Dal 18 gennaio al 3 febbraio 2020 esposizione del progetto fotografico di Florian D’Angelo al Museo Ugo Guidi di Forte dei Marmi
FORTE DEI MARMI – Il Museo Ugo Guidi – MUG di Forte dei Marmi realizza il 160mo evento d’arte presentando l’esposizione del progetto fotografico di Florian D’Angelo, dal titolo “Mare che sa parlare – MareMeerMarSeaMer”.
La mostra, che anticipa un progetto che col sostegno del Comune di Forte dei Marmi sarà presentato nella scuola media Ugo Guidi di Forte dei Marmi, sarà presentata da Lorenzo Belli con inaugurazione al Museo Ugo Guidi sabato 18 gennaio alle ore 17.
L’esposizione al MUG sarà visitabile dal fino al 3 febbraio 2020. Aperto su appuntamento al telefono 348-3020538 o museougoguidi@gmail.com.
“Il ritmo vertiginoso del cambiamento svalorizza tutto ciò che potrebbe essere desiderabile e desiderato oggi, contrassegnandolo fin dall’inizio come lo scarto di domani, mentre il timore di essere scartati che trasuda dall’esperienza del ritmo vorticoso del cambiamento induce i desideri a essere più avidi, e il cambiamento stesso a essere più rapidamente desiderato…”
Zygmunt Bauman , Vite di scarto
La ricerca “MareMeerMarSeaMer” intrapresa quattro anni fa da Florian D’Angelo abbraccia la complessità e la natura itinerante di processo di scoperta, acquisizione e studio delle dinamiche ambientali dedicate all’ecosistema marino. L’aggravarsi dell’emergenza ambientale legata allo spreco di risorse e ai temi legati al riscaldamento globale rendono l’opera di D’Angelo ancora più attuale. L’utilizzo di mezzo fotografico per documentare l’inquinamento marino è andato di pari passo a quello della performance attraverso mezzi di comunicazione tradizionali come l’apposizione di manifesti pubblici e la presenza in gallerie e sedi museali istituzionali. La sua ricerca ha incluso partner istituzionali, enti ed esperti in campo di conservazione della biosfera, includendo workshop e giornate dedicate alla conoscenza del problema dell’inquinamento che, partendo dalle spiagge toscane, si fa globale.
D’Angelo ci interroga sul ruolo della nostra specie e sull’impatto che abbiamo sul pianeta che ci ospita come ineludibile effetto collaterale del progresso economico. Con la sua opera denuncia lo stato dei mari attraverso il materiale ritrovato sulle nostre spiagge: macerie che appartengono all’uomo e che a questo ritornano come relitti di una società che produce più di quanto richiesto. Questi oggetti, scarto della nostra società dei consumi, sono riprodotti dall’artista in maniera assoluta, decontestualizzati dall’ambiente circostante, come relitti senza tempo e senza spazio. Nel suo lavoro c’è un tema iconografico che riguarda la natura e la sua mutazione in relazione all’uomo e sono ineludibili al confronto teoretico. La percezione che ognuno di noi ha sull’opera di D’Angelo è complessivamente varia ma lo spettatore è coinvolto e stimolato ad avvicinarsi per comprendere la relazione tra uomo e ambiente. Questo paradigma può essere sciolto in maniera attiva, prendendo come assunto l’uomo tiranno dei sui tempi o in maniera passiva, come teoria dell’abbandono perché si tratta di scarti rispetto a cui non è concepibile alcun riciclaggio ecologico, sociale, economico.
I rifiuti e il loro scarto sono il simbolo dell’accelerazione dei tempi e rappresentano ciò che a tutti i costi vogliamo rimuovere, fino a dimenticarcene: questi ci appaiono come rovine ineludibili delle nostra società per i quali proviamo una centra empatia in quanto ci appartengono ma verso i quali abbiamo già elaborato il lutto e creato una distanza verso questi. La dimensione escatologica dei rifiuti, degli scarti è legata tanto all’archeologia dei saperi di Foucaultiana memoria, che ci dà il diagramma di stato di un’opera, quanto alla funzione sociale di attivatore sociale; anche D’Angelo vuole stimolare il singolo fruitore riattivando il pensiero critico, la sua opera diventa mezzo e fine di comunicazione sociale e l’artista diventa curatore e primo spettatore di se stesso. Gli scatti di D’Angelo sono dispositivi di analisi che indicano come cartelli il pericolo prossimo lungo la strada di sviluppo da noi intrapresa.
LORENZO BELLI