Tutto in una notte: un bidone diventa il crocevia di cose lasciate e cose prese, ma anche di morte e di vita. Ma cosa è veramente il cassonetto rosso? Cosa succederà dopo quella notte di rimedi? Lo scopriremo nel nuovo racconto di fantasia di Alice Brunner.
Notte fonda. Una macchina si fermò cigolando davanti ad un cassonetto, rosso chiaro alto e dall’apertura a cupola. Scese una figura incappucciata e con grandi guanti da lavoro. Tirò fuori dal sedile un fagotto, aprì il portello del bidone e facendo forza sul gomito lanciò il pacchetto all’interno. La figura salì velocemente sull’auto, che sgommò e sparì. Il cassonetto cominciò a piangere flebile.
Poco dopo, un uomo con un furgoncino bianco si fermò nei pressi. Scese e dal rimorchio sollevò a fatica un sacco della spazzatura. Era molto voluminoso, quindi l’uomo lo trascinò lentamente fin sotto al bidone rosso.
“Bastardo d’un pusher, mi ingombri anche da morto! Va’ all’ inferno!” e facendo leva con tutte e due le braccia riuscì a spingere il corpo imballato dentro al cassonetto. Il portello si chiuse di scatto con un tonfo maggiore del cadavere caduto.
“Va’ all’inferno!” ripeté l’uomo.
“Povero Paulo, figlio mio. Ti ho vendicato! Guarda che fine ho stabilito per il tuo maledetto pusher: nella spazzatura come è giusto che sia. Non avvelenerà più altri ragazzi deboli …” singhiozzò e con un calcio al cassone fece per allontanarsi.
Ma all’improvviso si aprì un portello in basso a destra. Sopra la scatolina comparve un pacchetto di plastica, che piangeva. L’uomo guardò allibito. Afferrò il sacchetto e scrutò per bene: se lo era immaginato, un neonato piangente.
“Oddio oddio che faccio che faccio…” e si passò le mani tra i capelli. “ Ed ora che faccio che faccio?? Lascio un morto e prendo un vivo?!” rise isterico.
Quindi come per un’idea immediata e felice riprese il piccolo abbandonato nel sacchetto, trovò uno scatolone vuoto e lo incastrò delicatamente sul sedile posteriore del furgone. Il neonato aveva smesso di piangere.
“Ti porto con me, tesoro. Non ti preoccupare. Ti porto a casa. Come un mio figlio, come un altro Paulo, un nuovo figlio”.
La macchina partì veloce.
Un’ora dopo. Il centauro si fermò lentamente, scese e sistemò la moto sul cavalletto in equilibrio accanto ad un muretto di cinta. Aprì il giubbotto e il portello del cassonetto. Con una mano afferrò un rotolo di stoffa e lo buttò all’imbocco. Salì sulla moto e partì. Il bidone rosso cominciò a guaire.
Poco distante un ragazzo aveva parcheggiato la macchina. Intravide il cassonetto e s’ avvicinò con un sacco di juta sulla spalla.
“Povero Bro, amico fedele. Il veterinario – quell’infame una puntura voleva fare. Ma noi no, siamo la tua famiglia. Povero, perlomeno sei morto accanto a noi!”.
Aprì la cupola del bidone e singhiozzando fece scivolare il cane ricoperto dal sacco. Sentì uno scatto secco, e di nuovo s’ aprì il portello in basso a destra. Questa volta con un fagotto di stoffa. Il fagotto guaiva.
“Cavolo ma cosa…” il giovane rimase qualche secondo con la bocca spalancata. Toccò con prudenza il fagotto dal quale uscì la testa di un cucciolo di labrador. Col pelo chiaro.
“Por…” rimase senza fiato ed imprecò. Si scosse finalmente, liberò il cucciolotto dalla stoffa sporca e se lo appoggiò al petto per riscaldarlo.
“Questi luridi assassini che ti volevano uccidere, ogni male per loro è poco. Oh mamma, ho lasciato il mio amato cane morto e ne ho trovato uno vivo. Miracolo! Miracolo dal cielo! Chissà come saranno contenti i bambini…” e saltellando per la riacquistata serenità, raggiunse l’auto e si allontanò nella notte.
Prima dell’alba. Il camion della spazzatura inchiodò davanti al cassonetto rosso. I due operatori indugiarono. L’autista esclamò: “Ehi ehi Leo. Ferma il braccio ed il gancio. Ma guarda questo. Questo è nuovo?!”.
“Scendo e te lo dico”.
Il collega scese dal mezzo e con una torcia esaminò il cassone dall’alto in basso: “Ah questa sì che è bella! Non ha il nostro codice, non è mai stato nella nostra mappa, mai visto. Ed anche nuovissimo pulito profumato. E vuoto” constatò prima di montare sul predellino.
“Mah andiamocene, non è il nostro lavoro allora. Sarà stato messo da un privato. Qualche volta succede”.
“Sì è vero, succede. Magari accadesse anche nel mio quartiere, un cassonetto in più. Anzi non ce n’è uno, la zona pare una discarica. Nessun giardino, davanti alle case un trogolio di rifiuti. La gente poi. Drogati, maniaci, alcolizzati. Per le strade solo disperazione” concluse afflitto. Albeggiava.
L’autista fece la cortesia di accompagnare, a fine turno, Leo nei pressi di casa. L’operatore sbadigliò pregustando già una buona colazione, che l’avrebbe consolato dalla zona depressa in cui abitava. Ma avvicinandosi pensò che il collega avesse sbagliato passaggio. Invece era la propria strada: riconobbe appena la targa. E la propria casa.
Senza rifiuti e rigagnoli delle fogne. Senza barboni e spacciatori agli angoli. Con alberi, ed aiuole, e spazzini mattinieri che stendevano la ghiaia. I primi lavoratori uscivano dalle case e si salutavano cordialmente. Il sole fece capolino salutando la luna. Dieci cassonetti rossi, in fila sulla strada, rimandarono la luce del primo sole e brillarono.