Chris Potter, un grande sassofonista jazz (ma non solo)

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MILANO – La ricerca di una sintesi tra esperienza e novità viene naturalmente condotta anche dai musicisti appartenenti alle generazioni più recenti. Un’esplorazione che si anima della possibilità di riprendere la lezione dei maestri – sia attraverso l’ascolto che attraverso strette collaborazioni – e dei tanti linguaggi della musica di oggi. Un’attitudine che vede in Chris Potter un esempio quasi scolastico. Il sassofonista infatti ha esordito come un vero e proprio prodigio in giovanissima età, ha suonato con i talenti più interessanti della sua generazione, ha poi condiviso il palco con musicisti come Dave Holland, Herbie Hancock e via dicendo. Ha portato così nella sua musica tradizioni e attualità, in un contesto espressivo in cui trovano posto naturalmente sonorità acustiche ed elettriche, sguardi alla letteratura più consolidata del jazz e aperture verso la fusion e la world music.

I suoi progetti più recenti testimoniano questo percorso in maniera evidente: “There is a tide” è un lavoro per big band realizzato in realtà da solo, in studio, durante il lockdown; “Got the keys to the Kingdom” è un quartetto all star che rilegge brani tradizionali del blues e del gospel e brani di Parker, Strayhorn e Jobim con il più classico dei quartetti in uno dei luoghi più iconici del jazz, il Village Vanguard di New York; Circuits, trio tutto da scoprire, rappresenta la pulsione più aperta verso l’improvvisazione, con una formazione senza basso, con le tastiere di James Francies a colorare di suoni e intuizioni le armonie e la forza e l’esperienza di Eric Harland a gestire la dimensione ritmica, con i sassofoni di Chris Potter a tessere una tela melodica che prende spunto dalla storia del jazz per proiettarla ancora una volta nel presente e, poi, verso il futuro.