Il cambiamento è una storia che non si può fermare. Intervista a Majdi Karbai

716

majdi karbaiLa Tunisia è spesso lodata per essere stata il primo paese arabo a liberarsi dal giogo dell’autocrazia e l’unico in cui sopravvive una vera democrazia. Si tengono ancora le elezioni, i servizi segreti sono relativamente docili e c’è una diffusa partecipazione delle donne alla vita pubblica.

Tuttavia la maggioranza dei tunisini valuta la rivoluzione in base ai risultati dell’economia, che non è migliorata con la nuova forma di governo. I redditi si sono ridotti di un quinto nell’ultimo decennio e la disoccupazione supera da anni il 15 per cento.

Per questo, numerosi fattori come la crisi tunisina, le connessioni con la guerra civile libica e la pandemia spingono la Tunisia a chiedere aiuto all’Europa per avere un proprio futuro.

Ne parliamo con il deputato Karbai.

Majdi Karbai, é un deputato tunisino trentasettenne eletto alle ultime politiche del 2019 con la Corrente democratica (Attayar). Vive in Italia dal 2009, dove lavora per Save The Children. Ha studiato Cinema e Arte multimediale all’Università di Roma 3, poi ha vissuto a Parigi e in Belgio attraverso una borsa di studio europea, per poi tornare in Italia a discutere la tesi.

Il nuovo governo, l’undicesimo dalla rivoluzione del 2011, dovrà affrontare una serie di sfide sociali ed economiche di lungo corso. La disoccupazione nel paese continua a essere alta (15,35%), soprattutto tra i più giovani (34,81%), mentre la crescita economica, attestatasi all’1,5% nel 2019, non ha tenuto il passo con l’inflazione, calcolata al 6,7% per lo scorso anno.Anche il divario tra lo sviluppo delle aree costiere e dell’interno del paese continua a essere fonte di preoccupazione. Il tasso di povertà nelle aeree interne del paese ha ormai raggiunto livelli allarmanti. In città come Kasserine, Qairouan e Sidi Bouzid, la città da cui partirono le proteste del 2011, oltre il 30% della popolazione vive in povertà. Perché è fallita l’idea stessa di rivoluzione araba?

Il concetto di rivoluzione araba è molto ampio e non vorrei né potrei parlare per tutti i paesi arabi vista e considerata la situazione il Libia, in Egitto o quello che sta accadendo in Siria e nello Yemen.

Io piuttosto vorrei soffermarmi ad analizzare solo l’eccezione tunisina riguardo la c.d.primavera araba. La situazione in Tunisia è davvero critica ma non è conseguenza della rivoluzione araba, è piuttosto il frutto di un modello economico che ha favoreggiato il divario tra le zone costiere e le zone interne in Tunisia. Abbiamo vissuto la primavera araba come tutti i giovani tunisini che sognavano un cambiamento radicale .Ma l’esistenza di condizioni geopolitiche avverse hanno fortemente contrastato questo cambiamento. Mi riferisco alla guerra in Libia ,la crisi economica che dal 2011 morde la Tunisia, ma soprattutto mi riferisco alla mancanza di volontà delle forze interne tunisine di cambiare realmente la situazione economica sociale e politica. Un posto di lavoro e una vita futuribile non sono ancora assicurati dalla politica tunisina. Siamo ancora in una fase di transazione con tutto il travaglio che questo comporta. La politica da noi è ancora molto conflittuale e manca quel compromesso per salvare realmente il Paese. D’altro canto c’è da sottolineare il fattore positivo della primavera araba che consiste nella consacrazione costituzionale del valore della Libertà. Difatti legislativamente siamo pronti a garantire questo valore ma soprattutto ci sentiamo garantiti.Il problema è che non riusciamo ad avere altrettante garanzie sul quadro politico economico. Il problema sono i numeri evidenziati nella tua domanda e che riguardano le persone che lasciano il paese, la disoccupazione e l’arresto nelle crescita economica.

Per far fronte alla debole crescita economica del paese, i governi succedutisi a partire dal 2011 hanno fatto affidamento su una maggiore spesa pubblica, la quale ha però contribuito a far lievitare il debito pubblico, dal 40% del Pil nel 2010 al 73% nel 2019. Questa situazione di prolungata difficoltà socioeconomica ha portato i cittadini tunisini a manifestare un sempre più diffuso senso di disillusione nei confronti del sistema economico del proprio paese. In un sondaggio effettuato in Tunisia nel 2019, il 76% degli intervistati si è detto convinto di trovarsi in un contesto negativo per trovare lavoro nella propria area di residenza, mentre l’82% ha affermato di essere sicuro dell’alto livello di corruzione all’interno della comunità imprenditoriale del proprio paese. É davvero così?

