Hanno partecipato a questa avventura diversi musicisti di grande livello, primo fra tutti Phil Mer
Un disco elegante, raffinato in cui i testi intimi e diretti si uniscono alla cura degli arrangiamenti e del suono. Si presenta così Canzoni in Verticale, disco d’esordio del pianista, autore e cantautore Andrea Pavoni (edito da Filibusta Records) che, dopo una lunga militanza in ambito rock progressive, ha cominciato questa nuova avventura nel ruolo di pianista, compositore e “direttore d’orchestra”. Da qui la decisione di scegliere diversi cantanti (eccezion fatta per il brano Stella Stellina cantato dall’autore) che potessero rendere al meglio l’estetica dei brani con una timbrica diversa, adatta a differenti stili. E’ un lavoro, pertanto, che parte da un cantautorato colto, in cui confluiscono diverse anime e diversi mondi sonori come il latin, il pop e il jazz. I testi sono senza dubbio il punto di partenza e rappresentano un vero e proprio diario estemporaneo, una serie di istantanee nate da momenti di vita vissuta, sensazioni o rapporti umani. Il titolo, inoltre, Canzoni in Verticale, sintetizza al meglio l’estetica di un lavoro curato nei minimi dettagli, l’uno sull’altro.
Gli arrangiamenti, ad esempio, vengono scritti proprio “in verticale” partendo da una base per poi aggiungere tutte le altre “voci”: questo è uno dei concetti che esprime al meglio il modo in cui è stato scritto, ideato e prodotto questo disco. Tra i brani principali che ne sintetizzano al meglio la poetica citiamo: Un Ritratto, che rappresenta un tentativo di applicare alla musica i procedimenti tipici della pittura, descrivendo una persona attraverso una canzone, con musica e parole; oppure Sabato sera, brano ironico di ispirazione latin. L’album contiene ben 17 tracce, ognuna espressione di un piccolo mondo a sé stante, spesso descrizione di un evento minimo, eppure prezioso, trattato con cura e nei dettagli.
Andrea Pavoni ci ha gentilmente concesso un’intervista.
“Canzoni in Verticale” disco d’esordio, di che cosa si tratta?
Innanzitutto parliamo di un lavoro durato svariati anni. Nel 2017 si è conclusa l’avventura con i Greenwall e avevo tantissimo materiale che non mi sentivo di trascurare. Controllando i vecchi file ho verificato che nel 2014 ci stavo già lavorando. Per un autore le cose stanno così, o tiene le sue idee nel cassetto, magari per sempre, o aspetta di creare le condizioni per renderle visibili e realizzarle al meglio delle proprie possibilità. Io ho scelto la seconda strada.
Cosa vuoi trasmettere con questo lavoro?
Fondamentalmente l’importanza delle piccole cose. La nostra vita in sostanza è nulla, ma in questo nulla le nostre emozioni, sensazioni, i nostri ricordi sono importanti, perché in fondo questo è quello che abbiamo, questo è quello che è univocamente nostro, e con difficoltà può essere targettizzato, indicizzato, monetizzato. E’ nostro, conosciuto solo a noi. E poi voglio trasmettere il fatto che se si ha un progetto, con calma e determinazione si può realizzare. Bisogna fare un percorso per concretizzarlo, ma si può. Forse ognuno di noi deve.
Che tipo di accoglienza ti aspetti?
Mi aspetto di essere chiamato a Sanremo, il Grammy, e la copertina di Vanity Fair. In alternativa o magari in aggiunta (ride). Mi aspetto/spero che qualcuno trovi conforto nella mia musica e nelle mie parole, spero di “fare compagnia”, di stare accanto a qualcun “altro” che apprezzi il mio percorso, un altro che sia diverso da me ma che in qualche modo senta il mio percorso anche come suo.
Come ti sei avvicinato al mondo della musica?
La musica è sempre stata parte di me. So di aver iniziato a creare piccoli motivetti intorno ai 9 anni. Non mi sono avvicinato a niente, direi piuttosto che non mi sono mai allontanato, anzi, dovevo restare ancora più vicino!