Antonella, qual è stata la tua formazione?
Artisticamente, la mia formazione è legata ad attori di Peter Brook, a collaboratori di Marcel Marceau, alla Compagnia Mangano-Massip. Mi sono formata presso l’Istituto Teatrale Europeo di Roma, e ho fatto una lunga formazione con altri professionisti del panorama teatrale europeo e presso la Lee Strasberg di Los Angeles.
Tu svolgi da anni l’attività di counselor, e la tua passione per il teatro si è sempre affiancata a quella per la psicologia: il teatro può essere uno strumento di aiuto psicologico?
Assolutamente. Io ritengo che il teatro possa essere uno strumento fondamentale non solo per gli spettatori ma anche per coloro che si occupano del processo creativo, attori o anche amatori. Nel mio percorso di counseling ho lavorato con ragazzi vittime del bullismo, con persone diversamente abili, con immigrati e detenuti: la funzione sociale per me è molto importante e cerco di svolgerla anche attraverso il teatro.
Nei tuoi corsi di teatro presso l’Istituto Teatrale Europeo utilizzi il “Metodo Hansen”: su cosa è fondato?
Il “Metodo Hansen” comprende l’integrazione di due discipline, quella artistica, specifica dell’attore e quella psicologica del Counseling. Si fonda sul principio per cui attraverso un giusto modo di “fare teatro” si arrivi a un maggiore benessere, e quest’ultimo si raggiunge quando le persone entrano maggiormente in contatto con loro stesse, prendendo consapevolezza di ciò che vivono e senso di responsabilità rispetto a ciò che agiranno, non solo in scena ma anche fuori dalla scena. Attraverso il Metodo si aiuta l’interprete a liberarsi da quegli stereotipi tecnici che spesso gli impediscono di esprimersi come vorrebbe per promuovere, invece, la creatività nella relazione tra corpo, cuore e pensiero per arrivare alla conquista di uno “stile di interpretazione artistica personale”.
Il 15 e il 16 marzo sarai in scena al Teatro Tor Bella Monaca con lo spettacolo “Doppio Legame”, che tratta il tema della violenza psicologica: come nasce questo progetto?
In questo mio lavoro non viene trattato il tema della violenza fisica, ma di una violenza molto più sottile, che è ancora più difficile riconoscere. Il titolo si riferisce un rapporto di coppia in cui i due protagonisti vivono emozioni intense ma contrastanti, per cui da una parte la persona vorrebbe lasciare l’altro che lo sottomette e gli fa violenza, ma la difficoltà è grandissima proprio perché il legame è doppio. Il termine “DOPPIO LEGAME” in psicologia indica una situazione in cui la comunicazione tra due individui, uniti da una relazione emotivamente intensa, presenta un’incongruenza tra quello che viene detto a parole e quello che viene espresso a livello non verbale con gesti, atteggiamenti, tono di voce, ecc.
È uno spettacolo che esprime il punto di vista femminile?
A livello registico ho sviluppato una drammaturgia che non si focalizzi solo sulla violenza sulle donne, la “violenza di genere”: viene espressa anche la prospettiva dell’uomo, e il progetto nasce a seguito di una serie di incontri che ho svolto come Theatre Counselor ad Approccio Relazionale con persone, uomini e donne, vittime di violenza psicologica e dipendenza affettiva, all’interno di un programma legato alla Cipa Counseling di Roma. Questa esperienza è andata a integrare i miei percorsi artistici legati al Visual Theatre, e ad un teatro ricco di immagini metaforiche. E ne è venuto fuori uno spettacolo in cui si parla di come all’interno di una relazione “non sana” tra uomo e donna si arrivi a un certo punto a scambiarsi i ruoli: si passa dal voler salvare l’altro al diventarne vittima, e poi ad un ulteriore ribaltamento per cui la vittima diventa carnefice, fino ad arrivare a situazioni relazionali insostenibili.
Lo spettacolo è stato presentato al Convegno “La violenza sulla donna e il bambino: prevenzione, accoglienza e accompagnamento” organizzato dal Dipartimento di Neuroscienze dell’Istituto Superiore di Sanità: il Teatro può essere uno strumento di prevenzione della violenza?
Certamente. Questo spettacolo esprime il concetto, molto importante, che bisogna educare i bambini a comprendere qual è la forma di amore “sano” e a riconoscere la pericolosità di un rapporto in cui le dinamiche di comunicazione non hanno a che vedere con ciò che è l’amore.
E cos’è l’amore?
L’amore è qualcosa che fa bene non solo in un momento: fa bene sempre.
A cura di Barbara Miladinovic
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