ROMA – Chi organizza un ‘picchetto’ davanti alla scuola, impedendo a compagni e insegnanti di entrare per svolgere o seguire le lezioni, puo’ andare incontro a una condanna per violenza privata e interruzione di pubblico servizio.
Lo si evince da una sentenza con cui la quinta sezione penale della Cassazione, rigettando il ricorso di un giovane, all’epoca dei fatti non ancora maggiorenne, che era finito sotto processo per aver bloccato, assieme ad altri, le porte di un istituto scolastico di Mestre, impedendo l’entrata a chi non aderiva alla manifestazione in atto. Al ragazzo, giudicato con rito abbreviato, il gup del tribunale dei minorenni di Venezia aveva concesso il perdono giudiziale, ma la difesa aveva comunque proposto ricorso in Cassazione.
La Suprema Corte, con una sentenza depositata oggi, ha rilevato che “l’impedimento frapposto dal ricorrente ai compagni di scuola e al corpo docente, ad entrare nell’edificio scolastico, rappresenta un dippiu’ rispetto all’impedimento o al disturbo del normale svolgimento delle lezioni”.
I giudici del merito, sottolinea la Cassazione, “non hanno affatto negato al ricorrente la titolarita’ del ‘diritto di sciopero’ (diritto peraltro difficilmente riconducibile alle situazioni soggettifve ravvisabili in capo allo ‘studente’), di riunione o di manifestazione del pensiero”, ma hanno “chiaramente affermato in aderenza alla giurisprudenza di questa Corte, che lo stesso esercizio di diritti fondamentali, quali quello di sciopero, riunione e di manifestazione del pensiero, cessa di essere legittimo quando travalichi nella lesione di altri interessi costituzionalmente garantiti”.
Esattamente, continua la Corte, “come avvenuto nella specie, giacche’ l’occupazione temporanea della scuola (per circa 2 ore), ha di fatto impedito ai non manifestanti di svolgere le consuete attivita’ di studio per un tempo apprezzabile, con conseguente ingiustificata compressione dei loro diritti”. In sintesi, “nessuna norma autorizzava l’imputato ad associarsi con altri studenti nella maniera da lui pretesa e a comprimere il diritto di coloro che volevano partecipare allo svolgimento delle lezioni o a rendere la prestazione lavorativa”.