Si purtroppo c’è questo problema di corruzione in Tunisia. Ed è davvero molto complicato spiegarlo. Nella prima esperienza di un governo riformista, se vogliamo, come quello di Fakhfakh che è caduto praticamente da un mese (difatti Fakhfakh ha rassegnato le sue dimissioni al Presidente della Repubblica) c’era la volontà di combattere questo modello di corruzione, queste mafie esistenti in Tunisia che hanno impedito ogni riforma o ondata di cambiamento dal punto di vista economico e sociale. Siamo dominati dal regime delle ‘famiglie’: in ogni settore, da quello agricolo a quello turistico o agroalimentare prevale una famiglia. Di fatto istituiscono singoli monopoli o blocchi di monopoli che impediscono ai giovani di accedervi o di trovare la loro opportunità. È praticamente impossibile presentare nuovi progetti che vengono ‘abortiti’ da una concorrenza spietata e pilotata ad hoc. Dunque esiste un sistema di corruzione così forte da creare una chiusura economica: nessuno può competere con una ‘famiglia’ a capo di un settore. A completare il quadro corruzionistico c’è l’evasione fiscale, crediti non pagati,progetti creati ad hoc per essere assegnati a persone nominate a tavolino ,appalti truccati nel settore agricolo, edilizio, turistico e agroalimentare.

Spinte dalla difficile situazione socioeconomica e della scarsa fiducia nel sistema paese, si stima che approssimativamente 95.000 persone abbiano lasciato la Tunisia dall’inizio delle proteste a oggi, l’84% delle quali con un alto livello di educazione. Ebbene chi lascia la Tunisia vi è costretto?

I giovani tunisini come tutti i giovani europei o del mondo sono costretti ad emigrare in cerca di futuro. Vivo in Italia dal 2009 conosco la politica economico sociale e dai numeri ISTAT emerge chiaramente che ci sono centinaia, migliaia di giovani che lasciano l’Italia cercando altre opportunità. La crisi economica è alla base anche dell’emigrazione in Tunisia. Però per i tunisini si parla di ‘invasori’ si tira fuori il concetto di immigrazione di massa. Salvini docet con i termini di ‘galeotti ”stupratori’ e ‘assassini’.

Oggi chi lascia la Tunisia non ha altra scelta soprattutto davanti ad una crisi economica e ad una frontiera totalmente chiusa come quella libica che per anni ha offerto centinaia, migliaia di posti di lavoro. Immagina se improvvisamente chiudessero le zone frontaliere di Svizzera, Austria e Francia, tutti gli italiani in esse impiegati sarebbero di fatto in mezzo ad una strada. La Libia ha fatto così, prima con la guerra poi con la crisi e infine con il covid 19. Sinceramente credevamo che gli amici storici della Tunisia come l’Italia e la Francia ci avrebbero aiutato.

In un contesto caratterizzato da forti problematiche socioeconomiche e da un calo della fiducia nelle istituzioni democratiche del paese, dagli inizi di marzo la Tunisia si è trovata a dover affrontare la diffusione della pandemia da Covid-19 sul suo territorio. Come hanno agito le istituzioni tunisine per minimizzare gli effetti della pandemia, nonostante la scarsità di mezzi?

Il governo di Fakhfakh ha attuato mosse responsabili e ben studiate sin dall’inizio ,fin da marzo. Quindi siamo arrivati a fine maggio ad avere 0 contagi e 0 morti.Il governo ha preso tutte le misure per garantire il contenimento della diffusione, chiudendo le frontiere, riducendo gli ingressi , garantendo il distanziamento sociale anche e soprattutto sui mezzi pubblici ,sostenendo anche i bisognosi e alla fine si è scongiurata una crisi sanitaria .Di fatto abbiamo avuto statistiche con numeri molto bassi rispetto ai paesi europei. (13 casi al giorno con una decina di morti alla settimana). Oggi monitoriamo una situazione stabile con ripresa dei voli aerei.

Allora, dunque, grazie all’approccio proattivo adottato dal governo, il paese sembra a oggi avere scongiurato una crisi sanitaria. Con l’inizio del Ramadan, il 24 aprile, le restrizioni sugli spostamenti sono state ridotte solamente dalle 20 alle 6, mentre il 4 maggio il paese ha iniziato la progressiva riapertura delle proprie attività commerciali. Al 19 maggio il numero di contagi ufficiali ammontava a 1043 casi, con 46 deceduti. Ma il basso numero di test effettuati potrebbe almeno in parte mascherare una maggiore diffusione dell’epidemia?

Assolutamente no. Ripeto siamo riusciti ad avere 0 casi. Oltretutto sarebbe una situazione che non si riuscirebbe a mascherare. La Tunisia non ha risparmiato sull’effettuare i test. Adesso i numeri sono in crescita per casi arrivati dall’estero: i tunisini che sono rientrati dall’Italia, dalla Francia e dal Canada hanno contaminato amici e parenti.

Nonostante gli interventi del governo e delle altre componenti sociali, diversi studi indicano che l’economia del paese sarà duramente colpita dagli effetti della pandemia. Dal canto suo, l’11 aprile la Tunisia ha inviato in Italia un team medico militare per supportare gli sforzi del personale medico italiano. La delegazione, composta da 7 medici e infermieri volontari specializzati in anestesia, rianimazione e biosicurezza, ha svolto la sua missione, della durata di due settimane, presso l’Asst Spedali Civili di Brescia. Dare solidarietà significa riceverla?

