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L’Esistenzialismo di D La Her, dove l’impalpabilità della figura umana è sottolineata da involucri che evocano potenzialità possibili

Nascondersi e celare il proprio essere, la mancanza di contenuti reali ed essenziali alla natura umana, sono le caratteristiche più evidenti della società contemporanea che riduce l’esistenza a un correre dietro alla migliore apparenza possibile mettendo in secondo piano tutto ciò che invece conterebbe e riuscirebbe a dare una maggiore consistenza all’individuo; in questo contesto la riflessione su quanto l’interiorità potrebbe scegliere un percorso differente se solo raggiungesse la consapevolezza delle enormi possibilità che potrebbero aprirsi, diviene il punto di partenza della ricerca artistica di tutti quei creativi che proprio sugli interrogativi del vivere, sui misteri della natura umana e sui suoi disagi strutturano la propria forza espressiva. La protagonista di oggi rientra di diritto in questo concetto narrativo scegliendo uno stile figurativo da cui poi scendere verso un significato profondo e sorprendentemente in grado di stimolare introspezioni e interrogativi nel fruitore che si trova davanti alle sue opere.

La ricerca intorno all’essere umano, alle sue fragilità e debolezze ha avuto inizio intorno ai primi decenni del Novecento, quando cioè le avanguardie artistiche di quell’epoca, come il Surrealismo e l’Espressionismo, compirono una ricerca sull’interiorità umana, sulla sua percezione del visibile, sulla dimensione onirica e degli incubi generati dall’inconscio e sulle incertezze, angosce e sofferenze generate dalle guerre europee che lasciarono tracce profonde nei popoli e negli artisti. Studiare e osservare tutto ciò che correva al di sotto della superficie fu un momento di analisi fondamentale per mettere l’uomo al centro della ricerca pittorica e scultorea, lasciandone emergere tutte quelle debolezze interiori che nell’arte dei secoli precedenti erano ignorate o comunque messe in secondo piano rispetto alla perfezione estetica; il paradigma arte-bellezza fu così sovvertito dai corpi deformi ed emaciati di Egon Schiele, la cui nudità costantemente presente evidenziava l’esigenza dei suoi personaggi, spesso rappresentazione di se stesso, di restare fortemente attaccati alla carnalità come ultima spiaggia dove potersi sentire ancora vivi di fronte alla dissoluzione di tutta la realtà circostante. L’austriaco Schiele può essere considerato il più esistenzialista degli espressionisti, antecedente alla ricerca scultorea dell’italiano Alberto Giacometti che fu definito dal filosofo Jean Paul Sarte il vero padre dell’Esistenzialismo artistico; le sue figure lunge e sottili erano il simbolo della fragilità, dell’inconsistenza dell’essere umano davanti agli eventi catastrofici che lo circondano e che lo spingono in qualche modo a sopravvivere, a rimanere in piedi nonostante tutto. Parallelamente vi fu però anche un altro tipo di approccio artistico che pur discostandosi dalla rappresentazione espressionista si propose come un modo diverso di studiare l’uomo dell’epoca, la sua solitudine anche laddove le certezze materiali non erano messe in discussione, o il suo disorientamento e l’incapacità di trovare una felicità sempre sfuggente; il Realismo Americano di Edward Hopper infatti unì una figurazione perfettamente aderente alla realtà osservata, alla capacità di sottolineare quanto la classe media americana di quegli anni fosse fintamente appagata dal possedere il benessere ma poi essenzialmente a disagio all’interno di quelle grandi città o della perfezione dei sobborghi che lasciavano la sensazione di una solitudine e una malinconia di fondo impossibili da superare. Per la sensazione desolante di silenzio che le sue opere trasmettevano, e per la schematicità delle sue ambientazioni, Edward Hopper fu a volte avvicinato alla Metafisica di Giorgio De Chirico.

