Roberto, raccontaci un po’ di te… Chi sei e come è nata la vocazione di scrivere? Da cosa trai l’ispirazione?
“La prima volta che mi hanno chiesto di fare un tema a piacere ero in terza elementare e, dopo aver scritto quattro fogli di protocollo, ho capito che scrivere era la cosa più bella del mondo. Crescendo, però, ho lasciato perdere questo desiderio, più che altro perché il modo di ragionare che abbiamo dalle nostre parti funziona che prima ci si concentra a trovare un lavoro per guadagnarsi da vivere, poi, forse, dedicarsi ai propri sogni. Perciò ho studiato a l liceo scientifico e poi scienze della comunicazione perché il classico e lettere non avrebbero garantito un immediato accesso al mondo del lavoro; poi, quando sono diventato padre, ho deciso che mia figlia si sarebbe meritata un padre felice e ho iniziato a cullare di nuovo il desiderio di scrivere. Ho frequentato corsi di scrittura con Ivano Porpora, un amico che per primo ha visto il potenziale in me, e, dopo un paio d’anni, eccomi qua.L’ispirazione per raccontare le storie contenute in nasce dalla necessità di spiegare a me stesso i rapporti fatti di silenzi con cui sono cresciuto. Mia madre e mio padre che non si sono mai detti ti amo, o almeno io non li ho mai sentiti, la difficoltà nel dirsi: ti voglio bene, l’impossibilità, in qualche modo, di definire a parole le emozioni e i sentimenti che, però, c’erano e anche profondi, soltanto espressi in modo diverso, anche attraverso i silenzi”.
A Misura d’Uomo è il tuo primo libro? Di cosa parla?
“Raccontare di cosa parla mi è sempre un po’ difficile, è un romanzo formato da undici racconti che hanno ognuno la propria trama e che s’intersecano tra loro per raccontare di Davide, Anela e Valerio che sono poi i personaggi principali. É una storia che parte dalla loro giovinezza e arriva a raccontarne la maturità. Posso dire, però, che ‘A Misura d’Uomo’ parla di rapporti di coppia, di personaggi fragili e di donne che si assumono la responsabilità delle proprie scelte, racconta le storie di Maddalena e Paolo, di Elena e Mario, della Bice, del suo bar e di Giuseppe, di Luigi; ognuno protagonista di un proprio spazio e, contemporaneamente, testimone di ciò che accade a Davide, Anela, Valerio”.
Perché la scelta d’ambientare il romanzo proprio a Fabbrico? Solo per una questione di conoscenza dei luoghi o il paese gioca un ruolo particolare all’interno della storia?
“Ambientarlo a Fabbrico non è stata una scelta, è stato qualcosa di obbligato, non potevo ambientarlo in un altro posto al mondo. ‘A Misura d’Uomo’ voleva essere anche la testimonianza dell’amore che provo per il mio paese di origine ed il mio modo per renderlo vivo, per renderlo un protagonista della storia”.
Ci ha colpito la tua definizione di Fabbrico come di “un paese triste e magnifico”. Come mai pensi che siano gli aggettivi più appropriati per definirlo?
“Perché contiene al suo interno le contraddizioni che rappresentano perfettamente quella che, per me, è la vita. A Fabbrico non c’è praticamente nulla, per andare da qualche parte, in piscina, in un locale, bisogna prendere la macchina e spostarsi in uno dei paesi vicino. E questa tristezza, questa lontananza da qualsiasi cosa, ha reso, forse, i fabbricesi orgo9gliosi d’abitare lì. Di far parte di qualcosa così radicato in Emilia e, contemporaneamente, così isolato e desideroso di far parte di qualcosa di diverso”.
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