Cultura

L’avventuroso raid Pechino-Parigi del 1907 e le cinque vetture partecipanti

“Quello che dobbiamo dimostrare oggi è che dal momento che l’uomo ha l’automobile, egli può fare qualunque cosa ed andare dovunque. C’è qualcuno che accetti di andare, nell’estate prossima, da Pechino a Parigi in automobile?”

Un annuncio davvero sensazionale per l’epoca. Destò tanto entusiasmo, ci furono subito 250 adesioni. Comunque solo 25 furono le adesioni regolari e si ridusse ancor di più il numero di vetture che si presentarono per la partenza al quartiere delle Delegazioni a Pechino. Il percorso di quasi 16.000 Km evidentemente fece diminuire molti improvvisi entusiasmi. Solo equipaggi assai ben preparati, con una vettura altamente performante, potevano affrontare un simile viaggio.

Si presentarono alla partenza tre vetture francesi: un triciclo Contal e due De Dion-Bouton, una vettura olandese, la Spyker, una vettura italiana, l’Itala.

Il lavoro organizzativo per un tale evento fu abbastanza complesso.

Si costituì un comitato a Parigi, con esperti che provenivano anche dalla Cina e dall’Estremo Oriente. Bisognava non solo tracciare il percorso, ma ottenere anche permessi logistici e tecnici dai Paesi che sarebbero stati attraversati. Si ottenne la rinuncia della Russia ai diritti doganali. Nel caso fosse stato necessario spedire pezzi di ricambio da Parigi, la spesa non sarebbe stata ingente. Inoltre, in Russia i partecipanti avrebbero potuto usufruire del servizio telegrafico e in caso di guasto, sarebbero stati autorizzati a viaggiare gratuitamente nei treni della ferrovia Transiberiana.

Le Compagnie petrolifere si rivelarono molto interessate a questo raid e al settore automobilistico in genere, poiché stava aumentando il consumo di petrolio.

In Russia e in Siberia i rifornimenti di carburante sarebbero stati assicurati dalla Nobel Company, in Cina dall’Asiatic Petroleum Company.

Il primo ad aderire all’avventurosa iniziativa fu il conte Albert De Dion, che aveva fondato in Francia l’Automobile club, proprietario, assieme a Georges Bouton, di una casa costruttrice automobilistica, che dava lavoro a 3000 operai. La De Dion Bouton era assai desiderosa di dimostrare il primato dell’automobilismo francese.

Due operai della Ditta vennero scelti per guidare le due vetture che avrebbero partecipato: Georges Cormier e Victor Collignon.

La De Dion Bouton è stata una tra le prime Ditte automobilistiche ad essere fondata in Europa, ma a differenza delle altre non proseguì nel settore automobilistico, concluse la sua attività già nei primi decenni del XX secolo, nel 1932 per l’esattezza. Cessò la produzione di vetture, ma iniziò la produzione ferroviaria, negli anni Trenta e Quaranta era la Ditta più importante in Francia per quanto concerneva la costruzione di automotrici. Fino al 1950 vennero costruiti veicoli per il settore commerciale, l’ultima vettura che ebbe il marchio De Dion Bouton fu la Land Rover, siamo alla fine degli anni Cinquanta. La società aveva sede a Puteaux. Il pioniere fu Jules-Felix Philippe Albert De Dion Wandonne de Malfiance. Faceva parte della nobiltà francese. De Dion si appassionò subito ai motori e alle automobili, studiò con impegno tutte le nuove tecniche di costruzione e depositò dei brevetti. Fortunata fu la sua idea dello schema d’assale rigido, che progettò assieme a Charles Trépardoux, questo schema è molto più conosciuto con la definizione: Ponte di Dion. Viene utilizzato tuttora nelle automobili a trazione posteriore. Veniva molto adoperato nelle automobili da corsa. L’ Alfa Romeo ottimizzò l’utilità del ponte, che ebbe in seguito dei miglioramenti con la barra di Panhard (così chiamata perché fu utilizzata per la prima volta nelle vetture Panhard). La barra Panhard è un braccio metallico collegato da una parte al ponte e dall’altra al telaio, contenendo così i movimenti trasversali del ponte e permettendo quelli verticali. Con il ponte di Dion il differenziale è collegato direttamente alla scocca, pertanto viene ridotto il peso delle masse non sospese. De Dion sarà l’organizzatore anche del primo Salone dell’automobile alle ‘Tuileries’ nel 1898. Fonderà il primo periodico automobilistico ‘L’AUTO’ nel 1900 e dal 1902 si dedicherà anche all’attività politica. Ereditò il titolo di marchese alla morte del padre nel 1901. Fu eletto deputato nel Dipartimento della Loira inferiore.

