Nel suo libro lo scrittore e giornalista Carlo Piano ha ricostruito nei dettagli la vita del serial killer più efferato del Novecento
GENOVA – Tra le pagine di cronaca nera più cruente degli ultimi cinquant’anni figura quella di Donato Bilancia, serial killer crudele e impietoso. Tra il 1997 e il 1998 ammazzò in soli sei mesi diciassette persone tra la Liguria e il Basso Piemonte. Nove uomini e otto donne. Biscazzieri, gioiellieri, metronotte, cambiavalute, prostitute. Con motivazioni e modus operandi diversi. Ma con un solo chiaro e preciso scopo: uccidere. Il 6 maggio 1998 venne arrestato a Genova e, successivamente, condannato a tredici ergastoli. Morì di Covid, in carcere, nel dicembre del 2020, dopo aver rifiutato le cure. A Donato Bilancia, o Walter come si faceva chiamare da tutti, il giornalista e scrittore genovese Carlo Piano ha dedicato un libro, “Il torto – Diciassette gradini verso l’Inferno”, pubblicato da edizioni e/o nella Collana Dal Mondo e disponibile online e nelle librerie. Noi de L’Opinionista lo abbiamo intervistato. Ecco cosa ci ha detto.
Chi era Donato Bilancia?
“Un personaggio contraddittorio. Un uomo che fino all’età di quarantasei anni era stato un ladro gentiluomo -si definiva l’Arsenio Lupin della Val Bisagno- ma senza aver mai usato la forza e che di colpo si trasformò in uno degli assassini più efferati della storia del Novecento. Lesto nel guadagnare e altrettanto abile nello sperperare. Maniacale nel rimborsare il debito di gioco, per difendere la propria reputazione, ma capace di commettere le azioni più spietate. Galante con le donne ma pronto un attimo dopo a denigrarle”.
Perché Donato Bilancia cominciò improvvisamente a uccidere?
“Donato Bilancia cominciò a uccidere per un torto. Nel corso della sua vita aveva subito tante frustrazioni ma ad un certo punto nella sua testa scattò qualcosa che scatenò il patatrac. D’altronde io penso che la distanza tra noi cosiddetti ‘normali’ e un carnefice sia molto più sottile di quanto pensiamo: é sufficiente imboccare un bivio sbagliato … basta che un neurone vada fuori orbita. Walter si manteneva giocando a carte. La prima volta uccise il tenutario della bisca dove pensava di essere stato derubato e truffato. Il suo errore era quello di cercare nell’ambiente delle bische clandestine il sentimento di amicizia, già difficile di per sé da trovare nella vita. Poi uccise l’altro tenutario della bisca e sua moglie. E continuò cambiando continuamente bersaglio”
Quali traumi giovanili hanno influito sulla psiche di Donato Bilancia, che comunque, fu ritenuto “capace di intendere e di volere”?
“L’infanzia di Donato Bilancia fu segnata da due traumi, dovuti entrambi a derisione. Il primo era legato a una sua menomazione dal punto di vista sessuale, l’altro a un disturbo. All’età di dieci anni era in vacanza con mamma e papà e con le tre cuginette, che lui chiamava ‘le tre scimmie’. Tutte le sere, prima di andare a letto, il padre, mentre lo aiutava a spogliarsi, ne metteva a nudo la menomazione. Le ‘tre scimmie’ ridevano e lui moriva di vergogna. Inoltre soffrì di enuresi fino all’età adolescenziale. La madre, anziché aiutarlo, esponeva il materasso bagnato ad asciugare sul ballatoio, dove tutti potevano vederlo, comprese due ragazze di cui era innamorato”.
Due episodi che, quindi, hanno sicuramente determinato il disprezzo di Donato Bilancia per le donne in generale, che poi culminò in quella per le prostitute. Come le uccideva?
“C’é un terzo fatto di non trascurabile importanza. Walter ebbe anche una fidanzata, di nome Valeria. Dopo che lei lo lasciò in seguito a uno dei suoi arresti per furto, si dedicò soltanto a rapporti che sfociavano nell’umiliazione della donna. Come le uccideva? Le faceva inginocchiare e poi sparava un colpo alla testa. Talvolta si lasciò andare anche a episodi di necrofilia”
L’avversione per le donne e la sua ossessione per i treni (venne definito anche il “mostro dei treni”) possono essere ricondotti anche a un altro episodio, che influì in modo importante nella vita di Walter….
“Nel 1987 suo fratello, con il braccio il figlioletto Michele, si era buttato sotto un treno alla stazione di Genova Pegli, scosso dalla fresca udienza di separazione, nel corso della quale l’ex moglie aveva chiesto l’affidamento del piccolo. Walter, che adorava quel bambino, finì per incolpare, erroneamente, dell’accaduto la cognata. E questo acuì ancor più l’odio che già nutriva nei confronti delle donne. Da quell’episodio nacque anche la sua ossessione per i treni, a bordo dei quali commise gli ultimi delitti. Con freddezza, ferocia. Aspettava che le sue vittime entrassero nel bagno, apriva la porta grazie al passepartout che era riuscito a procurarsi, e le uccideva senza pietà, senza nemmeno sapere chi fossero”.
Walter, però, aveva anche un lato tenero: l’amore per i bambini….
“Walter era innamorato di quel nipotino morto così precocemente e brutalmente. E quella perdita fece leva sulla sua parte più sensibile. A Sanremo si trovò sul punto di uccidere una prostituta ma la donna riuscì a salvarsi proprio per averlo mosso a compassione mostrandogli una foto di un bimbo, che asserì essere suo figlio, e scongiurandolo di non renderlo orfano così presto. Nel carcere di Opera, invece, tentò di sgozzare un pedofilo: non ci riuscì soltanto perché fu fermato in tempo da una guardia carceraria”.
Che ricordo ha dell’incontro con Donato Bilancia?
“Da capocronista della redazione genovese de “Il Giornale” avevo seguito tutti i delitti e le indagini. Poi ci fu l’arresto. Lo incontrai in carcere a Chiavari, alle “Case rosse”. Rimasi colpito dallo sguardo perso di quell’uomo, dai suoi occhi trasparenti, fissi sul Crocifisso alle mie spalle. Ricordo che mi chiese: ‘Ma cosa ci faccio io in mezzo a tutti questi delinquenti’. Non risposi nulla. Non lo rividi più. Ma quelle parole mi rimasero dentro”.
Cosa l’ha spinta a scrivere “Il torto”?
“Dopo l’incontro a Chiavari, tornai a Milano, ripresi il mio lavoro. Il tempo, si sa, cancella i ricordi. Quando ho saputo che Donato Bilancia era morto, poco prima del Natale del 2020, ho sentito dentro di me l’esigenza di riprendere in mano tutte le carte e di mettermi a scrivere un libro su di lui. Quasi dovessi liberarmi di un peso, Quasi dovessi esorcizzare Donato Bilancia. É stato un lavoro di ricerca minuziosa. Ho esaminato sessantacinque faldoni del procedimento, nel quale erano contenuti anche gli esami autoptici e ottanta fascicoli di intercettazioni telefoniche, tabulati e video. Sono tornato nei luoghi dove erano stati commessi i delitti, dove ancor oggi si respira un senso di morte. Ed é nato ‘Il torto'”.
Un’ultima domanda: se dovesse scegliere tre aggettivi per descrivere Donato Bilancia, quali sarebbero?
“Feroce, fragile e contraddittorio”.