Nel programma condotto da Fabio Fazio su RaiDue, il Professor Burioni sostiene la possibilità di sperimentare un vaccino sugli animali “senza farli soffrire”. Rosati: “mi chiedo come pensa di fare, considerando che devono essere tenuti in gabbie e soggetti a potenziali effetti collaterali”.
ROMA – Durante la trasmissione “Che Tempo Che Fa” di domenica sera, il Professor Burioni – noto e stimato virologo – ha risposto ad alcune domande del pubblico. Tra queste, uno spettatore ha chiesto se i gatti possono essere contagiati dal coronavirus, dando l’opportunità al Professore di parlare della possibilità di trasmissione del virus tra noi e i nostri amici a 4 zampe. Dopo aver ribadito che non c’è alcuna evidenza che gli animali possano essere fonte di contagio per gli umani, ha spiegato che al contrario alcuni animali sono risultati contagiati dai loro proprietari, sviluppando la malattia in forma molto lieve. Lo scienziato ha quindi proseguito dicendo che questo potrebbe essere un grande vantaggio per la sperimentazione di un vaccino.
“Apprezzo che il Professor Burioni abbia precisato che non intende far soffrire gli animali per tale sperimentazione, ma vorrei proprio capire come pensa di fare”, commenta Piera Rosati – Presidente LNDC Animal Protection. “Per svolgere studi di questo tipo, infatti, i gatti dovrebbero essere tenuti in gabbia presso gli stabulari e già questo sarebbe sicuramente causa di sofferenza e stress per i poveri felini. Inoltre, una volta inoculato un vaccino in fase di studio, potrebbe sorgere qualsiasi forma di effetto collaterale indesiderato che potrebbe causare problemi di salute, anche gravi, all’animale”.
“Il punto comunque rimane sempre uno soltanto: il delirio di onnipotenza dell’essere umano che pensa di essere il padrone del mondo e di avere il diritto di utilizzare e sfruttare le altre specie animali per i suoi scopi, più o meno nobili che siano. È anacronistico e paradossale che nel 2020 si parli ancora di sperimentazione su modello animale quando si possono condurre studi in vitro che sono palesemente e logicamente più affidabili, come sostenuto da una larghissima parte della comunità scientifica”, conclude Rosati.