Il conte De Dion inviò al giornale, che aveva lanciato l’iniziativa del raid, una lettera che iniziava con queste parole:”Vengo a cognizione di una prova- sfida da Pechino a Parigi. Le strade sono abominevoli e spesso non esistono che sulla carta. Ma io credo che se un’automobile vi potrà passare, passerà la De Dion Bouton …”. Aveva molta fiducia nella sua vettura Albert De Dion, ma altrettanto fiduciosi erano i fratelli Spyker, due olandesi. Jacobus e Hendrik avevano iniziato costruendo carrozze. Nel 1898 costruirono la Gouden Koets (Carrozza d’oro), un omaggio della cittadinanza di Amsterdam per l’incoronazione della regina Guglielmina. Tuttora i reali olandesi la utilizzano per le occasioni ufficiali. La costruzione di questa carrozza li fece diventare molto conosciuti, ma loro cominciarono ad interessarsi sempre di più alla nascente industria automobilistica.

La prima vettura prodotta completamente dalla Ditta Spyker, la 6 HP, fu presentata nel 1902, aveva un motore bicilindrico monoblocco raffreddato ad acqua. Nel 1903 fu presentata al salone di Parigi una vettura davvero interessante, la 36/50 HP, fu la prima a trazione integrale con un solo motore, un 6 cilindri da 5073 centimetri cubi, primo a dotare un’automobile con questo frazionamento, fu anche la prima automobile ad avere i freni sulle quattro ruote. Nel 1904 venne prodotta una 14/18 HP, che poteva essere disponibile con varie carrozzerie. Una vettura che si ispirava a questo modello partecipò al raid Pechino-Parigi. Va ricordato che Jacobus Spyker era molto creativo, aveva progettato assieme al belga Valentino Laviolette un originale motore circolare e un carburatore magnetico. Partecipare al raid poteva essere un’importante vetrina per la Ditta Spyker e difatti fu presa la decisione di avventurarsi in questa impresa.

Anche Camille Contal era sicuro che il raid poteva pubblicizzare la sua vettura. Si sa molto poco di Camille Contal.

Fondò una Casa automobilistica a Neuilly, in Francia, nel 1901.

La vettura progettata da Contal era praticamente un triciclo, le ruote davanti erano sterzanti, la ruota posteriore era trainante, il passeggero si trovava davanti al conducente in questa vettura, tra le due ruote sterzanti. Sotto il sedile del passeggero stavano le parti meccaniche. Le prime vetture Contal furono elettriche, nel 1905 venne costruito un motore con una trazione a catena sulla ruota posteriore.

La Contal ebbe vita breve, nel 1908 dovette chiudere, perché questa macchina abbastanza semplice non poteva reggere il confronto con automobili sempre più tecnologicamente avanzate. Comunque, nel 1907, Camille Contal era ancora fiducioso e sperava di dar risalto alla sua vettura facendola partecipare al raid. Venne scelto come pilota Auguste Pons, accompagnato dal meccanico Octave Foucault. Contal pensava che il suo veicolo, più leggero degli altri, sarebbe stato molto adatto a quel tipo di percorso.

L’italiano Scipione Borghese, X Principe di Sulmona, si limitò ad aderire all’iniziativa, inviando un telegramma al giornale parigino Le Matin, che aveva lanciato l’idea. Aveva studiato scienze fisiche e matematichea Roma, frequentò l’Accademia militare di Torino, conseguendo il grado di sottotenente di artiglieria. Uomo di poche parole, si fidava della sua vettura, l’Itala da 40 CV, ma soprattutto aveva capito che, per poter avere qualche possibilità di giungere al traguardo, era necessario conoscere il percorso alla perfezione.

Come viaggiatore ed esploratore scientifico nel 1900 era partito dal Golfo Persico ed aveva raggiunto il Pacifico. Nel 1902 fu pubblicato un libro relativo all’impresa:”In Asia: Siria Eufrate, Babilonia”.

