Turismo

A Olimpia, in solitudine la riga di pietra di partenza

Ero con gli occhi chiusi a prendere il sole sulla tolda della nave che da Ancona stava scivolando verso la Grecia. Quando apro gli occhi vedo alcune pagnotte di pietra macchiate di verde che ci accompagnano al porto di Igoumenitza, chiuso sul fondo dalle creste azzurre dell’Epiro. Corriamo con la macchina sulla groppa di elefanti spelacchiati che dormono. Pecore e capre mangiano fichi lungo la strada che si attorcigliano attorno a montagne rossastre.

Gli ovili di latta grigia mi fanno pensare che suonano in modo assordante quando piove. Ed ecco che finalmente siamo alle Meteore, dita enormi pietrificate che reggono in cima monasteri in viaggio nel cielo. Rocce che sicuramente volavano e si sono conficcate per formare cumoli segnati da solchi verticali causati dalle mille e mille intemperie e fulmini pronti a lasciare ombre bruciacchiate.

Gli eremiti che si nutrivano di silenzio, ora, ora regalano stupore. Ho visitato conventi restaurati malamente per una cura eccessiva e un accostamento senza umiltà accanto alle antiche presenze di travi e assi dondolanti sotto i piedi che reggevano mondi di spiritualità.

E adesso lasciatemi subito parlare di Olimpia. So che prima avrei dovuto raccontarvi di Delphi e del Partenone, ma nel campo sportivo di Olimpia è lì che ho avuto l’incontro più sconvolgente. Questo enorme cimitero di rotoli di pietra che racchiudono pensieri religiosi antichissimi.

Sono stato seduto più di mezz’ora sopra un frammento di colonna dorica pensando a Prassitele e alla sua splendida statua di Ermes, immobile nel museo con il corpo liscio che ti specchia.

Poi mi sono avvicinato allo stadio rettangolare dove sono nate le Olimpiadi. In tutto questo mondo di frantumi e colonne sfasciate e marmi caldi di sole e secoli pietrificati, una cosa mi ha stupito, l’unica presenza intatta: “la riga di pietra” in cima al campo sportivo dove scattavano gli atleti delle corse e di tutte le competizioni.

Ho avvicinato questo sogno con timidezza e con lo stupore di trovarmi davanti a un qualcosa ancora pronto a servire. Ma dov’erano gli atleti della corsa? Ero solo e toccava a me raccogliere questo segnale. Ho poche forze ormai. Tutte le mie cose le faccio con l’immaginazione.

Mi sono allontanato da quella striscia per sedere stanco su una pietra ai piedi della sponda erbosa che gira attorno al rettangolo per le competizioni, su cui sedeva la folla degli spettatori. Quella linea si è subito fissata nella memoria.

Sono tornato di notte ad aspettare il chiarore della luna, come fanno tanti. Sono arrivato nella conca dello stadio silenziosa nella sua penombra. Finchè piano piano la luna si è alzata sulla cima dei grandi ulivi. La sua luminosità ha subito evidenziato la striscia di partenza.

Allora sono tornato su quella linea e ho pensato a tutte le partenze che non ho fatto e anche alla partenza che non voglio fare. Così ancora una volta mi sono girato e ho attraversato questo mondo in rovina con le sue lunghe ombre e con i suoi biancori rotondi di astronavi atterrate.

É da qui che i pensieri nati dalle pietre sono arrivati a migliorare la nostra vita.

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Pubblicato da
Pino Ezio Beccaria

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