Attualità

Black lives matter, parola di Chekos’art

È il 16 ottobre del 1968. A Città del Messico si svolgono le Olimpiadi e i velocisti statunitensi Tommie Smith e John Carlos arrivarono primo e terzo nella finale dei 200 metri piani alle Olimpiadi. Smith aveva stabilito il nuovo record del mondo, con 19,83 secondi, Carlos, con i suoi 20,10 secondi, era arrivato dietro all’australiano Peter Norman.

I tre salgono sul podio per ricevere le medaglie e, nel momento in cui cominciarono a suonare le note dell’inno americano, Smith e Carlos chinarono la testa e alzarono il braccio, tenendo il pugno ben chiuso verso il cielo.

Nello stadio calò il silenzio.

Non era stato un anno facile, il 1968: appena sei mesi prima era stato assassinato Martin Luther King e le rivendicazioni dei diritti civili degli afroamericani si erano bruscamente fermate. Il ‘sogno’ di King sembrava essersi infranto e la rabbia dei neri americani cresceva ogni giorno di più. Non una situazione diversa da quella di adesso.

Il ‘Raised Fist’, il pugno alzato, non nasce come simbolo per la lotta per i diritti civili dei neri, ma più in generale come segno universalmente legato alla protesta. Di esempi nella storia ce ne sono tanti, specie legati al periodo comunista, ma in quel giorno di ottobre di cinquant’anni fa Smith e Carlos ne fecero un simbolo della lotta per il Black Power. La foto che fu scattata in quel momento divenne una delle più famose di tutto il ‘900.

Ci furono conseguenze, molto pesanti: il comitato olimpico internazionale chiese l’espulsione dei due, perché ritenevano che volessero provocare con quel gesto, e una volta tornati in Patria i due subirono minacce e intimidazioni, anche se divennero degli eroi per la comunità afroamericana. Anche Peter Norman quel giorno alzò il braccio .

C’è un finale agrodolce in questa storia: Smith e Carlos, nel 2006, furono visti portare sulle spalle il feretro di Norman, che da bianco era stato loro accanto in quella protesta, anche se avrebbe potuto rimanere fuori, restare indifferente.

Incredibile come, a cinquant’anni di distanza, siamo ancora qui a rivendicare i diritti di altri esseri umani.

Intervista a Francesco Ferreri in arte Chekos’ art a cura di Daniela Piesco

Francesco Ferreri, Chekos’art, nasce nel 1977 a Lecce. Si trasferisce a Milano all’età di 13 anni, dove cresce nell’underground dei grafiti dell’old school milanese. Grafico, muralista e Street artisti. Lascia impronte indelebili sui muri delle città italiane ed estere per riqualificare ‘zone grigie’ ma anche per comunicare con le nuove generazioni.

Must have: Personaggi storici, fotografi, cantanti, filosofi, persone impegnate nel sociale, per recuperare quella memoria storica che si tende, spesso e presuntuosamente, a dimenticare.

Il suo è un muralismo sociale, infatti, si è dedicato molto al tema del razzismo e a combattere questo fenomeno mondiale ancora tristemente attuale (vedi murales antirazzista a Bialystok, Polonia, 2013).

L’edificio diventa cosi veicolo di messaggi legati alla storia e all’aspetto socio-culturale del luogo in cui è collocato, ed suoi muri dei veri “monumenti urbani”.

Chekos non è solo un artista ma anche fondatore di 167/B Street, co-fondatore di South Italy StreetArt e art director di BFake.

Negli Stati Uniti come in Italia cominciano a venir fuori murales che chiedono giustizia per gli afroamericani freddati dalla polizia .Anche in questo caso l’arte si è unita a questo coro eterno di libertà e uguaglianza.Perché questo non è solo un affare americano…. Qual’e’ la tua posizione in merito?

Assolutamente favorevole alla protesta. Anzi io, ancor prima del movimento black lives matter, mi occupavo di razzismo e integrazione collaborando con varie associazioni .Tra bianchi e neri non c’è differenza. Io vedo la cattiveria nelle persone non il colore della pelle.I diritti umani sono fondamentali e devono essere di tutti.Ribadirlo ancora oggi non mi sembra una grande conquista.Avrebbe già dovuto essere così.

La Street-Art è un fenomeno molto discusso e proprio dalla polemica trae la sua linfa perché non avendo mercato, non aspetta il pubblico ma lo trova e lo colpisce. Ma non si corre il rischio di passare inosservati, in un mondo di egoismo, mero opportunismo e decadenza morale?

Si ,mi trovi d’accordo. La street -Art è un fenomeno molto discusso però ormai un mercato ce l’ha.E ti posso assicurare che molti artisti lavorano per gallerie e grosse fondazioni.Ormai è a tutti gli effetti arte contemporanea, forse la più giovane arte contemporanea come movimento artistico. E già questo non la fa passare inosservata.Poi a dire il vero la Street-Art vera ,propria e pura è pressoché inesistente. Tu,giustamente hai rilevato che ormai il suo scopo non è più quello di interagire con le persone.Anche se i grandi Murales hanno sempre qualcosa da dire. Quindi credo che la street -art ,nella sua formulazione originaria, si sia evoluta e che oggi, solo attraverso il mercato,può trovare interazioni con il pubblico.