Viaggiò anche attraverso la Cina e scrisse un altro libro molto interessante.

Borghese non si recò mai alle riunioni di Parigi, seguiva i lavori del Comitato organizzatore da Roma e studiava con grande cura il tracciato.

Borghese ebbe due importanti idee anche per quanto riguardava la macchina. Fece sostituire i parafanghi con assi asportabili, queste assi sarebbero state utilizzate come rampe per gli ostacoli. Scelse per l’Itala pneumatici posteriori ed anteriori delle stesse dimensioni, così poté ridurre le scorte. La Casa torinese, costruttrice dell’Itala, era abbastanza scettica e ad un certo punto chiese al Principe di ritirarsi dalla competizione, ma Borghese era determinato, si fece consegnare la vettura e la affidò al suo meccanico Ettore Guizzardi.

La Casa torinese (Itala Fabbrica Automobili), costruttrice dell’Itala, era stata fondata nel 1904 a Torino da Matteo Ceirano. Abbiamo già parlato dei suoi fratelli in un altro articolo di questa rubrica dedicata agli albori dell’automobilismo. Purtroppo la gloriosa Ditta italiana ebbe una breve durata, ma finché fu attiva, ottenne sempre grossi risultati. L’anno precedente al trionfo nel raid Pechino-Parigi, l’Itala vinse la prestigiosa Targa Florio, gara ideata e organizzata dall’imprenditore siciliano Vincenzo Florio, una competizione che si è svolta in Sicilia dal 1906 al 1977. Nel 1908 un’altra vittoria per Itala; la contessa Lucy Christalnigg, al volante della macchina italiana, vinse il Wanderpreis della Carinzia. La Casa torinese esportava le sue splendide automobili in tutto il mondo, a richiederle erano soprattutto personaggi politici, esponenti dell’alta finanza, famiglie reali di vari Paesi. Purtroppo alcuni affari sbagliati, ad esempio la produzione di motori per l’aeronautica, non consentirono a questa bella realtà industriale italiana di proseguire. Messa in liquidazione nel 1931, nel 1934 venne chiusa. La mitica vettura, che partecipò al raid, era la 35/45 HP con alcune modifiche. Tale automobile aveva un motore biblocco in ghisa a quattro cilindri in linea con corsa ed alesaggio di 140 x 130 mm, una cilindrata di 7433 centimetri cubi e una potenza di 45 cv ad un regime inferiore ai 1500 giri. Raffreddamento ad acqua e lubrificazione di tipo misto. Alimentazione attraverso un carburatore verticale. Cambio a 4 marce e retromarcia, frizione a dischi multipli in acciaio. Un albero cardanico era l’organo di trasmissione per le ruote motrici posteriori.

Il telaio era molto robusto. Passo di 3290 mm, carreggiate di 1420 mm all’anteriore e di 1415 mm al posteriore. Questi sono dei dati tecnici che si trovano in vari siti web assieme ad ulteriori notizie.

La vettura del raid fu fornita di due serbatoi da 150 litri, oltre a quello di 83 litri. L’autonomia, per il raid, superava i 1000 chilometri. Fu dotata di due serbatoi da 50 litri, uno per l’acqua e l’altro per l’olio. C’era anche uno spazio, vicino al sedile posteriore, per i pezzi da ricambio, gli attrezzi e le gomme di scorta, fornite dalla Ditta Pirelli. Le ruote erano in legno, ed erano più grandi di quelle di solito adoperate. La velocità a pieno carico (2 tonnellate) era di 70 Km/h. L’unico incidente che ebbe l’Itala, in un percorso di migliaia di chilometri, fu la rottura di una ruota in Russia, subito riparata da un falegname.

La vettura vincitrice del raid, opportunamente restaurata, ora si trova presso il museo Biscaretti di Torino.

Il Principe aveva parecchie conoscenze e si fece inviare anche le carte militari dei territori conosciuti, fu un vantaggio per lui avere il fratello Livio, incaricato d’Affari a Pechino. Fu in grado di reperire i resoconti meteorologici di 8000 Km di Continente asiatico.

