forte! Vai più forte bestiaccia!” si sentiva urlare e poi altre bastonate a ripetizione, sempre più violente, durante l’intero percorso. Vedevo Arra mentre cambiava colore, diventava tutta grigia bagnata di sudore, vedevo i suoi nervi e i muscoli gonfiarsi quasi a strapparle la pelle, le sue vene erano grosse come funi. Aveva i lividi delle botte sulla parte posteriore, era stremata ma resisteva fino a casa.
Perchè sono così cattivi? Perchè non le fanno portare una sola botte? Piangevo e non capivo il perchè di tanta violenza.
Durante la pausa, dopo pranzo, quando gli uomini andavano a riposare, io andavo a trovare Arra nel suo stallino. le sussurravo: “Arra, Arra, come un soffio, sono qui, vieni che ti do una mela!” Lentamente lei spostava la sua grande mole, girava su se stessa per portare il muso verso la porta. Sporgeva il lungo collo oltre la sbarra di ferro che chiudeva la sua cella, lei mi guardava e chinava la testa alla mia altezza portando la bocca verso la mela. Sfiorava con le labbra la mia mano mentre afferrava il frutto e mi mostrava i suoi grandi e bianchi dentoni. Ero felice, sentivo la sua carezza sul palmo della mano, mentre con l’altra le accarezzavo la testa.
Arra rimaneva sempre in piedi anche quando era a riposo dentro il suo stallino, e chiesi a qualcuno: “Perchè non si sdraia per dormire?”.
“I cavalli dormono in piedi” mi dissero, ma io non ci credevo, pensavo che per riposare si dovesse sdraiare. Una sera andai a trovarla senza farmi sentire, la vidi adagiata su un fianco che masticava tranquila. Ero molto contento di trovarla sdraiata nel suo letto di paglia, pensavo che ne avesse bisogno con tutte le fatiche che faceva durante il giorno!
Un giorno vidi nel cortile un grande trattore, mi dissero: “Arra non c’è più. se n’è andata!”.
E io chiesi “Dove?“.
“Al macello del paese” mi risposero senza mostrare sentimento.
Sono passati tanti anni e ancora oggi quel bimbo di allora quando parla di Arra sente un nodo alla gola.