1 Hanoi cà phe – acrilico su lino, 38x46cm

L’artista coreana D La Her a sua volta sceglie un Esistenzialismo riconducibile concettualmente al pensiero di Sartre, ma perdendo l’aspetto espressionista di Giacometti e di Schiele per tendere verso un Realismo urbano, e suburbano, che non può non ricordare le atmosfere di Hopper che però lei amplia a un paesaggio più metropolitano affine alla contemporaneità ma anche corrispondente al suo cammino nel mondo, quel viaggiare legato alla sua arte che l’ha condotta dalla Corea del Sud a Parigi e poi a New York e Londra.

2 Debt free – acrilico su lino, 81x65cm

Ma la caratteristica più evidente e sorprendente di D La Her è quella di non rappresentare mai l’essere umano bensì tratteggiarne e lasciarne intuire la presenza raccontando abiti vuoti che compiono azioni ordinarie, come se ciascuno potesse sentirsi protagonista degli scorci raffigurati; la sua analisi approfondisce due aspetti del vivere attuale, entrambi essenziali per indurre l’osservatore a farsi domande, interrogarsi e soprattutto riflettere su quanto la realtà che l’artista evidenzia appartenga al proprio modo di vivere, considerandone sia il positivo che il negativo. Il primo aspetto è quello innegabile della superficialità, del fermarsi all’apparenza che spinge gli individui a possedere, a darsi l’aspetto migliore possibile inseguendo spesso modelli irraggiungibili e proprio per questo auto generando frustrazioni e insoddisfazioni; ecco dunque che gli abiti sono un’allegoria di questo lasciare che l’apparenza divenga predominante rispetto alla sostanza impedendo all’essere umano di coltivare i valori e le emozioni, ciò che dovrebbe contare davvero.

Il secondo aspetto diametralmente opposto è quello invece dell’individuo inteso come entità in grado di scegliere liberamente la propria esistenza escludendo ogni predeterminazione, ogni forma precostituita, senza essere soggetto ad alcuna identificazione bensì divenendo una potenzialità da svilupparsi secondo la propria coscienza superando il pregiudizio. Dunque la presenza umana nei suoi dipinti è solo una traccia, che lascia il posto all’immaginazione e all’interpretazione dell’osservatore il quale può sentirsi attratto o respinto da quella mancanza di consistenza, ma in entrambi i casi si sentirà affascinato dal punto di vista di D La Her tanto quanto da quegli ambienti bizzarri eppure consueti nella realtà metropolitana attuale.

3 Club Solimar – acrilico su lino, 73x64cm

Non solo, l’artista sembra anche sottolineare quanto nelle pieghe della quotidianità sia facile trascurare di guardare l’aspetto di persone che vengono incontrate costantemente, che si siedono l’una accanto all’altra in metropolitana o in un bar senza preoccuparsi di sollevare il capo per scambiarsi un saluto; questo è il motivo per il quale sono solo gli abiti e i corpi senza personalità a essere tratteggiati, perché molto spesso si ignora il volto di tutta quella moltitudine di persone che circonda la vita di ciascuno senza essere notata. Il tratto realista non fa che enfatizzare i concetti cari a D La Her che emergono in maniera sottile attraendo l’osservatore per l’eccentricità di ciò che vede, ma subito dopo lo conducono quasi ipnoticamente ad andare verso quelle strane immagini, a calarsi all’interno di quella dimensione di mancanza per trovare il senso più profondo che da quel punto di vista possa emergere; l’abilità dell’artista è quella di lasciare spazio immaginativo all’interpretazione che si coniuga e si armonizza con la sensibilità, con il vissuto e con l’approccio alla vita di ciascuno, legandosi al concetto sartriano di esistere inteso nella sua immediatezza, nell’essere qui e ora uscendo dal nulla per ritornare nel nulla.

5 Rue de la République – acrilico su lino, 116x89cm

L’essenza delle persone, quell’aura di presenza che è suggerita dai corpi e dagli abiti, in alcune tele è totalmente assente, in altre invece viene sottilmente tracciata come se D La Her invitasse il fruitore a immaginarsi all’interno di quelle circostanze, delle situazioni raccontate, infondendo ai personaggi la propria personalità, la definizione più vicina al proprio sé; ecco dunque che l’Esistenzialismo diviene possibilismo, apertura a sfaccettature diverse e variegate della sua ricerca artistica, come se tutte le sue proprie riflessioni fossero solo uno spunto per generarne altre, personali, uniche tanto quanto unici sono gli individui di cui lei stessa racconta.

