Osservare, analizzare, provare a comprendere le complessità del mondo e della società contemporanei declinandoli secondo la propria esperienza personale e la propria sensibilità è il percorso principale della ricerca artistica di Elena Di Felice, protagonista sulla scena pittorica italiana fin dalla seconda metà del Novecento, attraverso il quale ha elaborato delle linee guida che si sono alternate e poi reiterate nel corso degli anni come se il suo stesso impulso creativo le impedisse di rinunciare alle idee di base del suo linguaggio. La produzione attuale è dunque una somma delle precedenti divagazioni esplorative, in qualche modo costituisce una sintesi e al contempo un nuovo inizio perché di serie in serie l’artista sembra evolvere aggiungendo elementi del corpo creativo precedente in un continuum compositivo che arricchisce costantemente il suo stile, il quale si lega sia alla vivacità cromatica e figurativa della Pop Art sia a quella sottile linea Concettuale che emerge solo dopo un’attenta osservazione delle sue opere.
Nel momento in cui la Pop Art irruppe nella scena artistica mondiale, l’innovazione che portò con sé fu un vero e proprio punto di svolta perché per la prima volta nella storia dell’arte il pubblico a cui gli autori si rivolgevano non era più quello elitario costituito da nobili ed esponenti dell’alta società, bensì a quella nuova borghesia che forse non aveva la formazione culturale per comprendere il tipo di arte più intellettuale che aveva dominato la scena nei primi decenni del Ventesimo secolo, ma cominciava ad avere le possibilità e economiche e l’ambizione per avere in casa un dipinto o una scultura originali. Fu così che Andy Warhol, pioniere del movimento che poi si allargò anche a tutto il territorio europeo, decise di creare un linguaggio espressivo che quel pubblico potesse comprendere, trasformando la quotidianità e le abitudini sociali, come la televisione e il cinema, in contesto a cui attingere per trovare i suoi protagonisti; non solo le icone cinematografiche di Warhol, ma anche i fumetti di Lichtenstein, gli omini stilizzati di Keith Haring, tutte le sfaccettature di quello stile tendevano verso il popolo che poteva così appassionarsi all’arte. In Europa l’approccio alla Pop Art fu diverso e assunse fin da subito un’accezione più concettuale mettendo in luce da un lato le potenzialità e il benessere della nuova classe media e dall’altro il consumismo sfrenato simbolo di uno status quo che distraeva le persone dalla vera essenza della vita; l’inglese Richard Hamilton compì una sagace quanto dissacratoria analisi della società dell’epoca con le sue tele dove ruolo di primo piano ebbe la tecnica del collage, attraverso cui sovrapponeva e inseriva nella medesima opera i simboli e i marchi in voga del momento. Oltremanica, in Francia e in Italia, il Nouveau Réalisme, considerata la risposta del vecchio continente alla Pop Art statunitense e inglese, approfondì le tematiche concettuali del consumismo, degli oggetti di uso comune precocemente gettati, sviluppando una filosofia del riutilizzo scomposto, rotto, strappato, e poi ricomposto con altre forme divenendo così arte. L’approccio più materico di questa filosofia ebbe una delle maggiori rappresentanti in Niki de Saint Phalle, mentre quello più legato al collage, che prese il nome di affichisme, ebbe come autore principale l’italiano Mimmo Rotella che strappava i manifesti pubblicitari per poi ricomporli sulla tela, utilizzando così un linguaggio popolare e immediatamente riconoscibile per introdurre il concetto del riciclo e denunciando al contempo l’eccessiva velocità di disuso di tutto ciò che apparteneva alla vita e alla società. Elena Di Felice fa sue le linee guida degli affichistes ma in qualche modo si collega, dal punto di vista concettuale, al Nouveau Réalisme di Niki de Saint Phalle perché la frammentazione che compie sui ritagli di giornale, sui quaderni e su tutto il materiale cartaceo che per gamma cromatica o per messaggio attrae la sua attenzione, viene di fatto minimizzata, essenzializzata, quasi miniaturizzata per poi ricomporsi attraverso il meticoloso e accurato lavoro dell’artista manifestandosi con un aspetto Pop per dar vita a un’immagine accattivante che però nasconde molto altro.
