Attraverso l’espressione artistica molti autori cercano di spiegare e di approfondire quel mistero, quella girandola di emozioni e sensazioni che contraddistinguono l’individuo e il suo sentire più intimo, spesso inconsapevole e altrettanto spesso troppo indefinito per rientrare dentro i confini di ciò che l’occhio è abituato a cercare e individuare nella realtà. L’artista di cui vi parlerò approccia l’arte come studio ed esplorazione di quel processo naturale che induce lo sguardo a soffermarsi prima su un’immagine conosciuta per poi spostarsi più a fondo, verso la sua essenza.
L’Espressionismo fu quel significativo movimento nato alla fine dell’Ottocento in virtù del quale l’approccio alla tela cambiò completamente e determinò un punto di vista opposto a tutte le regole e alle tendenze precedenti; l’abbandono della perfetta prospettiva, i contorni delle figure netti e ben definiti, la scelta di una gamma cromatica irreale quanto però funzionale a narrare le tempeste emozionali, le forti sensazioni e il senso di disorientamento o di incertezza che gli animi sensibili degli artisti attraversarono nel delicato periodo dei primi decenni del Ventesimo secolo, costituirono i tratti base di uno stile destinato a lasciare un solco nella storia dell’arte e nell’approccio pittorico da quel momento in avanti. Le angosce di Edvard Munch, l’ingenua follia di Vincent Van Gogh, il disorientamento esistenziale di Egon Schiele, costituirono un’importante testimonianza di quanto in questa corrente si privilegiasse la soggettività al punto da rendere necessaria anche la perdita del contatto visivo con la realtà, se funzionale e necessario a lasciar emergere i moti interiori e le sensazioni dell’artista. A partire dall’Espressionismo si configurarono negli anni seguenti altri tipi di manifestazione pittorica, nei quali addirittura la figurazione doveva quasi annullarsi per privilegiare la purezza e la forza di un’interiorità che non poteva essere arginata da forme conosciute o rallentata da un’esecuzione legata all’immagine; il movimento che più di tutti, rifiutando l’attinenza o la vicinanza alla realtà osservata, fece propria l’esigenza di espellere, gridare, esternare sensazioni e sentimenti legati all’impulso fu l’Espressionismo Astratto, di cui Jackson Pollock fu fondatore e capogruppo affermando un modo di essere prima che di fare arte. Il comun denominatore della corrente fu la libertà espressiva, priva di regole, di schemi, di gabbie, purché la parola d’ordine fosse delle opere degli artisti aderenti fosse la capacità di comunicare emozioni. L’artista lombarda Eleonora Pozzi costituisce un’affascinante sintesi tra i due movimenti contigui eppure differenti, a cui aggiunge anche un’attitudine alla sperimentazione materica, avvicinandosi così anche all’Informale Materico, affine alla sua professione di architetto, che le permette di infondere nelle sue opere un’atmosfera meditativa ma solida, dove l’impulso sembra essere accompagnato da un equilibrio, dalla necessità di una superficie stabile da cui partire per una riflessione espressiva fondamentale per manifestare il proprio punto di vista. La partenza della sua ricerca artistica ruota intorno all’idea del movimento, dato dalla consistenza del tratto a carboncino attraverso il quale delinea i contorni delle figure, in prevalenza donne come se per la Pozzi fosse necessario un percorso empatico alla scoperta delle emozioni delle altre per approfondire, esplorare e riconoscersi nelle proprie.
Da quell’osservazione attenta, delicata e in alcuni casi anche apertamente volta a descrivere frangenti intimi, riservati, quasi a sottolineare quanto in fondo sia solo in alcuni momenti che si riesce a manifestare la propria vera essenza, quella che abitualmente viene nascosta dietro una razionalità e un bilanciamento necessari nell’approccio all’esterno, lentamente si sposta verso l’esigenza di rarefare le atmosfere, gli sfondi e le figure stesse per raggiungere quei moti interiori che riescono a far sentire la propria voce nel momento esatto in cui i confini cadono, in cui l’immagine esterna cede il passo a quel groviglio di sensazioni che si dipana lentamente e sommessamente in virtù di un percorso di approfondimento.
L’opera Colore e materia, emozioni appartiene a una fase della produzione di Eleonora Pozzi in cui il legame con l’Espressionismo è ancora forte e incisivo, sia per la gamma cromatica accesa sia per l’immagine stilizzata, vicina alle figure di Henri Matisse, che sembra fluttuare in uno spazio-tempo indefinito in cui il colore domina sulla materia ma anche sulla realtà osservata che diviene solo un ricordo, un accenno, che deve lasciar spazio all’impatto emotivo.
Nei lavori Figur-azione e Im-perfezione sostenibile invece l’artista si sposta verso un’attenzione maggiore al movimento, come se volesse esprimere quanto fondamentale sia la tendenza verso l’evoluzione, la trasformazione che appartiene all’esistenza di ciascuno sebbene molti tendano a resistervi; ecco dunque che il tratto a carboncino si fa incisivo, concitato, quasi a descrivere quella riluttanza a lasciarsi andare, quella contrapposizione tra il restare fermi e il muoversi, tra l’essere legati a ciò che si è o l’abbandonarsi a ciò che si vuole, più o meno consapevolmente, diventare. Poi però nel momento in cui si raggiunge la dissoluzione delle certezze e ci si lascia andare alla pura emozione, a quel contatto con un’interiorità spesso inascoltata, la Pozzi abbandona il tratto netto e in movimento per narrare la fase seguente, quella della calma, di quel bilanciamento che giunge dopo una destabilizzazione necessaria per generare nuove consapevolezze, inediti punti di vista, meno irruenti ma al contempo più elevati, più coscienti di quanto il percorso precedente sia solo la base di un inedito impulso a una successiva progressione.
Questa è la sensazione che generano nell’osservatore opere come Expiration, Figura ritrovata e Terra origine, nelle quali a predominare è un Espressionismo Astratto equilibrato, misurato, mai irruento semmai quasi rassicurante in virtù delle tonalità tenui, terrose, impalpabili. Le sue opere si avvalgono della materia, perché in fondo è sulle superfici ruvide del cemento, dei sacchi di juta, di sabbia, gesso, pietrisco e lamiera, che si possono aggrappare le emozioni, le sensazioni, i graffi che restano indelebili all’interno di un’interiorità che, pur trasformandosi, non dimentica. Dal 2007 a oggi Eleonora Pozzi ha partecipato a numerose mostre collettive e personali in Italia ma riscuotendo successi e interesse da parte di collezionisti esteri.
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