Il Coronavirus costringe le imprese a digitalizzare i processi e capire i punti deboli della propria capacità di produrre per non soccombere
In queste settimane gli imprenditori hanno passato parecchie notti insonni, prima inseguendo i decreti e adeguandosi a gestire le norme di sicurezza, poi cercando di capire quali fossero le prospettive di sopravvivenza delle aziende nell’immediato. Infine, è stata la volta della comprensione dei problemi finanziari, attuali e futuri, e di come rendere operative le risorse necessarie per tornare al lavoro. Adesso è il momento di capire cosa accadrà dopo e, soprattutto, come.
Come sarà il mondo dopo il Coronavirus e, soprattutto, su quali azioni gli imprenitori indirizzeranno gli imprenditori la propria attività? Lo abbiamo chiesto a Nicola Camurri, esperto di Comunicazione e Marketing Developmente Manager.
Camurri esordisce spiegando come l’uso diffuso dell’analogia e della metafora per semplificare i fenomeni complessi abbia messo in relazione la situazione attuale con gli scenari economici post-bellici e con l’ultima grande crisi finanziaria del 2008 e che ci sono un pò di punti fermi che possono aiutarci almeno nell’orientare alcuni comportamenti di breve periodo.
“Lo stop è stato per tutti traumatico e veloce -afferma l’esperto- Il fenomeno del revenge spending ci mostra che per alcuni esista un desiderio di una ripartenza altrettanto traumatica e veloce nei confronti del quale appare già evidente come non possiamo essere preparati”.
A suo parere, a qualsiasi livello si operi, sarà fondamentale predisporre un sistema di gestione dei flussi per poterli incanalare. Questo fenomeno sarà possibile solo per chi avrà adeguati sistemi tecnologici per gestire le proprie basi di dati. Chi, invece, nelle attuali procedure e nei propri piani strategici non vedrà comparire termini come automazione, intelligenza artificiale, big data, Gdpr compliance, cloud e olti altri, o non avrà saputo raccogliere abbastanza dati di quelli che servono per il proprio business, dovrà necessariamente correre al più presto ai ripari.
“Anche per chi si sente aggiornato agli standard tecnologici, un’analisi dei processi e delle procedure è un bel modo di usare l’attesa per la riapertura”, continua Camurri. Il consiglio é quello di prepararsi ad investire le risorse finanziarie che dovrebbero arrivare a sostegno della ripresa in maniera da dotarsi di ciò che servirà davvero e a pensare come ovviare alla mancanza di mezzi anche attraverso alleanze strategiche.
Progettiamo una gestione il più possibile one to one delle relazioni che ogni funzione aziendale intrattiene e da cui dipende”. Per Camurri l’emergenza Coronavirus ci ha reso consapevoli di quanto alcuni ritardi del nostro sistema non siano più sostenibili e il fronte più esposto nel mondo post-lockdown è quello della digitalizzazione.
“Forse il ricorso forzato a forme di smart-working avrà aiutato a superare un primo ostacolo rendendo le organizzazioni un po’ più resilienti e un pochino più orientate alla digitalizzazione“.
Ritiene, però, che non sia sufficiente avere inserito, per altro in un contesto emergenziale, alcune attività permesse dalla tecnologia per essere pronti, ma occorre digitalizzare i processi e capire i punti deboli della propria capacità di produrre e comunicare valore al mercato.
“La fase di transizione sarà una fase di selezione naturale degli operatori in cui la capacità di mantenere relazioni e processi in remoto sarà nevralgica nella continuità delle proprie catene di fornitura e della relazione con i propri clienti”.
L’esperto ricorda che, nonostante sia facile concentrarsi sulla distruzione di valore che questa crisi porta con sé e sulle esigenze difensive, stanno anche nascendo nuovi e urgenti bisogni a cui rispondere e alcuni di questi generano delle opportunità per innovazioni di prodotto e servizio che dobbiamo avere la capacità di cogliere.
“Quale che sia la nostra visione del futuro, prepariamoci a lavorare con grande impegno e volontà per ricavare il meglio da questa crisi. Per togliere al virus la capacità di dettare l’agenda dobbiamo ricorrere alla nostra determinazione più autentica”, conclude Camurri.