Però – ecco l’inghippo – succede che dopo 365 giri che essa fa a guisa di trottola mentre gira intorno al sole, alla fine non arriva esattamente al “punto di partenza”. Ma rimane ancora un pezzettino (l’ultimo tratto di orbita per raggiungere il punto di partenza), equivalente a un po’ meno di sei ore: cioè circa un quarto di giorno. Quindi l’anno solare è “lungo”, o meglio “dura” 365 giorni e “quasi” 6 ore.
Fino al tempo di Cesare, di questo spezzone di “quasi” 6 ore nessuno ci faceva caso. E così, a distanza di anni si notava che le stagioni si spostavano, arrivavano sempre prima. I diversi popoli antichi avevano trovato il loro modo per correggere questa discrepanza. I Romani in particolare correggevano questa sfasatura mediante alcuni decreti (estemporanei) emanati dai sacerdoti preposti a questo compito: essi ogni tanto inserivano nell’anno dei mesi intercalari, ridando ordine al susseguirsi delle stagioni. Così probabilmente gli altri popoli.
Però con il provvedimento di Cesare il punto di partenza dell’orbita solare della terra veniva superato (anche se solo di un poco, in quanto il pezzettino che mancava era – come ho detto – meno di sei ore). Perciò restava comunque un inconveniente, per quanto piccolo: alla distanza sarebbe stato – ancora – necessario sottrarre (questa volta) qualche giorno, per mettere l‘anno alla pari e far coincidere così (di nuovo) le stagioni. A correggere questa (piccola) sfasatura intervenne la riforma del Papa Gregorio XIII (nel XVI sec.). Si decise infatti che in occasione di determinati anni bisestili (quelli centenari) non si aggiungesse la giornata in più.
E allora per recuperare tutta la eccedenza accumulatasi negli anni già trascorsi dal tempo di Cesare a quello di Gregorio, fu necessario eliminare dal calendario 11 giorni. Così in quell’anno 1582, anno della riforma “gregoriana” del calendario, dopo il 4 ottobre si passò direttamente al 15 ottobre. In seguito solo gradualmente la riforma fu accettata in tutta Europa.
A cura di Luigi Casale
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