In lei dunque il lavoro di sottrazione necessario a spogliare l’opera di tutto ciò che poteva essere considerato superfluo, in opposizione dunque all’apparire spasmodico verso cui andava la società, e che ha contraddistinto molti artisti del Novecento tra cui Emilio Isgrò, che con le sue parole cancellate mise in evidenza la vacuità del linguaggio e la necessità di giungere all’essenza, diventa ricostruzione scomposta, una manifestazione di un suo particolare linguaggio segnico ed essenziale che sembra uscire timidamente dalle tonalità vivaci che contraddistinguono le sue opere; Elena Di Felice, contrariamente a Isgrò, non cancella le parole piuttosto le destruttura riducendole a lettere che possono essere unite, assemblate secondo il punto di osservazione del singolo, o rimanendo semplicemente dei simboli che vanno a completare la co-presenza di altri simboli appartenenti alla sua iconografia, i fiori, le spighe, le libellule, il sole, quella natura che tanto fondamentale e presente è stata nel periodo della sua infanzia e che le ha insegnato il valore della semplicità.
Ed è proprio dal contatto indissolubile con quegli elementi e la vita modesta che ha vissuto da bambina, che ha potuto comprendere meglio la solidità dei valori più profondi e importanti e aprire maggiormente il suo cuore, altro simbolo fortemente presente nelle sue opere, alla gioia pura che dalle piccole cose si sviluppa. Ecco dunque che la sua ricerca dell’essenzialità assume una valenza personale, la stilizzazione delle piccole figure, quasi vicine alla pittura rupestre dell’età preistorica e dunque precedente all’uso della parola, diviene necessità di ricollegarsi ai momenti spontanei e privi di fronzoli che ha vissuto e che l’hanno arricchita; le sue opere sono pertanto un percorso verso le origini, verso un mondo piacevole malgrado tutto e un’esortazione all’osservatore a immergersi e lasciarsi avvolgere da quella dimensione idilliaca manifestata attraverso le tonalità vitali e accattivanti del giallo, del verde, del rosso, del rosa e dell’azzurro.
Questi i colori dominanti su cui poi se ne sovrappongono altri, che però un attimo dopo non può fare a meno di indurre la riflessione sul suggerimento più velato che si cela oltre la gamma cromatica. Le lettere e i simboli sembrano fare capolino timidamente, come fossero il sottostrato naturale a tutto ciò che è immagine, a tutto ciò che è apparenza e che molto più spesso di quanto si immagini possiede anche una sostanza che va cercata, inseguita, a volte fatta a pezzi e destrutturata per comprenderne tutte le sfaccettature.
Ecco, Elena Di Felice destruttura, analizza, comprende, ascolta la sua ispirazione e poi comincia a ricomporre tutto secondo l’impulso narrativo ma anche secondo il messaggio che desidera lasciare all’osservatore e che spesso è sviscerato attraverso serie pittoriche, o forse sarebbe meglio dire artistiche perché nel suo caso non si può parlare di semplice pittura, in virtù delle quali osserva tutti gli aspetti, tutte le sfaccettature del tema che le interessa prendere in esame di volta in volta. In qualche modo il gesto artistico comincia a livello istintivo con la frammentazione del materiale cartaceo che trova, poi passa attraverso la connessione con il subconscio per cui necessita una meditazione sul senso profondo del tema della sua manifestazione creativa, e infine diviene razionale nella fase della realizzazione finale perché la meticolosità di delimitare lo spazio, di sovrapporre lettere e strati colorati ha bisogno di attenzione e di piena consapevolezza dell’emozione e della sensazione, o semplicemente del messaggio, che oltre la forma esterna si va a nascondere.
Le opere della più recente serie artistica profumano di fiori, di semplicità, di memoria di un tempo lontano e spensierato malgrado le difficoltà affrontate, e mostrano una presenza prevalente della spiga perché considerata da Elena Di Felice una fonte di vita, il sostentamento principale dove spesso non si possiede altro, e dunque punto fermo grazie al quale poter apprezzare tutto il resto; in qualche modo il suo è un invito a riconsiderare i parametri della società contemporanea, orientata a inseguire obiettivi materiali, superficiali, incentrati sulla forma piuttosto che sull’essenza, a causa dei quali si perde di vista l’importanza di ciò che invece ha costituito la vita fino a qualche decennio fa e che aveva reso le persone migliori, in grado di evolvere e di creare un mondo dove il benessere crescente ha provocato un’inspiegabile involuzione.
