GENOVA – Musicista, compositrice, Artista Testimonial Unicef. Stiamo parlando di Alessia Cotta Ramusino. Nei giorni scorsi il il suo flashmob #100donnevestitedirosso é approdato in Senato e ha fatto tappa in Sicilia catalizzando l’attenzione di tutti, grazie al colore rosso di cui sono vestite le 100 donne che insieme a lei ripetono “Respect and Love“. L’8 marzo scorso é uscito il suo nuovo album, “eVOLVERe”.
Noi de “L’Opinionista” l’abbiamo intervistata. Ecco cosa ci ha raccontato.
Tra le tante definizioni che ti si potrebbero dare c’è quella di “viaggiatrice”. Racconti spesso che hai cominciato a viaggiare quando eri davvero piccola al seguito di tuo papà che era un geologo. Il tuo primo viaggio risale, se non sbaglio, a quando avevi addirittura venti giorni…Il viaggio, in senso lato, è anche sinonimo di libertà, di abbattimento di barriere…..Quanto ha influito sulla tua formazione, sul tuo modus pensandi, il tuo essere “viaggiatrice”?
“Riprendo dal concetto che hai espresso, il “viaggio in senso lato” così da definirmi una ‘viaggiatrice in senso lato’ questo perché indubbiamente il viaggio è stato un imprinting molto forte per me che sin da bambina mi ha portato a vedere e guardare il mondo senza confini, senza barriere, seguendo gli orizzonti infiniti. Ritengo di essere stata molto fortunata a fare certe esperienze da bambina perché mi hanno dato un’apertura mentale che ancora oggi nel 2022, è raro trovare. Ma ancora più affascinante è ‘il senso latoì dell’essere viaggiatrice, ovvero l’anima che viaggia seppur il corpo è stanziante. Il senso di libertà, cui hai fatto riferimento, è uno stato d’animo e mentale… sicuramente derivante dall’educazione, dalla formazione e dalle esperienze che ho maturato. Ed è questo senso che trovo anche nella musica, che concepisco come espressione di emozioni, sensazioni, moti dell’animo senza schemi, senza generi vincolanti, pura espressione dei propri afflati”.
All’età di otto anni, però, in Iran, sei entrata in contatto anche con i limiti di un’altra cultura, e religione. Stiamo parlando di quando i tuoi genitori hanno ricevuto la proposta di prometterti in sposa. Che segno ha lasciato quell’episodio sull’Alessia donna? Visto quello che hai fatto dopo, e stai facendo, si direbbe che la voglia di reagire, di combattere abbia prevalso sul trauma?
“La cultura di per sé non ha limiti, è l’uomo che nella sua ignoranza, incapacità a relazionarsi e ad evolversi impone delle regole di comportamento spesso aberranti. Questo per semplificarsi la vita ovvero è più facile imporre che spiegare, è più facile ordinare agli altri che essere esempio. Per governare la società è più semplice che il popolo resti nell’ignoranza in quanto sull’ignoranza fanno presa le paure, le minacce, le bugie.
Più si matura culturalmente più si sperimenta l’empatia e la comprensione di quali siano i comportamenti più adeguati in determinate circostanze senza imposizioni di protocolli rigidi, schemi o leggi. L’empatia va di pari passo alla sensibilità e all’intelligenza emotiva e stabilisce legami che vanno oltre ai limiti dell’uomo medio. La cultura rende liberi.
In Iran ho sperimentato cosa significhi essere richiesta sposa da bambina. Non dimenticherò mai la sensazione di angoscia, di essere strappata via dai miei affetti, i miei genitori, le mie sorelle, i miei amici, avevo paura di abbandonare le mie abitudini, la mia stanza, i miei giochi”.
I miei genitori, tuttavia, furono molto attenti a non offendere la famiglia che fece la proposta e riuscirono con molta diplomazia ed eleganza a far loro capire quanto fosse distante dalla nostra cultura la loro usanza. Un piccolo trauma, comunque, me lo aveva provocato, tanto che per anni ho continuato a dire che ero un maschio e indossavo solo pantaloni.
Da adulta, una volta metabolizzato l’accaduto, ho capito che poteva essere un punto di forza per combattere queste consuetudini che non hanno senso di esistere. Così quando mi hanno nominata Ambasciatrice Unicef, uno dei focus affidatimi è proprio sulle bambine, in particolare la lotta contro i matrimoni precoci che Unicef persegue con la campagna #Bambinenonspose.
L’esperienza in Iran, oltreché quella di donna, ha segnato però anche la tua vita di artista perché ti ha portato ad avvicinarti ai suoni medio orientali, esotici….
“Sì, fu proprio in quegli anni che mi avvicinai alla musica… quando ascoltavo un brano che mi piaceva, sentivo vibrare in me qualcosa di ignoto e profondo che mi dava una sensazione di benessere e di onniscienza, come l’incontro con il Dio interiore, che ognuno di noi ha dentro. E ancora oggi sento questa sensazione ogni volta che ascolto musica che amo o quando compongo la mia. E’ una sensazione straordinaria credo sia paragonabile solo al far nascere una nuova vita. Tanto spesso infatti si paragona la genesi dell’opera d’arte al parto”.
Cosa significa per te la musica? Ami definirti autodidatta, nel senso che la musica viene dal tuo profondo intimo e non è frutto di lezioni, impostazioni….
