Esistono alcuni creativi che sfuggono alle regole ormai consolidate dell’arte contemporanea, o forse sarebbe meglio dire che riunisco nella loro metodologia molteplici approcci, alcuni dei quali appartenenti al passato, e li uniscono, li mescolano facendoli divenire linee guida per dar voce alla loro indole pittorica attraverso la quale lasciano fuoriuscire le loro emozioni, le sensazioni che ricevono dall’osservazione del mondo intorno a sé. Nel momento in cui il contatto con la figurazione risulta irrinunciabile, emerge però la questione dell’interpretazione di ciò che viene visto, che molto spesso non riesce a essere sufficiente per l’esecutore dell’opera a mettere in evidenza tutte le sfaccettature che invece possono emergere con la lentezza di un momento più prolungato. Questo è il motore della ricerca artistica della protagonista di oggi che ricorre non solo a una metodologia esecutiva appartenente al passato, ma la mescola agli studi e alle sue esperienze come registra teatrale e operistica per dar vita alle scene che immagina e che ha bisogno di vedere davanti a sé per riuscire a raccontarle sotto forma di storie visive.
Intorno alla metà del Diciannovesimo secolo affiorò negli artisti la necessità di abbandonare la tradizione del ritratto per spingersi verso la riproduzione dei frammenti di realtà osservabili nelle strade, tra tutte quelle persone che non appartenevano al ceto più abbiente ma di cui stava cominciando a essere evidente la rilevanza dal punto di vista sociale, perché erano proprio loro in fondo, con il loro lavoro, a produrre la ricchezza per i proprietari terrieri e per i titolari delle fabbriche dove lavoravano. Ma anche i piccoli artigiani, i bambini nelle strade, le anziane intente a ricamare, tutto poteva divenire protagonista di un’opera di Gustave Courbet o di Giovanni Fattori, grandi esponenti del Realismo ma che per la caratteristica di immortalare scene di vita comune in cui l’essere umano nella sua inconsapevolezza era protagonista, vennero definiti anche pittori di genere. Con il sopraggiungere del Novecento e di tutte le avanguardie che distaccarono gli artisti dall’approccio tradizionale, il Realismo cominciò a perdere le sue connotazioni iniziali di pura e semplice osservazione ed emerse una maggiore attenzione all’individuo, al suo sentire, a tutto ciò che si nascondeva dietro un gesto, all’inspiegabile che inevitabilmente emergeva da atteggiamenti e sguardi apparentemente ordinari ma che in realtà celavano pensieri e sensazioni enigmatici e inconfessati. Fu intorno agli anni Trenta del Novecento che, parallelamente ai movimenti più estremisti come l’Espressionismo e il Surrealismo per i quali sottolineare i drammi e le sofferenze provocate dalla prima guerra mondiale era un imperativo imprescindibile, nacque uno stile definito Realismo Magico in Italia e Nuova Oggettività invece nel nord Europa, diffondendosi maggiormente nei paesi germanici; di matrice leggermente espressionista nell’aspetto, di fatto gli autori di questa corrente, di cui i maggiori interpreti furono i tedeschi Otto Dix, Georg Grosz e Christian Schad, si ispirarono al tradizionale ritratto lasciando però fuoriuscire una sensazione di straniamento dei protagonisti, di riflessione su se stessi come se volessero lasciar intendere altro da ciò che poteva apparire a un primo sguardo, come se volessero nascondere la consapevolezza di aver perso tutto ma si volessero aggrappare all’illusione di poterlo recuperare.
Lo stile pittorico dell’artista Xenia Hausner, che vive e opera tra Vienna e Berlino, sembra voler mescolare le matrici dei due stili appena menzionati, il Realismo nella sua accezione della pittura di genere e la Nuova Oggettività che lasciava intuire il disorientamento e la destabilizzazione di ciò che doveva essere accettato malgrado tutto; nelle sue opere di grandi dimensioni l’artista mette a nudo la verità delle emozioni, la presa di coscienza di concetti o intuizioni che sopraggiungono all’improvviso in un frammento di esistenza e che vengono narrati attraverso un’espressione riflessiva o disperata, atterrita oppure semplicemente rassegnata agli eventi che stanno per svolgersi o che si sono appena svolti.
Ma la caratteristica più singolare di Xenia Hausner è il processo esecutivo che in qualche modo la lega alle tecniche utilizzate nella pittura tradizionale, quella dei grandi maestri come Leonardo da Vinci, Caravaggio e Botticelli, e cioè quella di creare letteralmente nel suo studio le scene che immagina di voler ritrarre e dunque allestisce un vero e proprio set chiamando a posare artisti, attori e studenti d’arte, perché per lei l’atto del dipingere è un vero e proprio processo preparatorio ma soprattutto un’evoluzione costante della composizione che si modifica anche attraverso il movimento e l’osservazione di esso. Ecco perché la sua pittura può essere definita d’azione, per il fatto che spesso le sue opere possono subire modifiche fino all’ultimo momento perché un’espressione inaspettata, o l’improvvisa necessità di introdurre un elemento nuovo posso costituire quel tassello mancante che può indurre l’autrice a sentirsi appagata dal risultato finale.
