È disponibile dal 13 aprile “Il caso Alex Schwazer”, la ducu-serie che racconta senza filtri l’ascesa, la caduta e la ricerca di redenzione dell’atleta, sullo sfondo di un’intricata vicenda sportiva e giudiziaria. L’incontro tra l’atleta olimpico Alex Schwazer, e un allenatore simbolo dello sport pulito, Sandro Donati, innesca un intrigo internazionale che sconvolge le loro vite e mette in crisi il sistema dell’antidoping. «Sono soddisfatto di questa docu-serie, per la prima volta avevo la possibilità di parlare della mia storia nei minimi dettagli, come non mi era mai capitato prima», racconta Alex Schwazer.
A RTL 102.5 il campione racconta le vicende dopo l’oro olimpico, conquistato nel 2008 a Pechino. «Il mio sogno era partecipare alle Olimpiadi, e le ho vinte. Dopo quella vittoria mi sentivo un po’ arrivato, ma avevo 23 anni ed ho fatto di tutto per andare avanti. Non avevo lo stesso entusiasmo ed era diventato quasi un obbligo. Ho fatto tanti cambiamenti: allenatore, psicologi, luoghi, ma non trovavo la giusta serenità. Alla fine, per via della rabbia nei confronti degli avversari russi, che sapevo doparsi, ho pensato: ‘sto male perché subisco il doping dei Russi’, quindi o smetto o incomincio a farlo anche io. Il controsenso è che avevo vinto un’olimpiade senza doping. La mia fidanzata non sapeva niente, i controlli potevano arrivare ogni giorno e sono arrivati quando mi trovavo a casa di Carolina Kostner. Come regolamento avevo dichiarato di essere in Alto Adige, per questo le ho chiesto di mentire».
Con la positività al doping inizia l’intricata storia di Alex Schwazer. «Venivo da un periodo in cui non facevo altro che mentire e allora ho deciso di dire la verità, perché non ce la facevo più. Avevo bisogno di togliermi un peso, quando sono entrato in conferenza stampa non avevo idea di quello che sarebbe successo. Quindi mi sono scusato, ma ho ammesso la mia colpa. Con la prima positività ci ho rimesso tanto in termini di carriera e in termini economici, gran parte della mia vita, su tanti aspetti diversi. Ho cercato di fare altro, mi sono iscritto all’università. Ma poi ho sentito lo stimolo di tornare a fare sport, riscoprendo quanto è bello praticarlo. Ho consultato il professor Donati e abbiamo pensato di intraprendere questo nuovo percorso», continua il marciatore azzurro.
Il caso Alex Schwazer svela, per la prima volta, i retroscena di un’intricata vicenda senza precedenti. Una docu-serie di 4 episodi dove i protagonisti di uno dei più complessi casi politico-giudiziari nella storia dello sport italiano si mettono a nudo per provare a raccontare ciascuno la propria verità. «Questa positività è stata rilevata mesi dopo, il 21 giugno. Il primo risultato era negativo. Il controllo è arrivato il primo gennaio, un giorno inusuale per un controllo anti-doping. Sandro Donati ha detto subito che questo era un tentativo di incastrarmi. Sono andato a Rio convinto che sarebbe saltato fuori un errore, invece sono stato squalificato per altri 8 anni. Nel giro di un mese abbiamo dovuto presentare la difesa, cosa impensabile per la reperibilità dei documenti. La giustizia sportiva mi ha condannato, ma quella penale no, sono stato dichiarato innocente per non aver commesso il fatto. Sono stato assolto dopo 5 anni, nonostante l’ostruzionismo degli organi sportivi. La giustizia sportiva ha confermato la squalifica fino al 2024, ma il processo sportivo non c’è più stato. Voglio ringraziare le persone che mi sono sempre state vicine in questi lunghi e difficili anni, a partire dal mio Avvocato Gerhard Brandstaetter, alla mia manager Giulia Mancini e per finire mia moglie Kathi», conclude.
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