Venticinque anni, salernitano, Pasquale Battista, in arte HALE (tutto in maiuscolo, è l’acronimo di Ho Ancora Libera Essenza), é uno dei cantautori emergenti più talentuosi: di lui spiccano soprattutto la sensibilità musicale e l’intuito comunicativo.
Dopo anni di studio e canto, HALE inizia a scrivere i suoi primi brani nel 2017: un anno per lui molto importante che lo vede classificarsi tra le fila delle nuove proposte di Sanremo Giovani con il singolo “Meteora” ed in seguito esibirsi in prima serata su Rai Uno all’interno del programma “Telethon show”. Il 2018, invece, é l’anno della sua partecipazione ad “Amici Casting” su Real Time e, soprattutto, dell’uscita del suo primo album “Il giardino degli inconcludenti”, successivamente uscito anche nelle versioni live e unplugged. Attualmente HALE é impegnato alla lavorazione di un doppio album e nei giorni scorsi é uscito in digitale il singolo “Perdere tutto”. Noi de “L’Opinionista” lo abbiamo incontrato per farci raccontare direttamente le sue esperienze. Ecco cosa ci ha detto.
Da cosa trai principalmente ispirazione per le tue canzoni?
“Direi che sono le canzoni a cercare me nel momento in cui ho la necessità di dare una forma e un nome ad un’emozione che altrimenti rimarrebbe piuttosto sfuggente e indefinita. Vedo questa cosa come un modo di imprimere un pensiero o una sensazione per sempre nella memoria.
Mi ha fatto molto riflettere una cosa che ha detto un grande cantautore del panorama contemporaneo in merito alla genesi di una canzone, e cioè che le canzoni stesse sono relitti che vivono da sempre dentro di noi. Dobbiamo solo trovare il modo di farle tornare in superficie. Parlo di Cesare Cremonini, che con le sue canzoni mi accompagna fin da quando ero poco più di un bambino e credo tra l’altro che rappresenti anche una mia grande ispirazione”.
Quali sono le influenze maggiori o gli artisti a cui ti ispiri?
“Fortunatamente sono cresciuto in una casa in cui la domenica mattina, oltre all’aspirapolvere, mi svegliavano i dischi di Lucio Dalla e Claudio Baglioni. Credo sia proprio grazie a quest’ultimo che mi sono avvicinato all’idea folle di voler fare musica e scrivere canzoni nella vita. Dico folle per il fatto che oggi è impensabile poter pretendere di emergere se non si dedica la vita e l’anima alla musica, a parer mio con lo scopo preciso di farlo soprattutto per gli altri piuttosto che per vanità personale.
Ho ascoltato molto e ascolto tuttora la scuola genovese, De André in particolare, e ho trovato grande ispirazione nella poetica di Renato Zero e nel senso che ha saputo dare e ancora oggi dà alla musica. Parlando di influenze generazionalmente per me più recenti, mi sento molto vicino a Tiziano Ferro e, come ho detto anche prima, a Cesare Cremonini”.
Dal 17 marzo é disponibile “Perdere tutto”, brano che dal 26 febbraio (data di pubblicazione su Youtube) a oggi ha già ottenuto oltre 500mila visualizzazioni. Come é nato? Cosa rappresenta per te?
“Perdere tutto” è nata al pianoforte in venti minuti e per me rappresenta l’inizio di un percorso totalmente rinnovato, sia nello spirito che, più umanamente parlando, nei compagni di viaggio. È stato dover perdere tutto per poter ripartire, dopo essere stato, musicalmente e non solo, fermo per tanto tempo. Posso dire di avere la fortuna di aver trovato una squadra di matti totali (ride, ndr) che lavora con me senza sosta per far sì che questa mia musica nuova possa arrivare ai cuori delle persone. Penso che sia naturale che se al tuo fianco non c’è chi ci crede almeno quanto te, nel mondo di oggi è quasi impossibile pensare di fare anche un solo passo. A mio parere, come in tutte le cose, è sempre la squadra a vincere o a perdere, ma resta anche il fatto che da solo probabilmente non giochi nemmeno la partita. Per questo colgo l’occasione per ringraziare veramente col cuore chi ha scelto di correre insieme a me.
