Stephen Foster ha composto “Hard times, hard times, come again no more”, Charles Dickens ha intitolato il suo decimo romanzo “Hard Times” e il pittore Hubert von Herkomer ha intitolato “Hard Times” un proprio celebre quadro. Capita a tutti di attraversare momenti complicati. Dagli artisti, che trasformano il proprio malessere in opere, agli sportivi, che esprimono le proprie difficoltà durante le competizioni agonistiche.
Nel corso degli ultimi anni sempre più atleti, per superare l’impasse, scelgono di affidare la propria “rinascita” a un coach. Professionisti che, seguendo costantemente l’atleta e interrogandolo sul proprio stato, capiscono cosa lo blocca, spronandolo a dare il meglio di sé attraverso tecniche specifiche. Una tendenza che parte da lontano: come riportato dal New York Times, la United States Tennis Association, per riportare in auge il tennis negli USA ha affiancato un esperto di coaching alle giovani promesse.
Allo stesso modo il Washington Post ha raccontato la storia di campioni olimpici come Kayla Harrison, oro nel judo a Londra 2012 e Rio 2016, che ha lavorato costantemente sulla propria mente collaborando con un coach. Anche la tennista britannica Tara Moore, come riportato da Eurosport UK, ha elogiato il lavoro del suo esperto di coaching dopo un’importante vittoria. Ma non è tutto, anche campioni come Mattia De Sciglio, Patrik Shick, Sofia Goggia, Federica Pellegrini, fino ad arrivare ai più celebri sportivi a livello mondiale come Roger Federer e Tom Brady, fino ai giocatori degli eSports, hanno fatto ricorso al coaching per superare in maniera brillante le avversità. Un’efficacia confermata anche da studi scientifici pubblicati sulle più autorevoli testate.
È quanto emerge da uno studio condotto da Espresso Communication su oltre 60 testate internazionali in occasione della Giornata Mondiale dello Sport che si celebrerà sabato 6 aprile, per comprendere la vastità del fenomeno e capire le ragioni che spingono gli atleti di tutto il mondo ad affidare il destino della propria carriera a questa figura professionale che sta diventando sempre più popolare tra gli sportivi.
“Sempre più sportivi si affidano ai coach per superare il proprio momento negativo – spiega Marina Osnaghi, prima Master Certified Coach in Italia, che ha affiancato grandi imprenditori e sportivi professionisti nel raggiungimento dei propri obbiettivi – Esistono particolari stati emotivi che permettono di restare in contatto con le proprie capacità e sopportare grandi pressioni. Sono soprattutto i giovani campioni a subire queste difficoltà, derivanti dalle aspettative della famiglia e del proprio allenatore. Giornali, tifosi, fallimenti, competitività: è facile per gli sportivi cadere in un momento di sconforto. Ed è proprio il lavoro dei coach che permette di ritrovare equilibrio e consapevolezza, riuscendo a veicolare le energie a proprio favore. Nel fallimento, noi coach riusciamo a trasformare in elementi di vantaggio tutti gli eventi nella vita dell’atleta. Il ‘nemico interno’, come lo chiamiamo noi, può venire sconfitto anche con semplici esercizi: ad esempio “L’Esercizio del Benvenuto” aiuta molto, dando ogni giorno il benvenuto a se stessi, alle cose che accadranno e a coloro con cui avremo a che fare, cambia lo stato emotivo. Un altro semplice esercizio consiste nel posizionare le mani in particolari zone del cranio, un’azione che permette di scaldare la neocorteccia, aumentando il flusso sanguigno nell’area, permettendo di prendere decisioni migliori e più ponderate. L’ossessione della vittoria ci trasforma in un ruolo, non siamo più atleti. In questo ambito chi perde si convince che sarà destinato a fallire per sempre: la profezia auto-avverante esiste davvero”.
L’efficacia di questi esercizi, basati anche su domande poste a se stessi per focalizzare gli obbiettivi nella propria immaginazione, è stata comprovata anche dagli scienziati. Su Washingtonpost.com è stato pubblicato un esperimento di Guang Yue, fisiologo dell’esercizio presso la Cleveland Clinic Foundation, in cui ha chiesto a dei volontari di immaginare di flettere i bicipiti il più intensamente possibile. Dopo alcune settimane di sola visualizzazione dell’allenamento, i soggetti hanno mostrato un aumento del 13,5% della forza. In un altro studio, questa volta condotto dall’Università di Chicago, è stato richiesto ai partecipanti di immaginare di effettuare tiri liberi per un mese. I tester hanno migliorato il loro tiro del 23%. Infine, uno studio francese ha scoperto che gli atleti del salto in lungo che immaginavano i loro salti hanno ottenuto performance migliori del 45%.
Ma non è tutto. Il tabloid britannico The Guardian è andato più a fondo sul tema, citando una ricerca dell’Università di Monaco che ha rivelato come siano gli atleti degli sport individuali ad aver maggior bisogno di superare le proprie difficoltà emotive legate alle prestazioni. Il prof. Jürgen Beckmann ha affermato infatti che gli atleti individuali attribuiscono più spesso il fallimento a se stessi rispetto ai colleghi che praticano sport di squadra, dato che in una squadra c’è una distribuzione diffusa della responsabilità rispetto alle prestazioni di un atleta individuale.
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