La presenza e il contatto con la natura sono così un modo per ritrovare quell’armonia perduta, quella sostanza fondamentale a generare un universo piacevole dentro cui ritrovare se stessi perdendosi dentro i colori pop delle sue composizioni espressive. Nel corso della sua lunga carriera Elena Di Felice ha partecipato a mostre collettive presso i più importanti spazi istituzionali e museali italiani – Palazzo Collicola di Spoleto, Palazzo Fruscione di Salerno, Chiostro dei Frari di Venezia, Ex Museo Civico di Spoleto, Museo Crocetti di Roma, Museo MACA di Acri, Centro Islamico della Grande Moschea di Roma, Reggia di Monza – e ha al suo attivo trenta mostre personali in Italia.
ELENA DI FELICE-CONTATTI
Email: eledifelice@libero.it
Sito web: www.elenadifelice.it/
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Instagram: www.instagram.com/elena.difelice/
Elena di Felice’s collage, when subtraction is reworked to let the concept emerge from a Pop appearance
Observing, analysing, trying to understand the complexities of the contemporary world and society by declining them according to her own personal experience and sensibility is the main path of the artistic research of Elena Di Felice, a protagonist on the Italian painting scene since the second half of the 20th century, through which she has elaborated guidelines that have alternated and then reiterated over the years as if her own creative impulse prevented her from renouncing the basic ideas of her language. The current production is thus a sum of the previous exploratory digressions, in some way constituting a synthesis and at the same time a new beginning because from series to series the artist seems to evolve by adding elements of the previous creative body in a compositional continuum that constantly enriches her style, which is linked both to the chromatic and figurative vivacity of Pop Art and to that subtle Conceptual line that only emerges after careful observation of her artworks.
When Pop Art burst onto the world art scene, the innovation it brought with it was a real turning point because for the first time in the history of art, the audience the artists were addressing was no longer the elitist one made up of aristocrats and members of high society, but rather to that new middle class that may not have had the cultural training to understand the more intellectual type of art that had dominated the scene in the first decades of the 20th century, but was beginning to have the financial possibilities and ambition to get an original painting or sculpture in their home. So it was that Andy Warhol, a pioneer of the movement that later spread to the whole of Europe, decided to create an expressive language that that public could understand, turning everyday life and social habits, such as television and the cinema, into a context to draw on to find its protagonists; not only Warhol‘s film icons, but also Lichtenstein‘s comic strips, Keith Haring‘s stylised little men, all the facets of that style tended towards the people who could thus become passionate about art.
In Europe, the approach to Pop Art was different and immediately took on a more conceptual meaning, highlighting on the one hand the potential and wealth of the new middle class and on the other the unbridled consumerism, symbol of a status quo that distracted people from the true essence of life; the Englishman Richard Hamilton made a shrewd as well as desecrating analysis of the society of the time with his canvases in which the technique of collage played a leading role, through which he superimposed and inserted the symbols and trademarks in vogue at the time in the same artwork. Across the Channel, in France and Italy, Nouveau Réalisme, considered the old continent’s answer to American and British Pop Art, delved into the conceptual themes of consumerism, of prematurely discarded everyday objects, developing a philosophy of reuse decomposed, broken, torn up, and then reassembled with other forms, thus becoming art. The more material approach of this philosophy had one of its major representatives in Niki de Saint Phalle, while the one more related to collage, which took the name of affichisme, had as its main author the Italian Mimmo Rotella, who tore up advertising posters and then reassembled them on canvas, thus using a popular and immediately recognisable language to introduce the concept of recycling and at the same time denouncing the excessive speed at which everything belonging to life and society was disused. Elena Di Felice makes the guidelines of the affichistes her own but somehow connects herself, from a conceptual point of view, to Niki de Saint Phalle‘s Nouveau Réalisme because the fragmentation she carries out on newspaper cuttings, notebooks and all the paper material that attracts her attention due to its chromatic range or message, is in fact minimised, essentialised, almost miniaturised and then recomposed through the artist’s meticulous and painstaking work, manifesting itself with a Pop appearance to give life to a captivating image that however conceals much more.