“Perdere tutto” è una canzone dal testo emozionante e di forte attualità. La tematica della precarietà infatti calza a pennello in questo particolare momento storico. Quale messaggio hai voluto trasmettere?
“Io credo che una canzone possa significare qualcosa per qualcuno fino al momento in cui chi l’ha scritta non ne dichiara apertamente il senso. Basti pensare che “Always” di Bon Jovi, che a mio parere sembrerebbe essere una delle canzoni d’amore più belle di tutti i tempi, in realtà parla di un rapporto malato come lui stesso afferma: “It’s a sick little twisted lyric. So many people feel it’s so romantic and so wonderful, but truthfully, this guy is practically a stalker. He’s a sick human being.
Per quanto mi riguarda, io continuo ad ascoltare “Always” con la stessa emozione che mi ha sempre trasmesso e soprattutto pensando a cosa può significare per me rapportandola a determinate fasi della mia vita, ma a volte mi capita di sentire una vocina che mi ricorda: “frena, sta parlando di uno stalker! (ride, ndr)
Per questo motivo, nel mio piccolo, non mi sento di voler dare (nonostante ce l’abbia ben chiara) una precisa lettura alle parole di “Perdere tutto” che le parole stesse non possano già dare da sole”.
Il brano si chiude con un messaggio positivo, di rinascita: “taglia i legami sbagliati e ritorna a brillare più forte di prima”…
“Certo, mentirei se dicessi che è stata una cosa pensata per questo periodo perché in realtà ho scritto questa canzone poco prima che la pandemia cambiasse le nostre vite, ma è naturale che in un momento difficile come questo è importante poter portare un messaggio positivo di speranza e rinascita”.
“Perdere tutto” é accompagnato da un video “emozionale”: non mancano il fascino di un edificio abbandonato, la suggestione delle fiamme che avvolgono il pianoforte e rischiarano le tenebre, l’angoscia che solo un soccorso estremo può suscitare. La sceneggiatura, di cui sei co-autore, é curata nel minimo dettaglio. Come é nata l’idea?
“L’idea dell’edificio abbandonato mi è venuta dopo un sogno ricorrente nelle notti un po’ agitate del primo lockdown. Per quanto riguarda l’immagine del pianoforte in fiamme, la lampadina mi si è inconsciamente accesa in studio di registrazione mentre con Marco (Zangirolami, ndr) ascoltavamo il primo provino di “Perdere tutto”. Non ci convinceva ancora del tutto e, riflettendo sulle varie direzioni da poter dare alla canzone, tra una cosa e un’altra mi raccontava qualche aneddoto. In particolare mi ha parlato di come “La fine” di Nesli, di cui Marco è stato il produttore, ha preso forma: cioè registrando con un singolo microfono un suo vecchio pianoforte verticale mentre le parole di quel capolavoro che oggi conosciamo gli scorrevano in cuffia, in attesa di note su cui poggiarsi. Da lì ho capito che non sempre è necessaria la ricerca della perfezione a tutti i costi, ma è sempre importante avere un’idea: allora, piuttosto che il mio solito pianoforte, ho pensato di utilizzare il suono di un pianoforte campionato nel momento in cui brucia, un concetto anche abbastanza affine all’idea di “perdere tutto” e forse anche in certi frangenti rischiare di perdere il sogno stesso di fare musica. Per fortuna, volente o nolente, citando proprio colui grazie al quale ho cominciato a sognare, “il sogno è sempre”.
Quali sono i tuoi progetti futuri? C’è un sogno nel cassetto che vorresti realizzare?
“Di sicuro “Perdere tutto” ha concettualmente bisogno di un sequel, che non sarà un semplice “secondo singolo” quanto più la continuazione necessaria dell’arco narrativo lasciato in bilico nel primo. E poi sono alle battute finali della lavorazione di un album in due parti, di cui una è legata a “Perdere tutto” e l’altra al secondo singolo. Per quanto riguarda il mio sogno del cassetto … alla luce di tutte le difficoltà e i rifiuti che ho incontrato fino ad ora nel mio percorso musicale, per me è già un sogno poter finalmente fare quello che sto facendo adesso. Per ora nel cassetto ci metto i calzini” (ride, ndr).
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