L’Itala venne imbarcata il 10 aprile 1907 su una nave di linea del Norddeutscher Lloyd, al fine di raggiungere Napoli e in seguito l’Estremo Oriente. Mentre Borghese era sempre più fiducioso, negli altri partecipanti aumentava la preoccupazione, c’era un tale sconforto in loro che decisero di inviare a Borghese un telegramma, in cui comunicavano il ritiro. La risposta di Borghese fu:”Salpo da Napoli domani”. Ottenuta questa risposta, soprattutto i francesi, che avevano dimostrato così tanto entusiasmo nel voler lanciare l’industria automobilistica nazionale nel mondo, si sentirono umiliati, sminuiti, e in loro prevalse l’orgoglio, pertanto decisero che era il caso di eliminare ogni dubbio, ogni scetticismo e decisero di partire con le vetture, così fecero gli olandesi. Sul piroscafo Océanien, che partì da Marsiglia il 14 aprile, vennero imbarcate le due De Dion Bouton, la Contal, la Spyker. Sul piroscafo salirono Jean Bizac, il meccanico delle De Dion, Jean du Taillis, giornalista del “Matin”, che aveva lanciato l’idea del raid, Edgardo Longoni, incaricato di una corrispondenza con il Tribunale di Londra, Charles Godard, che rappresentava la Spyker, Auguste Pons e Octave Foucault, rispettivamente pilota e meccanico della Contal. I piloti della De Dion Bouton, Cormier e Collignon, avrebbero raggiunto Pechino in treno, avevano il compito di disporre le scorte di carburante lungo il percorso.

Arrivarono a Pechino il 17 maggio. Coloro che erano sul piroscafo Océanien, sbarcarono a Shangai e raggiunsero Pechino con il treno assieme alle vetture.

Il giornalista Luigi Barzini era stato inviato in Giappone dal Corriere della Sera, ma presto sarebbe giunto anche lui a Pechino. Il giornale per cui scriveva Barzini, aveva offerto a Borghese 5.000 lire e un importo di 20 lire per ogni giornata di corsa, affinché il giornalista potesse salire a bordo dell’Itala. Borghese accettò.

Molti problemi a Pechino, prima della partenza. Il Governo cinese non si fidava, sospettava che quegli automobilisti fossero delle spie. Per più di tre settimane i partecipanti attesero i passaporti. Inoltre veniva richiesta una somma considerevole per il transito sulle montagne appena fuori Pechino, in direzione della Grande Muraglia. Ci furono degli atti di solidarietà, Collignon pagò per tutte e tre le vetture francesi, compresa la Contal, Il giornalista del “Matin”, du Taillis, avrebbe anticipato i soldi a Godard.

Finalmente giunse il giorno della partenza. Era il 10 giugno 1907.

I partecipanti, con le loro vetture, si incontrarono sul cortile della caserma francese ‘Voiron’.

Sul cortile c’erano le seguenti macchine:

La Spyker, 15 CV, che aveva a bordo Godard e Du Taillis, la prima De Dion Bouton, 10 CV, con il pilota Cormier, e il giornalista italiano Edgardo Longoni, che comunque sarebbe salito a Kalgan, la seconda De Dion Bouton, con il pilota Collignon, che aveva con sé il meccanico Jean Bizac, il triciclo ad un cilindro Contal con il pilota Auguste Pons e il meccanico Octave Foucault, l’Itala aveva come pilota il principe Borghese, ma a bordo dell’Itala c’erano anche il giornalista Luigi Barzini, inviato speciale del Corriere della Sera, in contatto pure con il giornale inglese Daily Telegraph, il meccanico Ettore Guizzardi, la moglie di Borghese, principessa Anna Maria, il fratello Livio, che aveva fornito a Scipione notizie utili e conosceva il territorio.

Erano state date ai concorrenti delle precise regole alle quali attenersi durante la gara. Erano regole che prevedevano molto altruismo e generosità. Se una vettura avesse avuto un guasto grave, gli altri avrebbero dovuto aiutare. In caso di malattia, non superiore ai tre giorni, il malcapitato poteva chiedere agli altri di fermarsi. Barzini non parlerà di questi accordi nel suo libro, Borghese, in un certo senso, li infranse subito.

Probabilmente, uno dei passaggi più ardui di tutto il percorso si trovava subito dopo Pechino, si trattava dei valichi di Nankù e di Kiming.

