ROMA – L’emergenza Coronavirus ha impattato sull’occupazione già da marzo. Dimostrando che le misure adottate dal governo, in particolare le ingenti risorse destinate agli ammortizzatori sociali e il blocco dei licenziamenti fino a metà maggio, non sono sufficienti a garantire i posti di lavoro.
A rilevarlo è l’Osservatorio mercato del lavoro CNA, curato dal Centro studi della Confederazione, che analizza mensilmente le tendenze dell’occupazione nelle piccole imprese e nell’artigianato (su un campione di quasi 20mila imprese associate con circa 140mila dipendenti) dal dicembre 2014, alla vigilia della stagione di riforme che ha modificato in profondità la legislazione in materia.
L’occupazione tra i “piccoli” a marzo si è ridotta dello 0,4 per cento rispetto a febbraio. In sei anni di monitoraggio la prima volta con il segno meno nel periodo gennaio-giugno. Un anticipo delle più consistenti perdite previste nel corrente mese di aprile e in seguito.
Il calo è frutto di un micidiale combinato disposto: il crollo della domanda di lavoro (-24,8 per cento su base annua) e la mancata sostituzione dei lavoratori andati in pensione o con contratto a tempo determinato scaduto. Una tendenza destinata a prolungarsi non si sa per quanto tempo, aggravata dalla scure dei licenziamenti che si abbatterà con ogni probabilità anche sulle posizioni a tempo determinato a partire dalla metà di maggio.
Come contrastare questa tendenza? La finanza pubblica non potrà offrire un sostegno illimitato nel tempo a un sistema produttivo che sta soffrendo lo stallo pressoché totale della domanda interna e la grave debolezza di quella estera. In particolare è a repentaglio l’esistenza delle filiere produttive in cui le imprese artigiane, micro e piccolo sono più esposte alla recessione. Diventa indispensabile, quindi, il varo in tempi rapidi di un programma graduale ma credibile di riapertura dell’economia.