Questo il bilancio dell’attività recentemente conclusa dalla Guardia di Finanza di Silandro, che fa seguito a un’indagine in materia di reati fiscali e riciclaggio, coordinata dalla Procura della Repubblica di Bolzano.
L’operazione ha preso l’avvio da alcune verifiche fiscali svolte nei confronti dello stesso gruppo societario; nel corso dei controlli, i finanzieri di Silandro hanno constatato una frode fiscale per oltre 5 milioni di euro realizzata attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
In particolare, per abbattere il reddito imponibile e sottrarsi così al pagamento delle imposte, i responsabili delle società e il consulente hanno riprodotto fedelmente numerose fatture riportanti il logo di alcuni fornitori abituali di merce (pasta e altri prodotti alimentari), risultati poi totalmente estranei ai fatti.
Per assicurare parvenza di effettività ai costi fabbricati “a tavolino”, era stato ideato un sistema di pagamento delle fatture attraverso assegni formalmente intestati agli (ignari!) fornitori ma che in realtà, attraverso false girate, venivano incassati su vari conti correnti bancari nella disponibilità del consulente, uno dei quali acceso presso un istituto di credito austriaco.
L’attività investigativa, svolta anche tramite perquisizioni e indagini bancarie all’estero, ha consentito di accertare il rientro degli illeciti profitti nella disponibilità degli autori della frode, tramite il sistematico prelievo di ingenti somme in contanti dai conti bancari che il professionista aveva messo a disposizione.
Il ruolo di comprimario svolto dal consulente nella frode, grazie al quale è stato possibile architettare l’uscita e il rientro di circa 5 milioni di euro nelle casse societarie, è costato allo stesso l’incriminazione di riciclaggio, reato punito con la pena della reclusione da 4 a 12 anni.
I due responsabili delle società verificate sono stati invece denunciati per i reati di “dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti” (che prevede la pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni) e di “impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita” (che prevede la pena della reclusione da quattro a dodici anni).
In particolare, quest’ultima incriminazione è collegata al fatto che una parte dei fondi neri costituiti illecitamente sono stati reinvestiti in una delle società del gruppo. Nei giorni scorsi, in esecuzione di un provvedimento emesso dall’Autorità Giudiziaria, si sono concluse le operazioni di sequestro dell’ultimo bene immobile che mancava all’appello: una villetta con garage in una località di pregio della costiera ligure. Peraltro, il proprietario dell’immobile aveva fino all’ultimo tentato di ostacolare il corso della giustizia fingendone la donazione a un parente al fine di sottrarlo al sequestro.
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