Dopo “Riesta n’atu ppoco”, brano uscito a novembre 2020 per l’etichetta campana Dischi Rurali, “‘O muorto” è il secondo singolo che anticipa “Puoi rimanere appannato”, secondo lavoro discografico del cantautore napoletano Il Befolko in uscita per la primavera 2021. Se il primo singolo era caratterizzato dalla sua brevità e dal voler dire tutto in poco più di un minuto, qui siamo invece di fronte al brano più lungo dell’intero album. Una canzone volutamente equivoca, un po’ criptica, dal significato misterioso che lascia agli ascoltatori il compito di scovare la verità.
Il Befolko ci ha gentilmente concesso un’intervista.
“‘O muorto” è il tuo nuovo singolo, come nasce?
‘O muorto è nata qualche anno fa un po’ per caso, più che altro come un gioco. Una sera uscii con i miei migliori amici, ci capitò un evento buffo che lì per lì ci fece disperare parecchio. Perdemmo una cosa in auto, una specie di cadavere, alla fine però riuscimmo a ritrovarla e la “seppellimmo”… Appena tornai a casa in pochi minuti scrissi e musicai queste righe e come prima cosa feci ascoltare il tutto proprio ai miei amici. Così, per ridere insieme di quanto ci era successo. Credo sia una canzone un po’ cifrata, volutamente equivoca e straniante, un divertissement. Solitamente sono molto più grave e serio nella mia scrittura ma ogni tanto mi concedo delle canzoni più leggere, che fungono da diversivo. Sono sempre quelle un po’ più matte, un po’ più imprevedibili.
Cosa vuoi trasmettere con questo brano?
Nelle mie canzoni, come detto, sono solitamente molto chiaro, diretto, non lascio mai possibilità di fraintendimento. In questo caso invece, assecondando la vicenda un po’ oscura che abbiamo vissuto, mi sono divertito a seminare un po’ di mistero. Volevo trasmettere questo, in primis, e poi giocare con le parole, equivocare fin dal titolo. Per quanto riguarda la musica, invece, inizialmente era nata suppergiù con gli stessi accordi ma su un ritmo reggae. In fase di arrangiamento e registrazione la canzone ha poi assunto un nuovo volto, mi piaceva molto l’idea di provare a delineare un immaginario un po’ desertico, arido, tra il western e il lisergico, fatto di figure un po’ spaccone, un po’ bifolche. Se dovessi trovare un dove direi che ci troviamo tra gli Stati Uniti e l’America Latina.
Troviamo una rievocazione del cantautorato britannico-americano degli anni ’70, che tipo di caratterizzazione dà questo aspetto al lavoro?
Sono un grandissimo appassionato della musica degli anni ’70, mi piace provare a riattualizzare il sound sviscerato nel corso di quel decennio e capire se esso abbia ancora qualcosa da dire a posteriori, dopo quasi cinquant’anni, con moduli parzialmente nuovi. La scoperta di quel mondo musicale mi ha spinto ad imbracciare la chitarra acustica, devo praticamente tutto a quel cantautorato e, pur non potendo prevedere i passi futuri della mia musica, credo che difficilmente reciderò quelle radici. Questo brano, come anche gli altri che fanno parte dello stesso album, è stato realizzato interamente in analogico, nonché con una microfonazione molto old-school, c’era la precisa volontà di ricreare quella patina a livello sonoro ancor prima che strumentale. Poi degli anni ’70 credo di aver ripreso un po’ la totale libertà creativa e forse anche un certo gusto per gli accostamenti bizzarri e inaspettati. In quel decennio c’era molta volontà di sperimentare, anche il pop era profondamente coraggioso.
Come nasce il tuo progetto musicale?
Il progetto nasce ufficialmente nella primavera del 2015 ma in modo molto timido e sotterraneo esisteva già da qualche anno. Ho iniziato a scrivere canzoni con una certa continuità con l’inizio dell’università, a partire dal 2011, ma nel 2015 ho preso definitivamente coraggio e consapevolezza scegliendo di mettermi in gioco più seriamente. “Il Befolko” nasce da questo grande amore per il folk americano, in qualche modo frammisto a Napoli, alla sua vita, alla sua lingua, e al ritmo, alle percussioni (che sono il mio primo e vero strumento!). Provo a fare un mix di questi elementi, insomma. In questi quasi sei anni credo di aver fatto un percorso lento, abbastanza lungo, con parecchia gavetta, ma ogni tappa è stata utilissima e questo mi ha permesso di avere sempre tutto sotto controllo e di restare umile. Ho viaggiato parecchio in tutta Italia, mi considero un menestrello girovago e credo che il viaggio sia ancora più importante dell’ esibirsi. La musica è, in primis, la vita dell’incontro!
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