Carnevale di Cento, la salama al sugo: tradizioni a tavola

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carnevale di cento“La vostra è la seconda domenica di febbraio” dice Matilde al telefono a Giovanna, la capogruppo dei reggiani. Per tradizione il gruppo va al carnevale di Cento ogni anno.

Corrado e matilde abitano in una grande casa antica su una delle vie da cui passa il corso mascherato. Tutte le domeniche di carnevale hanno ospiti, quindi meglio distribuire per tempo il calendario agli interessati. Questi si muovono per lo più in gruppo: gli alunni delle classi terminali del liceo, i cugini di Rovigo, i parenti di Mirabello, gli amici di Reggio. C’è sempre il pericolo che ai gruppi si aggiungano ospiti non previsti, graditissimi per carità, ma un problema in più: ci sono da sfamare, da intrattenere, da spiegargli i carri, da curare quando vengono colpiti da qualche lancio violento di caramelle da gettito, da procurargli il pallone o il peluche ricordo, da rimandare a casa con i vassoietti delle specialità avanzate al grande pranzo. Sì, perchè di questo si tratta in verità, di un’abbuffata omerica.

Qualche settimana prima dell’evento le linee telefoniche si fanno calde:

“Matilde ha detto che lei fa solo un primo, una pasta al forno. Tu cosa porti?” “Per carità, non facciamo come gli altri anni, mica andiamo là per mangiare. Io porto un salame, un pò di verdura”. I menù vengono messi insieme, disfatti e rifatti decine di volte, ma a pochi giorni dalla data fissata, le telefonate terminano con frasi sospese: “Vedrò” “Non so se ho tempo…” “Forse faccio un dolce…”

Ecco il gran giorno. Da varie parti della provincia di Reggio, partono le macchine dei convitati; il ritrovo è a Cento per l’ora di pranzo. Arrivano alle barriere dell’ingresso al centro città e cominciano i primi ostacoli. I più onesti hanno già parcheggiato e carichi di fagotti da cui si intuiscono teglie di torta, casseruole in coccio per costine di maiale, cesti di frutta, portabottiglie, piantine verdi, e altri misteri, si fermano alla barriera, pagano il biglietto d’entrata – salatissimo – e si dirigono a braccia larghe e passo titubante, perchè non vedono dove mettono i piedi, al portomne della casa delle delizie.

Scampanellata, abbaiata furiosa di Otello, il nero cane lupo del padrone di casa e finalmente entrano. Vengono subito investiti da un odore, un profumo di cucina. Si guardano col terrore negli occhi, qualcuno comincia a tossicchiare. Ogni dubbio viene subito fugato. “Eh eh, sono venuto giù a controllare la salama. É quasi pronta” dice Corrado con fare compiaciuto. “Siamo riusciti ad averne due, proprio belle, fatte come si deve”.

Non c’è scampo. Gli invitati salgono al piano superiore, attraversano due o tre saloni, ed eccoli finalmente nella fucina, pardon, nella cucina. Dietro la folla che si agita tra il frigo, il camino, i fornelli e la dispensa, si intravede la padrona di casa: saluta i nuovi arrivati e intanto rimesta la polenta sul fuoco, controlla il forno, gira le casseruole al caldo del fuoco del camino, taglia le torte salate degli antipasti, allunga una mano verso l’apriporta, porge l’orecchio al cornetta del telefono.

Si intrecciano i discorsi “Siete già arrivati!” “Sì, siamo venuti dentro con la macchina”. “Come avete fatto?” “Gli abbiamo fatto vedere i fagotti. Gli abbiamo detto che siamo venuti a pranzo dagli amici, non per veder il carnevale…”.

“Te l’avevo detto io, sei sempre il solito…”

Pentole, teglie e casseruole vengono sparse per la cucina, liberate da carta e teli: “Oh!” “Bello!” “Cos’è?” “Ei il dolce salato?” Le bocche si riempiono, i bicchieri si vuotano, e siamo solo all’antipasto.

