Musica

Carlo Audino, esce il nuovo singolo “Autostop”: l’intervista

“Un’auto che fila veloce, un autostop, una bella ragazza a bordo, un gatto che fugge, una festa e un TIR. Ma tutto questo sarà reale oppure no?”

Ci sono momenti nella vita in cui ci si rende conto di quanto essa sia preziosa e unica e solitamente questo avviene quando si lotta per non morire. Carlo Audino ha vissuto quest’esperienza nel novembre 2012 a causa di un incidente motociclistico. Sveglio dal coma e sotto morfina, la sua mente volava. Periodicamente, tra le varie fantasticherìe, appariva un angelo vestito di verde che si prendeva cura dell’autore e non gli faceva provare dolore. “Autostop” prende forma proprio da queste fantasie, come il dare un passaggio a una bella ragazza che lo chiede o l’incidente con il TIR. Sono mere illusioni dello stesso ragazzo che, steso sul letto con fili, drenaggi, cateteri e flebo di ogni tipo, sogna di attendere la sua fantastica fidanzata sotto casa per andare a ballare e sfoggiare il vestito più bello. Le foto della copertina sono originali e ritraggono Carlo Audino con lo spumante nella notte di capodanno 2013 ed al compimento dei suoi primi passi con il deambulatore qualche mese dopo.

Carlo Audino ci ha gentilmente concesso un’intervista.

“Autostop” è il tuo nuovo singolo, di che cosa si tratta?

Nel 2012 ho subìto un gravissimo incidente stradale con la mia moto e questo mi portò ad un coma ed una successiva degenza di quasi un anno. Ricordo che i primi mesi ero imbottito di antidolorifici ed in particolare, nonostante fossi assolutamente immobile sul letto, con la mia mente avevo una vita attivissima che mi vedeva uscire dall’ospedale e gironzolare per la città. In particolare ricordo che un giorno diedi un passaggio ad una bellissima ragazza. Io quel giorno ero un centauro, solo che anzichè metà uomo e metà cavallo ero metà uomo e metà moto (di quelle a tre ruote Americane). Non appena la ragazza salì mi ritrovai alla guida di una potente auto con lei al mio fianco e l’alba davanti agli occhi. Nel sogno mi ritrovai a sognare un incidente. Poi, come in ogni sogno, anche se io lo vivevo e lo ricordo ancora come esperienza vissuta realmente, mi ritrovai in una situazione totalmente diversa e in un’epoca differente: ero sotto casa della misteriosa e bella autostoppista che ormai, innamorati persi, faceva coppia con me. Proprio mentre la attendevo sotto casa per recarci ad un party, queste fantasie si diradarono poichè attorno al mio corpo, nella realtà, una infermiera in camice verde mi stava curando le ferite e rinnovando le varie flebo. Poi ricominciò il viaggio della mia mente, ma questo è contenuto in altre canzoni.

Cosa vuoi trasmettere con questo brano?

Questo brano vuole trasmettere un appello: anche la persona più inanimata su un letto molto probabilmente sta vivendo attivamente a livello cerebrale. Nelle sue immaginazioni, subentrano elementi del mondo reale circostante, come quando mio figlio di undici anni mi sussurrò che mi voleva bene ed io, che in quel momento ero appeso ad un elicottero dentro ad un pneumatico, mi svegliai dal coma e vidi lui che, piangendo, si rivolse alla madre e le disse “Mamma, mamma, guarda: papà si è svegliato!”. E a me: “Coraggio papà, non è successo nulla, coraggio!”. Questo per dire che le cose che diciamo ad una persona in coma o apparentemente inanimata su un letto, probabilmente vengono recepite ed interpretate. La canzone ha un ritmo serrato che in maniera onomatopeica ricorda il ritmo del respiro di colui che corre ovvero del ritmo cardiaco. Il suo testo è creato quasi a voler ingannare l’ascoltatore distratto che, a fine canzone, ha solo percepito la sensazione di felicità di questo uomo che si è fidanzato con una ragazza conosciuta per averle dato un passaggio. Compaiono qua e la tinte molto colorite come il giallo del sole che sorge ed il verde del vestito per la festa. Il ritmo ossessivo non molla mai ed allo scandire del tempo si ritrovano tutti i soggetti: l’auto che corre, il vento che incalza l’asfalto, l’amore che nasce, il sole che cresce, i baci sulla fronte, il dischiudersi di occhi, i cerchi concentrici nell’acqua, il gatto che fugge ed il TIR che divora la strada. Nella strofa finale lo stesso ritmo sembra trasfigurarsi nel suono dell’hi-fi dell’auto per strada che attende la ragazza. E così il ritmo rispecchia i battiti del cuore di lui felice, poi i passi veloci di lei e, all’impatto con la morfina, il ritmo diviene quello dell’inizio del brano. Anche il coro finale rispecchia il frasume sbiascicato del dolorante che farnetica sotto i primi effetti della morfina: chi sei? Bellissima, aho! Mi fai sentire…un an…ge…lo.