La Tunisia ha fatto il suo dovere: la costituzione tunisina sancisce la cooperazione internazionale ed è fortemente votata alla solidarietà. Ripeto che l’Italia per la Tunisia è un amico storico che come ha sostenuto il nostro governo, non potevamo abbandonare. Non ci aspettiamo reciprocità sulla base del detto ‘fai il bene e scordalo’. Non aspettiamo una contropartita perché non è così che funziona lo spirito di collaborazione e solidarietà. All’ospedale civile di Brescia è stato adempiuto un atto nobile delle forze armate e della nostra Presidenza della Repubblica che ha accolto l’appello di noi deputati.

L’instabilità interna caratterizzata dal duello interno tra islamici e laici ,ha portato due settimane fa alle dimissioni del premier Elyes Fakhfakh, che ha lasciato il suo nuovo governo varato a febbraio. Cosa può dirci in merito deputato Karbai?

Non è una instabilità dovuta ai contrasti tra islamici e laici. Io faccio parte di una corrente democratica che è un partito interno al governo dimissionario. Fakhfakh aveva una strategia, cosi come l’avevano i suoi ministri. Ma purtroppo chi voleva farlo cadere ha tirato fuori la storia del conflitto di interessi che, sia chiaro pur esisteva ma che ,non si è avuto il tempo di risolvere.Di fatto Fakhfakh era socio di un ente che gestiva vari progetti legati al governo tunisino e la legge vieta categoricamente al deputato ,al ministro o a chiunque rivesta una carica governativa di avere a che fare con progetti legati al governo .Nel caso bisognerebbe risolvere tali rapporti prima di accettare incarichi governativi. Fakhfakh non è riuscito per ragioni di tempistica a dislegarsi dall’ente di cui era socio perché appena ha avuto il voto di fiducia dalla camera dei deputati, il 28 febbraio, una settimana dopo c’è stato il lockdawn di 2 mesi.Non sistemando la questione è stato costretto a rassegnare le dimissioni prima di essere sfiduciato dagli oppositori. È anche vero, però, il netto rifiuto di Fakhfakh di allargare la cintura parlamentare con l’ingresso di un nuovo partito della corrente islamica denominato Al Tunnes. La questione islam laicità è stata risolta nel 2011 con la costituzione tunisina che garantisce lo stato civile.

Volgiamo l’attenzione, ora, alla saldatura tra dossier libico e tunisino. Possiamo dire che, da quando Ennahdha ha appoggiato la maggioranza, in Libia la partita è cambiata. Ma perché queste dinamiche sfiorano raramente il dibattito parlamentare tunisino, che è molto più incentrato sulle questioni che riguardano l’economia?

Noi siamo neutrali :il popolo libico è sovrano e decide il suo destino e siamo distanti da ogni posizione. E quando è successo che il presidente della Camera ha fatto delle dichiarazioni in merito è stato costretto a porgere scuse ufficiali.

Quello che è certo, anche se lei non ha voluto sbilanciarsi, è che valutati tutti i fattori la Tunisia una quadra dovrà trovarla, e nel farlo non potrà sottovalutare le attenzioni necessarie alla Libia. Innanzitutto perché c’è una questione fondamentale, quella sul confine. E poi perché Tunisi dovrebbe chiedersi a chi affidare il controllo di quel tratto permeabile che produce e ha già prodotto devastanti penetrazioni jihadiste. Ma veniamo al recente accordo firmato tra L’Italia e la Tunisia ,accordo che sappiamo essere del 1999 e che subisce ogni volta integrazioni ed emendamenti, ebbene secondo lei, tale accordo risolve il problema immigrazione in termini di emergenza o di fatto strutturale?

Il problema di questo accordo è che non è stato messo a disposizione né al parlamento italiano né a quello tunisino. È comunque un un’accordo che risolve il problema solo ed esclusivamente in termini di sicurezza non valutando l’approccio economico sociale. È praticamente un un’accordo unilaterale e non bilaterale che riduce la Tunisia a mera guardia costiera dell’Italia. Anche se chiudessimo il Mediterraneo i flussi continuerebbero. Si pensi ai tunisini attualmente presenti nei centri in Spagna, Serbia, Lesbo, o sulla rotta balcanica. Risolvere il problema solo ed esclusivamente in termini di sicurezza non basta. Occorerebbe un modello economico sostenibile che permettesse agli immigrati un lavoro dignitoso ma soprattutto occorrerebbe permettere ai tunisini che lavorano all’estero di investire nelle loro terre di origine creando posti di lavoro. Si pensi agli italiani emigrati in America che sono ritornati in Italia esportando poi il made in Italy in tutto il mondo. Nell’accordo si è parlato di 10 milioni di euro ma è il costo di due o tre appartamenti qui nel centro di Milano dove vivo io. È un accordo che riduce la Tunisia a poliziotti di frontiera e niente più.

Grazie Majdi.