Dal punto di vista visivo l’impatto emozionale è molto forte, i protagonisti della Hausner sono straniati, sembrano trovarsi per caso in luoghi che non hanno scelto e da cui vogliono uscire pur sapendo di non riuscirvi, a volte si adattano a situazioni al limite, altre invece lo hanno fatto andando però incontro a esiti imprevedibili e non sempre positivi, come se la felicità sfuggisse e non potesse appartenere all’essere umano contemporaneo.
In Cage people, Xenia Hausner mette in luce ed estremizza la realtà di alcune soluzioni abitative in oriente, dove le persone per riuscire ad avere un tetto sulla testa sono costrette a sopravvivere in condizioni limitanti, rinunciando agli spazi e addirittura condividendo con un’altra persona ambienti dove già sarebbe impensabile vivere da soli; la ragazza sdraiata guarda verso l’alto, che è il punto di osservazione dell’artista e di conseguenza del fruitore, come se in qualche modo chiedesse un aiuto pur sapendo che non potrà sopraggiungere, sognando qualcosa di impossibile che ha quasi paura di sperare per il timore di rimanere delusa. La probabilità di una via d’uscita sembra svanire in questo dipinto, come se la rassegnazione fosse più forte di qualsiasi auspicio di poter migliorare una situazione ai margini dell’accettabile.
Nel dipinto St Francis le protagoniste, ancora una volta due ragazze, sembrano uscire da una polaroid di una città di provincia statunitense, intuibile grazie a uno dei maggiori simboli americani, la Coca Cola, e scrutano l’osservatore come volessero chiedergli di dare loro una versione diversa della realtà, come fossero pronte ad ascoltare una storia che non conoscono e che gli faccia credere che qualcosa di più sia possibile anche in un mondo in cui tutto sembra fermo, immutabile, prestabilito. Eppure anche solo il pensiero di rompere lo schema a cui sono abituate, di destabilizzare l’ordine delle cose, sembra lasciarle attonite, spaventate, espressione quest’ultima più evidente dalla ragazza sulla sinistra che si chiude, quasi volesse inconsciamente proteggersi da una visione differente. Il loro pensiero è enigmatico, soggetto all’interpretazione del fruitore sulla base della sua unica sensibilità, del suo percorso di vita, e delle emozioni percepite nel momento del confronto con l’opera.
La tela Hot wire dà un ulteriore punto di vista sull’immobilità dell’essere umano, sulla sensazione di indolenza che fuoriesce dallo sguardo e dalla postura della donna vestita in rosso, come se fosse in preda a un forte disagio, un malessere che non riesce a superare e che le impedisce dunque di godere in pieno della vita con tutte le sue sfaccettature. L’altra protagonista, forse la madre o una sorella, sembra volerla spingere a reagire, a prendere in mano la sua vita, a non soccombere a ciò che sembra ineluttabile bensì a tirarsi su e a ricominciare a sognare, a desiderare di essere felice; tuttavia l’espressione del volto della ragazza è persa nel vuoto, concentrata sul proprio malessere da cui non riesce a staccarsi, come se quella sensazione appartenesse ormai talmente tanto alla sua visione della vita da sentirsi persa senza di essa.
La possibilità del cambiamento è dunque sempre nelle mani nel singolo, questo è ciò che sembra suggerire Xenia Hausner, con le sue intense e magnetiche tele che si legano all’esistenzialismo contemporaneo in cui l’individuo è isolato all’interno dei suoi drammi interiori. Xenia Hausner ha al suo attivo mostre personali e collettive in gallerie, musei e fiere in Germania, Cina, Italia, Austria, Russia, Francia, Norvegia, Colombia e Stati Uniti.
XENIA HAUSNER-CONTATTI
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The existential contradictions of Xenia Hausner’s New Objectivity, when studio staging becomes the premise of painting
There are some creatives who escape the established rules of contemporary art, or perhaps it would be better to say that they bring together multiple approaches in their methodology, some of which belong to the past, and unite them, mix them, making them become guidelines for giving voice to their painterly nature through which they let emerge their emotions, the sensations they receive from observing the world around them. At a time when contact with figuration is indispensable, however, comes out the question of the interpretation of what is seen, which very often fails to be sufficient for the author of the artwork to highlight all the facets that can instead emerge with the slowness of a more prolonged moment. This is the driving force behind the artistic research of today’s protagonist, who not only resorts to a performance methodology belonging to the past, but also mixes it with her studies and experiences as a theatre and opera director to bring to life the scenes she imagines and needs to see before her in order to be able to tell them in the form of visual stories.
