BRUXELLES – “L’Italia è notoriamente il Paese del bel canto: forse per questo la gente pensa che tutti possano cantare e quindi che la nostra non sia una professione vera e propria”. Così il cantautore Francesco De Gregori in un’intervista all’ANSA commenta la situazione degli artisti in questo momento di emergenza per il coronavirus.
“L’industria dello spettacolo – ha osservato il cantautore – sarà una delle ultime a riprendere le attività, per molti si prospettano mesi di sofferenza economica, a questo occorrerà mettere rimedio”. La crisi avrà impatto anche sui tecnici dello spettacolo. “Posso solo sperare che gli innumerevoli lavoratori dell’indotto, che costituiscono la manovalanza necessaria a mettere in piedi un concerto e di cui il pubblico spesso ignora l’esistenza, possano essere protetti dalla cassa integrazione o da altri meccanismi di tutela”.
Le categorie meno sindacalizzate sono le meno protette. Artisti affermati hanno adottato lo smart working, mettendo in streaming concerti “one man band” fatti a casa e questo “può sicuramente servire a sollevare il morale della gente, l’arte è fatta per questo, è consolatoria!”, spiega De Gregori. “Perfino Bob Dylan, considerato non del tutto a torto scontroso ed anaffettivo verso il pubblico, ha messo in rete un suo bellissimo pezzo inedito, Murder must foul, per la gioia e la sorpresa dei suoi fan” ai tempi del coronavirus.
Il pensiero del cantautore va anche a tanti colleghi che vivono di piccoli concerti e adesso si trovano costretti a casa.
In Italia il lavoro di musicisti non è riconosciuto come professione: “Nei Paesi di cultura anglosassone è diverso, l’industria musicale è nata lì e quando vai a fare un concerto ti trattano come un professionista. E’ così quasi dappertutto nell’Ue”, racconta De Gregori. In Italia la visione che si ha dei musicisti è molto diversa: “Mi capita di andare a una festa e sentirmi dire “dai, perché non ci canti una canzoncina?”. Nessuno nella stessa situazione chiederebbe a un dentista di levargli un dente”.
I musicisti stanno anche conducendo una battaglia per il recepimento della direttiva Ue sul copyright – e il riconoscimento di un compenso per le opere condivise online dalle piattaforme – che dovrebbe entrare in vigore in tutti i Paesi Ue entro marzo 2021. “Gli autori non possono difendersi come farebbero i metalmeccanici, non possono scioperare. La loro difesa è affidata unicamente alle normative ed al loro rispetto. La direttiva Ue va in questo senso”, spiega De Gregori. “Sarebbe bene che l’Italia la recepisse, ma non ho molte speranze: non ho visto ancora nel Parlamento una presa di coscienza del problema né una chiara volontà di risolverlo. Il diritto d’autore non ha una lobby al suo servizio. Mentre i suoi avversari sembrano assai agguerriti”.
Per il cantautore il “diritto d’autore è la democrazia dell’arte. Introducendo il principio che l’autore viene remunerato direttamente dal suo pubblico (non dal mecenate), la dottrina del diritto d’autore ha voluto rendere l’artista libero di esprimersi senza condizionamenti, promuovendo così sia la sua responsabilità intellettuale che la sua autonomia creativa”. Per questo, secondo De Gregori, questo principio va difeso ad ogni costo, pur adattandolo ai cambiamenti tecnologici, “ma senza mai considerarlo, come alcuni pretenderebbero, un’anticaglia obsoleta o un privilegio di casta”.