É pronto in tavola!” L’esercito si trasferisce in sala da pranzo, 30 metri per 20, pavimento – ondulato – ricoperto da tappeto parete a parete, mobili antichi su misura, co uno solo oggi si arreda un intero appartamento di condominio. La tavola è lunghissima. La gente si siede a caso, o meglio ognuno sceglie la sedia, il seggio, il trono che più si adattano alle sue esigenze fisihe, ce n’è per tutti i gusti. E di gusti, inclinazioni, interessi, ce ne sono veramente tanti nel gruppo.

I discorsi si intrecciano, si sovrappongono. Chi non è svelto o si lascia distrarre dal piatto di portata che gira in quel momento, rischia di riportare a casa notizie “fantasiose” e di fare il giorno dopo con i colleghi la figura del salame.

Ed è qui che siamo arrivati, finalmente. Dopo pasta al forno, sformato di carciofi, costine di maiale con polenta, fegatelli in rete, vitello tonnato, insalata capricciosa tanto per pulire la bocca, l’aria si riempie di profumo, entrano due casseruole fumanti. I padroni di casa spiano, senza farsi scorgere, i visi dei commensali. I nuovi esprimono incertezza e aspettativa. Gli habitués hanno gli occhi spalancati e un sorriso a sessanta denti; intanto incrociano le dita sperando di potersela cavare con un finto assaggio. Chi non è già tramortito solo con il profumo allunga il piatto: “Ah, finalmente ecco la salama”.

La salama da sugo è una specialità di cui i ferraresi vanno – giustamente? – fieri. Risale agli Estensi. Piatto gustoso, abbondante, succulento, un piatto che è un pasto in sè. É un grosso bulbo di carne finissima di maiale macinata, condita con varie spezie e conciata con vino rosso, in questo caso il clinto, insaccata nella vescica e ingabbiata in tanti meridiani di robusto spago, tirato fin quasi a penetrare nella polpa.

Viene stagionata dai 6 ai 12 mesi, poi posta a bollire appesa ad una cordicella per evitare che tocchi sia il fondo che le pareti della pentola per 4-5 ore lentamente, facendo attenzione a non rompere la vescica. Una volta cotta e aperta in alto, la carne e gli umori sprigionati vengono raccolti a cucchiaiate e deposti con generosità su un letto di purea di patate. Già il clinto o fragolino ha un aroma del tutto particolare e le esalazioni che se ne sprigionano possono stendere anche buongustai tosti come i nostri amici reggiani.

Scende il silenzio sulla sala, si sentono solo sospiri, mugolii di apprezzamento, gorgogliare di deglutizioni rallentate. E all’improvviso la musica, gli altoparlanti, il vociare dalla via sottostante. “Arrivano i carri!” Lesti si alzano i più vicini alle finestre. Le spalancano, si sporgono. “Ah, una boccata d’aria”.

I centesi ci sanno fare con i carri, ma a volte sbagliano le misure. Un’enorme manona di cartapesta entra nella sala da pranzo, non riesce a districarsi. I padroni di casa si alzano, battibeccano con i conducenti del carro, con lunghe scope sollevano fili elettrici, cercano di allontanare il mascherone, smontato persiane, sbriciolano qualche falange e alla fine il carro riparte, non senza aver chiesto scusa con abbondante gettito di caramelle, scatole di cioccolatini, palloni e pupazzi. Tutti sono riusciti ad afferrare qualcosa.

La pausa e l’esercizio fisico hanno fatto bene ai nostri convitati che possono ripartire affrontando con maggiore disponibilità i formaggi, la frutta, la torta di amaretti, la crostata di crema, le frappe.

Adesso sono tutti pronti per il caffè e il digestivo, ma arriva Matilde costernata: “Avevo fatto il gelato alla crema!” “Magari a merenda…” sospira un coro a più voci.