SAN MICHELE DELL’ADIGE – La robinia, l’ailanto, l’acero americano, il ciliegio tardivo, l’abete di Douglas, il pioppo ibrido e l’olmo siberiano sono solo alcune delle circa 100 specie di alberi non nativi presenti in Italia.
Introdotte per scopi ornamentali queste specie esotiche sono per lo più usate, anche in Trentino, nel contesto urbano e periurbano, perché si adattano meglio agli ambienti cittadini, ma possono causare problemi ecologici perché queste piante competono e spesso sovrastano le specie indigene, trasformando significativamente gli equilibri degli ecosistemi forestali.
I benefici attesi e i potenziali rischi legati alla presenza di alberi non nativi nelle regioni geografiche europee sono oggetto di un workshop internazionale coordinato dalla Fondazione Edmund Mach nell’ambito del progetto Alptrees, che vede coinvolto come partner il Comune di Trento e come “osservatore” il Servizio foreste della Provincia autonoma di Trento. L’evento si svolgerà in formato digitale il 25 e 26 febbraio alla presenza di oltre cento ricercatori ed esperti dell’area alpina.
Alptrees è un progetto coordinato dall’Istituto di ricerca forestale, rischi naturali paesaggio di Vienna, e il suo obiettivo è fornire una strategia transnazionale per un sistema di supporto alle decisioni sull’uso e la gestione responsabili di alberi non nativi. Di fatto si inserisce nel contesto delle politiche nazionali e regionali che mirano a proteggere e migliorare la biodiversità, garantire la connettività ecologica e le risorse culturali mantenendo al contempo un alto livello di resilienza e di servizi ecosistemici attraverso lo spazio alpino. Accanto ai partner istituzionali francesi, tedeschi, austriaci e sloveni, l’Italia è rappresentata dalla Fondazione Edmund Mach, che coordina il Workpackage “Policy implementation, stakeholder engagement & capacity building” del progetto, e dal Comune di Trento e dal Consorzio Langhe Monferrato e Roero.
“I potenziali vantaggi derivanti dalla presenza di specie arboree aliene includono l’adattamento ai cambiamenti climatici, i contributi alla bioeconomia ed al paesaggio urbano e periurbano, la realizzazione di infrastrutture verdi e la mitigazione dei pericoli naturali -spiega Nicola La Porta ricercatore del Centro Ricerca e Innovazione e responsabile del progetto alla FEM. I possibili rischi associati alla loro presenza riguardano invece l’invasività e gli effetti competitivi nei confronti delle piante arboree native e quindi le potenziali minacce alla biodiversità. I problemi che potrebbero causare queste piante, a parte qualche fenomeno di polline o foglie allergeniche, sono principalmente ecologici”.
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