La storia di Embodiment si svolge in un futuro a noi ipoteticamente prossimo dove l’intelligenza artificiale ha preso il controllo dell’esistenza e grazie all’impiego di un algoritmo la vita dell’essere umano non conosce più fine.
Tramite l’algoritmo che reitera in un loop continuo i dati di memoria degli esseri umani, la Corporazione assicura gli umani per sottrarli alla morte, condannandoli tuttavia senza che essi ne siano consapevoli, al peso dell’infinità. L’unico modo per sottrarsi a questa infinita reincarnazione è scegliere di essere cancellati in maniera definitiva, in modo che l’algoritmo non possa reinizializzare un nuovo ciclo.
Jette, la protagonista del corto dal mood distopico e provocatorio che combina il linguaggio della science fiction e quello del cinema sperimentale, viene scelta dalla Corporazione come ‘agente di obliterazione’ il cui compito e dare sollievo ai clienti che decidano di porre fine al susseguirsi infinito delle vite, in cui tutto e transiente ma niente può estinguersi.
Il contenuto è volutamente astratto e metaforico con l’intento di trasmettere il tema della omologazione di pensiero e del controllo mediatico definito da un sistema che serve la logica della sovrapproduzione.
“…volevamo che Embodiment diventasse un elemento di rottura e provocazione. Per riaffermare il fashion film come strumento di esplorazione e sperimentazione artistica. L’arte dovrebbe creare una reazione. Viviamo nel tempo della comunicazione accelerata, ma anche di solitudine cronica, perché la priorità è data a informazione e a contenuti reiterati, veloci e brevi, mentre la nostra anima ha bisogno di tempo, complessità e profondità. La nostra responsabilità come creatori è di incoraggiare un cambiamento per interrompere questa catena di montaggio” secondo le parole di Ced Pakusevskij.
“Essere riusciti con il film “Emboidment” a creare un’opera in cui l’anima del mio sentire, fusa con quella di Ced, raccontano in maniera sincera e diretta, senza futili barriere quello che volevo e volevamo dire è straordinario e non cosi scontato. Io sono convinta da sempre che la moda, debba riappropriarsi della sua profonda cultura, sia educando ma sopratutto proponendo al pubblico qualcosa che ci renda tutti più consapevoli di essa come potente mezzo espressivo, perché quando la indossiamo, (volenti o nolenti) raccontiamo sempre qualcosa di noi, a noi stessi e agli altri” ha confermato Barbara Bologna, per la quale il connubio tra moda cinematografia è uno nuovo linguaggio antropologico e culturale della moda stessa.