ROMA – Il 10 giugno, dalle 9 alle 13, é in programma il Flash mob “La vita è bella, la vita è ballo”. La tempesta c’è stata. E pare anche parzialmente passata. La pioggia invece continua a cadere su una categoria: quella che per mestiere, la gente la fa divertire. E la fa divertire in sicurezza.
Dopo 106 giorni di chiusura (e di silenzio) ininterrotta, gli imprenditori dell’intrattenimento riprendono la parola. Perché di imprese, come tutte le altre, si tratta. Si tratta di Pil, di gettito fiscale, di affitti, di lavoratori (100.000), di famiglie, di persone. Che potrebbero riprendere a lavorare con responsabilità, che hanno bisogno di aiuti economici (ma non arrivano). Qui, con la corona dei reietti (senza forse più virus), siamo rimasti solo noi!
Mentre la società prende le distanze dalla paura con il metro di una maggiore responsabilità, mentre le strade si popolano e i sorrisi riprendono a sbocciare, seppur coperti da una mascherina, mentre le luci si accendono e dissolvono la nebbia della pandemia rivelando uno scenario di ben più modeste proporzioni ormai conclamato a livello europeo, nelle discoteche e nei locali notturni, nelle sale da ballo rimane il buio. E gli imprenditori non lo possono accettare.
Noi non siamo la “movida”. Parola usata per esprimere il lato deteriore di un “movimento” finalizzato a divertirsi pare, chissà perché, con una velata inclinazione alla scelleratezza. Noi siamo Imprenditori.
“Imprenditori che hanno stilato protocolli seri, rispettosi delle ordinanze, del vivere civile, della salute pubblica, al fine di riprendere le loro attività -dice Maurizio Pasca, presidente di Silb, l’associazione che raggruppa i locali di intrattenimento- Imprenditori che onorano regole di capienza dagli anni Settanta, che hanno locali strutturati al fine di garantire distanze di un metro, imprenditori che hanno proposto protocolli di sanificazione, tracciamento, sicurezza. Imprenditori che hanno creato procedure per la sicurezza di pubblico e lavoratori! E che hanno bisogno di aiuti economici perché sono stati i più colpiti. Chiediamo una data di riapertura in condizioni economicamente sostenibili”.
Se è possibile ballare “sotto la pioggia” a un ristorante, al tavolo di un bar, su una metropolitana, in un mercato pubblico, per le strade di una Bergamo alta invasa di persone, in tutte le piazze e le vie d’Italia che in questi giorni hanno ripreso il vigore dei volti uno a fianco all’altro, non vediamo perché sia vietato “ballare” nel luogo deputato al ballo. Quello dove la vita, nonostante il discredito gettato dal luogo comune, è sempre stata bella.
“Perché alla musica non servono parole.Alla politica invece si. Per questo adesso la tiriamo in ballo. Preferiamo usare “balla” come esortazione verbale anziché come sostantivo che si riferisce ad un’emergenza ormai derubricata a pseudo normalità da titoli come “12 regioni senza morti” oppure “epidemia finita il lockdown non serviva”. Sono titoli di giornali”.
Senza nulla togliere al senso di responsabilità che da sempre distingue Silb, con i 4 miliardi di fatturato che rappresentano, vorrebbero fare il rumore che serve per orientare l’udito all’ascolto di un fiume inarrestabile: quello della vita che riprende il suo ritmo, con le dovute precauzioni. Precauzioni che i locali, dicono, sono perfettamente in grado di far osservare, “molto più dell’anarchia di una spianata fronte mare o di una festa improvvisata in spiaggia o in casa”.
Riaprono gli stabilimenti balneari. I teatri. I cinema. I musei. Perché non i locali da ballo? “Forse da troppo tempo imperversa una consonante di troppo. Ballo non è Sballo. Ballo è vita, gioia, positività, energia, bellezza, socialità, amore”.
“La stasi in natura non esiste -concludono- Nessun atomo sta mai fermo. O si va avanti o si torna indietro. E noi vogliamo andare avanti”.
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