In her therefore, the work of subtraction necessary to strip the artwork of everything that could be considered superfluous, in opposition to the spasmodic appearance towards which society was moving, and which characterised many 20th-century artists, including Emilio Isgrò, who with his erased words highlighted the emptiness of language and the need to reach the essence, becomes a decomposed reconstruction, a manifestation of her particular sign language and essentiality that seems to timidly emerge from the bright colours that distinguish her artworks; Elena Di Felice, unlike Isgrò, does not erase words but rather deconstructs them, reducing them to letters that can be united, assembled according to the individual’s point of view, or simply remain symbols that complement the co-presence of other symbols belonging to her iconography, flowers, ears of corn, dragonflies, the sun, that nature that was so fundamental and present in her childhood and that taught her the value of simplicity. And it is precisely from the indissoluble contact with those elements and the modest life she lived as a child that she was able to better understand the solidity of the deepest and most important values and to open her heart, another symbol strongly present in her works, to the pure joy that develops from small things. Hence her search for essentiality takes on a personal significance, the stylisation of the small figures, almost close to the cave painting of the prehistoric age and therefore preceding the use of words, becomes a need to reconnect with the spontaneous and unadulterated moments that she has experienced and that have enriched her; her artworks are therefore a journey back to her origins, to a pleasant world despite everything, and an exhortation to the observer to immerse himself and let himself be enveloped by that idyllic dimension manifested through the vital and captivating shades of yellow, green, red, pink and blue.
These are the dominant colours on which others are superimposed, but a moment later cannot help but prompt reflection on the more veiled suggestion that lurks beyond the chromatic range. Letters and symbols seem to peep out timidly, as if they were the natural underlay to all that is image, to all that is appearance and that much more often than one imagines also possesses a substance that must be sought out, pursued, sometimes torn to pieces and deconstructed to understand all its facets. Here, Elena Di Felice deconstructs, analyses, understands, listens to her inspiration and then begins to recompose everything according to the narrative impulse but also to the message that she wishes to leave to the observer and that is often dissected through pictorial series, or perhaps it would be better to say artistic series because in her case we cannot speak of simple painting, by virtue of which she observes all the aspects, all the facets of the theme that she is interested in examining from time to time. Somehow the artistic gesture begins on an instinctive level with the fragmentation of the paper material she finds, then passes through the connection with the subconscious so that it requires meditation on the profound meaning of the theme of her creative manifestation, and finally becomes rational at the stage of final realisation because the meticulousness of delimiting the space, of superimposing letters and coloured layers needs attention and full awareness of the emotion and sensation, or simply of the message, that goes beyond the external form.
The artworks of the most recent artistic series smell of flowers, of simplicity, of the memory of a distant and carefree time despite the difficulties faced, and show a prevalent presence of the ear of wheat because Elena Di Felice considers it a source of life, the main sustenance where often nothing else is possessed and therefore a fixed point thanks to which is possible to appreciate everything else; in some ways, hers is an invitation to reconsider the parameters of contemporary society, which is oriented towards the pursuit of material, superficial goals, centred on form rather than essence, and which lose sight of the importance of what constituted life until a few decades ago and which made people better, capable of evolving and creating a world where growing prosperity has caused an inexplicable involution. Presence and contact with nature are thus a way to rediscover that lost harmony, that fundamental substance to generate a pleasant universe within which to find oneself, losing within the pop colours of her expressive compositions. In the course of her long career, Elena Di Felice has taken part in group exhibitions at the most important Italian institutions and museums – Palazzo Collicola in Spoleto, Palazzo Fruscione in Salerno, Chiostro dei Frari in Venice, Ex Museo Civico in Spoleto, Crocetti Museum in Rome, MACA Museum in Acri, Islamic Centre of the Great Mosque in Rome, Reggia di Monza – and has thirty solo exhibitions in Italy to her credit.