C’è anche un video, come si caratterizza?

Avevo inizialmente pensato di rappresentare nel video gli elementi che caratterizzano la vita. Avevo già preso accordi con un infermiere per fare riprese in un ospedale da inserire sul finale, ma i troppi contrattempi hanno cambiato le mie scelte. Così in un tardo pomeriggio ho bloccato mia sorella Alessandra per farle fare le riprese prima sul terrazzo con il foulard, poi con i nostri gatti e infine nel guardaroba, avendo già acquistato una divisa da infermiere “nella peggiore delle ipotesi”. Nei giorni precedenti avevo anche provato a radunare la band per fare qualche ripresa tutti insieme ma anche in questo caso erano tutti indisponibili al momento poichè impegnati in altri progetti. Da qui l’idea di realizzare le riprese di me stesso alla batteria, al basso, alle tastiere e, ovviamente, alla chitarra e canto. Aiutato dalla mia Co-co-co art-director Sabrina Seaside ho stravolto il copione iniziale del videoclip ed ho finito il montaggio e rendering in modo fluido e soddisfacente.

Come ti sei avvicinato al mondo della musica?

Nella mia famiglia si è sempre fatta molta musica: ricordo che ogni compleanno o festa comandata era la perfetta occasione per stare tutti insieme a mangiare, giocare e cantare! Mio zio suonava la fisarmonica e mio padre la chitarra. Era quindi inevitabile che noi, figli e nipotame vario, venissimo contaggiati dalla vena artistica. Nel 1979, ragazzo quindicenne, decisi di imbracciare la chitarra di mio padre che era appesa per la cinghia su due chiodi in sala da pranzo e, grazie ai primi rudimenti forniti proprio dal mio “boss”, ho cominciato a suonarla e si è così aperta un’autostrada di possibilità ed occasioni che mi hanno aiutato sia nell’adolescenza da timido che nella vita successiva fino ad arrivare ai giorni nostri. In particolare dall’oratorio negli anni ’80 sono nate due band ed io ero il chitarrista-cantante in entrambe. Mentre con una abbiamo fatto molta strada a livello locale, l’altra ha avuto problemi legati alla droga (negli anni 80 molto diffusa) e così ho perso due elementi per overdose e un terzo si è successivamente disintossicato. Io non ci sono cascato (per pura fortuna) ed ho proseguito il mio percorso artistico, oltre che di vita. La prima esibizione con un mio brano è stata proprio in occasione della “festa del donatore di sangue” dove presentai per la prima volta il brano “L’uomo del sangue”. Sempre in quel periodo feci un provino alla RCA con “Lady Laura”. Qualche anno più tardi partecipai ad una marea di concorsi tra cui Castrocaro (arrivai purtroppo afono alle semifinali!), l’Accademia della canzone di Sanremo (insieme allo sconosciuto Tiziano Ferro venimmo scartati alle semifinali per due anni consecutivi) e altri festivals (uno vinto con “Mago Merlino” e altri arrivando spesso in finale). Nel frattempo mi sono sposato, ho avuto un figlio, poi divorziato ed ho costantemente scritto canzoni che eseguivano una istantanea della mia vita in quel momento. Ho sempre continuato a suonare pianobar sia da solo che con la band del momento. Nel 2012 per l’incidente motociclistico ho dovuto reinventarmi come chitarrista, essendomi trasferito nel frattempo in Regno Unito (nel Kent). Li ho suonato in locali di Londra e della periferia a sud e infine, nel 2020, sono rientrato in Italia a causa della pandemìa. Da Febbraio di quest’anno ho deciso di pubblicare tutti i miei brani, sia vecchi che nuovi, arrangiandoli presso LR Studio di Lariano (RM) insieme al mio amico di vecchia data Riccardo Taddei (piano, tastiere e fisa) e col resto della mia nuova band, Simone Ceracchi (basso) e Luca Fareri (batteria).

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Pubblicato da
Francesco Rapino

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