Around the middle of the 19th century surfaced in the artists the need to abandon the tradition of portraiture and move towards the reproduction of fragments of reality observable in the streets, among all those people who did not belong to the wealthiest class but whose relevance from a social point of view was beginning to be evident, because it was they after all, with their work, who produced the wealth for the landowners and the owners of the factories where they worked. But also the small artisans, the children in the streets, the old women intent on embroidery, everything could become the protagonist of a work by Gustave Courbet or Giovanni Fattori, great exponents of Realism but who, due to their characteristic of immortalising scenes of common life in which the human being in his unconsciousness was the protagonist, were also defined as genre painters. With the advent of the 20th century and all the avant-gardes that detached artists from the traditional approach, Realism began to lose its initial connotations of pure and simple observation and there emerged a greater attention to the individual, to his feelings, to all that was hidden behind a gesture, to the inexplicable that inevitably emerged from apparently ordinary attitudes and glances but that in reality concealed enigmatic and unconfessed thoughts and feelings. It was around the 1930s that, in parallel with the more extreme movements such as Expressionism and Surrealism for whom emphasising the dramas and suffering caused by the First World War was an imperative, was born in Italy a style called Magic Realism and New Objectivity in northern Europe, spreading more in the Germanic countries; slightly expressionist in appearance, in fact the authors of this current, whose leading exponents were the Germans Otto Dix, Georg Grosz and Christian Schad, were inspired by the traditional portrait but left out a feeling of estrangement of the protagonists, of self-reflection as if they wanted to hint at something other than what might appear at first glance, as if they wanted to hide the awareness that they had lost everything but wanted to cling to the illusion of being able to recover it.
The pictorial style of the artist Xenia Hasuner, who lives and works in Vienna and Berlin, seems to want to mix the matrices of the two styles just mentioned, Realism in its sense of genre painting and the New Objectivity, which hinted at the disorientation and destabilisation of what had to be accepted in spite of everything; in her large-scale works, the artist lays bare the truth of emotions, the realisation of concepts or intuitions that suddenly appear in a fragment of existence and are narrated through an expression that is reflective or desperate, terrified or simply resigned to the events that are about to take place or have just taken place. But the most singular characteristic of Xenia Hausner is the executive process that in some way links her to the techniques used in traditional painting, that of the great masters such as Leonardo da Vinci, Caravaggio and Botticelli, namely that of literally creating in her studio the scenes that she imagines she wants to portray and therefore she sets up a real set by calling on artists, actors and art students to pose, because for her the act of painting is a real preparatory process but above all a constant evolution of the composition that also changes through movement and observation of it.
This is why her painting can be defined as action painting, due to the fact that her artworks can often undergo changes right up to the last moment because an unexpected expression or the sudden need to introduce a new element can constitute that missing piece that can make the artist feel satisfied with the final result. From a visual point of view, the emotional impact is very strong, Hausner‘s protagonists are alienated, they seem to find themselves by chance in places they did not choose and from which they want to get out even though they know they cannot, sometimes they adapt to borderline situations, others they have done so, but with unpredictable and not always positive outcomes, as if happiness escapes and cannot belong to the contemporary human being. In Cage people, Xenia Hausner sheds light and extremes on the reality of certain housing solutions in the East, where people, in order to have a roof over their heads, are forced to survive in limiting conditions, giving up space and even sharing with another person environments where it would already be unthinkable to live alone; the girl lying down looks upwards, which is the artist’s and consequently the viewer’s point of observation, as if somehow asking for help even though she knows it will not come, dreaming of something impossible that she is almost afraid to hope for for fear of being disappointed.
The likelihood of a way out seems to vanish in this painting, as if resignation were stronger than any hope of improving a situation on the edge of the acceptable. In the painting Saint Francis, the protagonists, once again two girls, seem to have stepped out of a Polaroid of a provincial American town, intuitable thanks to one of the greatest American symbols, Coca Cola, and they peer at the observer as if to ask him to give them a different version of reality, as if ready to listen to a story they do not know and to make them believe that something more is possible even in a world in which everything seems still, unchanging, pre-established. Yet even the thought of breaking the pattern to which they are accustomed, of destabilising the order of things, seems to leave them dumbfounded, frightened, the latter expression more evident from the girl on the left who closes herself off, as if unconsciously wanting to protect herself from a different vision. Their thoughts are enigmatic, subject to the viewer’s interpretation based on his own unique sensitivity, life path, and emotions perceived at the moment of confrontation with the work. The canvas Hot wire gives a further viewpoint on the immobility of the human being, on the feeling of indolence that emanates from the gaze and posture of the woman dressed in red, as if she were in the grip of a strong unease, a malaise that she cannot overcome and which therefore prevents her from fully enjoying life with all its facets.
The other protagonist, perhaps her mother or a sister, seems to want to push her to react, to take charge of her life, not to succumb to what seems inescapable but to pull herself up and start dreaming again, to wish to be happy; however, the expression on the girl’s face is lost in emptiness, concentrated on her own malaise from which she cannot detach herself, as if that feeling now belongs so much to her vision of life that she feels lost without it. The possibility of change is therefore always in the hands of the individual, this is what Xenia Hausner seems to be suggesting with her intense and magnetic canvases that tie in with contemporary existentialism in which the individual is isolated within his inner dramas. Xenia Hausner has solo and group exhibitions in galleries, museums and fairs in Germany, China, Italy, Austria, Russia, France, Norway, Colombia and the United States to her credit.