Varie parti di ricambio dell’Itala, i serbatoi, la carrozzeria e altro erano già diretti verso Kalgan, trasportati su carri trainati dai buoi, quindi l’Itala avrebbe affrontato i valichi in condizioni ottimali, molto alleggerita rispetto alle altre vetture. Gli altri partecipanti non avevano potuto permettersi di fare altrettanto per motivi organizzativi ed economici. E il giornalista francese du Taillis metterà in evidenza questa disparità, dando più valore alle vetture che avrebbero affrontato i difficili valichi a pieno carico. Già iniziavano le polemiche e si capì subito che Scipione Borghese non si curava di nessuna chiacchiera, lui desiderava vincere la gara assolutamente e non aveva tempo di pensare a giudizi e critiche. Naturalmente l’Itala, sin dalla partenza, fu subito davanti a tutte. A due ore dalla partenza Cormier e Godard si fermarono, perché avevano perso di vista l’altra De Dion Bouton, in effetti il regolamento prevedeva un aiuto reciproco, ma l’Itala proseguì e il giornalista du Taillis scrisse che fu molto triste vedere il principe proseguire, mentre gli altri si attendevano e si cercavano.

La corsa vide sempre l’Itala in vantaggio.

Il 21 giugno si ritirò la Contal, aveva spesso avuto problemi, ma estenuante per Pons e Foucault fu il vagare nel deserto dei Gobi, la vettura era ferma, perché non c’era più benzina. Per fortuna furono salvati da una morte sicura da alcuni mongoli. Stanchi e delusi Pons e Foucault decisero di ritornare a Pechino. Anche Godard e du Taillis rimasero senza benzina, trascorsero tutta una notte nel deserto, e anche loro vennero soccorsi, ma ebbero più fortuna di Pons e Focault, perché i Kurgusi, mongoli a cavallo che li aiutarono, li trainarono per alcuni chilometri, procurando pure la benzina, ovviamente dietro lauto compenso.

Per l’Itala fu tutto un susseguirsi di tappe trionfali. Scipione Borghese si sentiva talmente sicuro della sua prima posizione che potè permettersi di allungare il percorso ed andare fino a San Pietroburgo.

L’avventuroso raid era molto seguito in tutto il mondo. Per la prima volta il giornalismo sportivo affrontò il racconto in diretta. Quasi ogni giorno Luigi Barzini inviava notizie, mediante il telegrafo, al Corriere della Sera e al Daily Telegraph, e come lui gli altri giornalisti.

L’Itala giunse a Parigi il 10 agosto 1907 alle ore 4.15 della mattina.

Il 30 agosto arrivò la Spyker, guidata da Charles Godard, le due vetture De Dion Bouton arrivarono anch’esse a Parigi, ma con un ritardo enorme rispetto alle prime due. Per quanto riguarda la Contal, abbiamo già detto che pilota e meccanico si erano ritirati.

La Pechino Parigi fu un grande evento mediatico dell’epoca.

Per i lettori che volessero approfondire questo argomento, ed avere altre interessanti notizie sul raid Pechino – Parigi, ci sono vari libri utili scritti dagli stessi giornalisti che parteciparono al raid. Il libro che scrisse il giornalista Luigi Barzini ebbe subito un grandissimo successo.

“La metà del mondo vista da un’automobile. Da Pechino a Parigi in 60 giorni” fu pubblicato nel 1908 in undici lingue e distribuito in dodici Paesi. Mai un’opera italiana era stata così largamente diffusa.

Jean du Taillis, il giornalista francese corrispondente di “Le Matin”, che aveva affrontato il percorso nella Spyker, guidata da Godard, scrisse il libro “Pekin-Paris: Automobile en Quatre-Vingt Jours”, pubblicato nel 1907. E’ assai importante confrontare le opinioni che Barzini e du Taillis esprimono sulla gara e i partecipanti, dal momento che divergono in parecchi punti.

L’inglese Allen Andrews scrisse “I lupi solitari della Pechino-Parigi”. Andrews non aveva vissuto quell’avventura come Barzini e du Taillis, ma riuscì ad intervistare dei partecipanti, mise a confronto varie testimonianze, attinse a numerosissime fonti. Il libro fu pubblicato nel 1966. Comunque altri libri, racconti ed articoli furono scritti, perché il raid del 1907 affascinò davvero molti scrittori e giornalisti.

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Pubblicato da
Daniela Asaro Romanoff

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