Creare un’opera d’arte che si contestualizzi nello spazio che la circonda, creando un impatto e interagendo con un pubblico diversificato, che peraltro non ha scelto di visionare l’opera: è questa la connotazione culturale propria della tua arte?

Si. Io lavoro sulla memoria storica. Da sempre studio il vissuto del luogo dove vado ad operare.Mi immetto spiritualmente in esso per rievocare personaggi forse dimenticati. Sempre con grande rispetto cercando di non essere mai invasivo.Io vado incontro al luogo e il luogo mi viene a metà strada:da questa sinergia nasce la mia arte. Senza sottovalutare il fatto che i personaggi storici sono sempre affini all’uomo moderno.

I murales sono come graffi sulla pelle della città che devono essere notati? Il linguaggio di chi non viene ascoltato?

Si.
In America furono questo:un bisogno di attenzione. Poi nacque la Street-Art in Europa con Bansky. Oggi è, ripeto, arte contemporanea giovane. Oggi è istituzionale e c’è chi ha creato la sua carriera e il suo percorso artistico. Ma c’è anche chi ha voluto mantenere quelle origini senza altre contaminazioni.

In Polonia hai realizzato quello che tu stesso definisci uno dei lavori più importanti :un murales antirazzista,realizzato dopo che alcuni polacchi incendiarono la casa di un immigrato indiano. Si può cambiare il mondo sensibilizzando l’opinione pubblica attraverso la potenza di immagini e parole ispirate dalla lotta sociale e antirazzista? L’ARTE CONTEMPORANEA può essere una RISORSA ANTI- RAZZISMO?

Beh, si. Il murales in Polonia è stata una roba bella dura. Dura soprattutto per le opposizioni all’antirazzismo. Abbiamo dovuto lavorare con le macchine della polizia che ci sorvegliavano. Ma è stata un’esperienza importante che ha lasciato quello che io definisco un “murales stimolatore”.Un disegno nel quartiere che fa capire che l’arte contemporanea non è solo estetica e quindi piacere dell’occhio,ma è una forza che esplode, è sperimentazione dei maestri del 900,è la ragion critica d’esser.. Fu una situazione difficile, ripeto. Ma è importante fare qualcosa nei quartieri difficili perché, non subito,ma magari le nuove generazioni, potranno avere una visione differente della vita, magari, vedendo tutti i giorni quel murales,andando a scuola.

Non è una contraddizione tutta occidentale: l`omologazione, da un lato, e la continua produzione di diversità, dall’altro?

Mia cara,viviamo nel mondo della contraddizione capitalistica. Semplice, davvero.

Protagonisti delle tue opere sono lo status di emarginazione, i sentimenti di tolleranza, ma anche la rappresentazione del futuro assieme a personaggi simbolici del passato. Il murales è una mera espressione personale o e’ invece un’espressione sociale?

Entrambe, cara Daniela.

Street Art South Italy è il movimento che hai creato a Lecce ,al Sud Italia, e con riflessi anche a livello internazionale. Una realtà autentica che dalla piccola provincia è arrivata a dire la sua anche fuori dall’Italia. I suoi artisti sono gli ambasciatori del Sud Italia nel panorama della street art?

Innanzitutto il movimento è una rete che parte dal sud Italia per creare connessioni. Queste connessioni da regionali sono diventate nazionali e internazionali. Ma questo non ci importa,ci importa essere presenti. Io sono un ambasciatore per il piacere di essere oltre i confini europei e intercontinentali. Essere presenti sulla scena. Questo conta.

Delle recenti proteste e disordini seguiti ai fatti di razzismo negli Usa, proteste che si sono estese anche fuori dal Paese,è nato il dibattito sulla rimozione delle statue che commemorano personaggi considerati “scomodi”. Che ne pensi di chi imbratta le statue?Anche la rabbia distruttrice entra a far parte del patrimonio storico, proprio perché è un fatto e come tale trova le sue ragioni nel momento storico in cui è agito e, come fatto, va registrato?

Questa è una domanda bella tosta. Allora nel periodo storico che stiamo vivendo secondo me è stata fatta una cosa giusta. Ti spiego il perché. Spesso e volutamente la storia è stata falsata da tanti ed è stata scritta cosi come è stata voluta da qualcuno, sorretto da qualche potere. Sono a favore di queste azioni per il messaggio politico che contengono. Ma sia chiaro non sono a favore del deturpamento dei beni storici e vandalizzare. Io appoggio l’azione politica di tutela dei diritti!.

Quali sono i colori del tuo futuro?

Ogni colore ha la sua anima.Difficile scegliere, facile usarli tutti.

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Pubblicato da
Daniela Piesco

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