“La musica è essenza. Non ha un significato specifico… non ti spieghi un profumo, lo annusi, non ti spieghi la profondità di un cielo, lo ammiri. La considero un vero e proprio dono, perché non ho mai studiato musica al conservatorio o fatto studi specifici, non leggo lo spartito e non conosco le note né gli accordi che faccio, però compongo. Ecco perché mi definisco autodidatta perché ho studiato da sola continuando a suonare e a combinare i suoni che mi piacciono senza domandarmi se è giusto o sbagliato, se alle mie orecchie suona bene… io lo faccio”.
Attraverso la musica oggi porti avanti il messaggio della lotta contro la violenza sulle donne e non solo. Sei l’ideatrice nonché paladina del movimento di sensibilizzazione #100donnevestitedirosso che ha iniziato il suo percorso nel 2017 a partire da una canzone di cui sei autrice: Yallah, un inno all’amore, l’amore per la vita. Come nasce Yallah e qual’é il suo messaggio?
“Yallah è un brano che scrissi nel 2011 a seguito di un femminicidio che mi colpì profondamente, quello di Melania Rea. Poi non la feci ascoltare a nessuno e la lasciai letteralmente in un cassetto. Fu il mio produttore dell’epoca, Giorgio Tani (storico manager di artisti genovesi quali Ricchi e Poveri, New Trolls scomparso prematuramente nel 2017) che la trovò nel cassetto della mia scrivania in studio, e mi convinse a pubblicarlo dicendomi: ‘chi meglio di te, che sei una donna adulta, laureata in sociologia può parlare con cognizione di causa di questo argomento?” E fu così, e fu anche il suo ultimo desiderio.
Yallah, quindi, è un brano indubbiamente molto importante per me, aldilà del valore affettivo, rappresenta un sunto della mia esistenza artistica. Risuonano le corde della mia terra d’adozione l’Iran, pur confermando allo stesso tempo il mio percorso verso il genere pop internazionale. Rappresenta anche l’impegno di un’artista nell’affrontare una piaga sociale col proprio animo, mettendosi in discussione ed esponendosi in prima persona. Yallah è una parola araba di uso comune che significa “forza, forza, muoviti”. Ed è proprio questo il messaggio che ho voluto dare, ovvero un monito per tutti di prendere non solo coscienza di questa piaga sociale ma soprattutto di mettere in moto ed in atto, ognuno secondo le proprie possibilità, tutti i provvedimenti per sconfiggere il fenomeno'”.
“Respect and love”, rispetta e ama: in Yallah si ripete come un mantra: Rispetto e amore come fondamenti di una società civile. L’obiettivo di 100donnevestitedirosso è quello di diffondere la cultura del rispetto contro ogni forma di violenza nella condivisione degli ideali UNICEF, di cui ricordiamo sei ambasciatrice….
“Sì sono profondamente convinta che il rispetto e l’amore siano le basi per una buona convivenza. Quando scelsi di iscrivermi alla Facoltà di Scienze e Politiche lo feci con l’intento di fare carriera diplomatica, volevo diventare ambasciatrice. Al 3° anno accademico mi innamorai di una delle materie propedeutiche: Sociologia, e fu così che virai il percorso di studi che alla fine divenne un socio-internazionale. Come fossi predestinata al ruolo che ora ricopro come Ambasciatrice Unicef, occupandomi proprio di temi umanitari a livello internazionale. Ogni scelta che si compie nella vita trova poi significato come una tessera nel puzzle”.
Rosso: il colore dell’amore, del sangue, del filo che unisce le persone …. nel flashmob che partendo proprio dal videoclip oggi porti in giro per l’Italia le donne indossano questo colore. Chi può partecipare al flashmob? Cosa c’è dietro all’organizzazione di un flashmob? Con quale criterio vengono scelte le location? E soprattutto dove vuole arrivare?
“Il rosso è anche il mio colore preferito. Questo ci tengo a dirlo perché lo amo profondamente da quando sono piccola. Ricordo mia madre che sceglieva i vestiti azzurri o verdi per via del colore dei miei occhi e io andavo a cambiarli, stesso modello ma rosso. Sì il rosso ha tanti significati come hai scritto ma è anche un colore che spicca, su tutti. E fare sensibilizzazione significa innanzitutto richiamare l’attenzione. Nel videoclip del 2017 eravamo tutte vestite di scuro… poi a seguito di un incidente casalingo in cui il mio compagno si ferì profondamente una mano, il sangue mi portò la visione delle 100donnevestitedirosso. Da allora lo ho portato in tante città italiane”.
Si dice che “siamo il risultato del nostro vissuto”. Nel cassetto c’è anche una laurea in sociologia. Quanto peso ha avuto sulla tua formazione, sul tuo pensiero?
“Direi che la laurea in Sociologia è stata determinante. Non avrei i mezzi e gli strumenti per seguire l’andamento evolutivo e complesso della società se non avessi le basi degli studi accademici. Il pensiero invece è in continuo movimento, è meno statico rispetto agli studi di base, varia e muta con le esperienze di vita, di lavoro, anche con le correnti di pensiero che caratterizzano un’epoca”.
Quale è, pensando a #100donnevestitedirosso, il sogno nel cassetto di Alessia Cotta Ramusino?
“Quello di far ripetere a tutto il mondo: ‘Respect and Love’, facendo interiorizzare questi due concetti fondamentali e ricchi di significati. Le parole hanno un potere profondo, si sedimentano nelle nostre coscienze e costruiscono il linguaggio ed il linguaggio stabilisce relazioni e le relazioni sono legami e se i legami fossero di rispetto e amore… non assisteremmo a molte delle barbarie in atto”.
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