Ho conosciuto, in pratica, tutti i suoi vizi, la bontà, i capricci. Come lo definirei? Un viaggiatore immobile, involontario. Anche oggi, in questo secolo pieno di stanchezza, la sua vitalità, anche se Fellini non c’è più, sarebbe ancora utile, preziosa.
Bisogna trovare un modo diverso per festeggiarlo. Noi usiamo ancora metodi correttissimi ma abbastanza funerei ma penso che bisognerebbe compiere una grande esplorazione sull’opera felliniana, che mi sembra non sia stata capita a fondo.
Così come oggi, giustamente, c’è una grande rifioritura di studi sulla Divina Commedia anche un film ha bisogno di essere rivisto, presentato forse in un altro modo, con una solennità più consona, sotto una luce diversa…
Vorrei che si ripartisse da quel cerimoniale del cinema ormai scomparso. Vorrei addirittura che cambiassimo modo di vestire quando ci rechiamo in una sala dove proiettano “Otto e mezzo” o “E la nave va”. Vorrei che tornasse la voglia di capire fino in fondo, penetrare nel tessuto, trovare l’uomo Fellini dentro i suoi film, non separarli.
Forse, fra tutti i suoi titoli, quello dove maggiormente quella traccia si può cogliere è proprio “Amarcord”, film che possiede una forza poetica leggermente crepuscolare. Ma penso anche a “Roma”, a quella sequenza del viaggio in macchina sull’anello stradale che circonda la città.
Con questa umanità in movimento… è il mondo che non sa dove andare e che viaggia urtandosi. Però anche in questa cosa così carica di tramonto, c’è una grande vitalità che fa comodo in questo momento nostro di stanchezza che sento pervadere tutte le cose: nell’arte, nell’invenzione, negli ideali rotolati in terra…
C’erano tre o quattro film che “l’equipe” voleva fare e non si sono mai concretizzati. Fellini e C. parlarono molto, per un certo periodo del “progetto Castaneda”… E poi c’erano anche i sogni di Fellini. Erano tanti e diversi.
Federico Fellini credeva a questa forza, a questi suggerimenti notturni, e tutte le mattine c’era con “l’equipe” discorsi sulla luce o sull’oscurità che poteva provenire da questi segnali notturni e che potevano orientarlo verso alcune decisioni. É capitato che “l’equipe” si fermasse o lavorasse a volte con grande velocità (otto mattine per scrivere “Amarcord”, dieci giorni per “E la nave va”…). Fellini e i suoi fedeli parlavano tanto. Parlavano di donne, di viaggi non fatti, sempre però spezzate queste riflessioni da lunghi silenzi che il maestro riempiva con dei disegni rapidi per trovare attraverso loro l’insegnamento.
I suoi disegni erano illuminazioni verso un film che voleva fare, verso l’aspetto di un personaggio.
Il mio modesto invito, dunque, è trovare la strada che conduce veramente all’interno dei suoi film, perché così facendo si torna dentro di lui.
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