6 Imjin camp river – acrilico su tela, 59x59cm

Dunque il contrasto tra presenza e assenza, tra mancanza di contenuti e di sostanza e l’opportunità di riempire il vuoto con i propri fondamenti e con la propria personalità, tra consapevolezza di un vivere che deve trovare un senso più profondo del semplice alzarsi, vestirsi, inseguire obiettivi materiali e poi tornare a dormire, il contrasto dicevo evidenzia e mette in luce le difficoltà dell’esistenza contemporanea ma al contempo la possibilità di volgere tutto al positivo attraverso la consapevolezza e la possibilità di poter scrivere una storia diversa.

7 Le 25° est – acrilico su lino, 65x54cm

D La her ha esposto le sue opere alla Rea! Art Fair di Milano e alla WIAF di Londra, presso le Mall Galleries; è stata selezionata per l’Homiens Art Prize negli Stati Uniti e il Jackson’s Art Prize nel Regno Unito. Le sue prossime mostre includono una mostra alla Dutton Gallery della California State University, San Bernardino, California, al CICA Museum in Corea del Sud e terrà la sua prima mostra personale alla MINT Gallery di Atlanta, Georgia, negli USA.

D LA HER-CONTATTI

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La Her’s Existentialism, where the impalpability of the human figure is emphasised by wrappings that evoke possible potentialities

Hiding and concealing one’s own being, the lack of real and essential contents to human nature, are the most evident characteristics of contemporary society that reduces existence to a running after the best possible appearance, overshadowing everything that would instead count and succeed in giving greater consistency to the individual; in this context, the reflection on how much interiority could choose a different path if only he were aware of the enormous possibilities that could open up, becomes the starting point for the artistic research of all those creatives who structure their expressive power precisely on the questions of living, on the mysteries of human nature and on its discomforts. Today’s protagonist is rightfully part of this narrative concept, choosing a figurative style from which to descend towards a profound meaning that is surprisingly capable of stimulating introspection and questions in the viewer who finds himself before her artworks.

The research into the human being, his frailties and weaknesses began around the first decades of the 20th century, when the artistic avant-gardes of that time, such as Surrealism and Expressionism, carried out research into human interiority, into his perception of the visible, into the dreamlike dimension and the nightmares generated by the unconscious, and into the uncertainties, anguish and suffering generated by the European wars that left deep traces on people and artists. Studying and observing everything that ran beneath the surface was a fundamental moment of analysis to put man at the centre of pictorial and sculptural research, allowing to emerge all those inner weaknesses that in the art of previous centuries had been ignored or at least put in second place to aesthetic perfection; the art-beauty paradigm was thus subverted by the deformed and emaciated bodies of Egon Schiele, whose constantly present nudity highlighted the need for his characters, often representations of themselves, to remain strongly attached to carnality as a last resort where they could feel alive in the face of the dissolution of all surrounding reality.

The Austrian Schiele can be considered the most existentialist of the expressionists, predating the sculptural research of the Italian Alberto Giacometti, who was defined by the philosopher Jean Paul Sarte as the true father of artistic Existentialism; his long and thin figures were the symbol of fragility, of the inconsistency of the human being in the face of the catastrophic events that surround him and that somehow push him to survive, to remain standing despite everything. At the same time, however, there was also another type of artistic approach that, while departing from expressionist representation, proposed itself as a different way of studying the man of the time, his loneliness even where material certainties were not questioned, or his disorientation and inability to find an ever elusive happiness; Edward Hopper‘s American Realism in fact combined a figuration perfectly adherent to the reality observed, with the ability to emphasise how the American middle class of those years was feignedly gratified by possessing wealth but then essentially uncomfortable within those large cities or the perfection of the suburbs that left the feeling of an underlying loneliness and melancholy impossible to overcome. Because of the bleak feeling of silence that his works conveyed, and the schematic nature of his settings, Edward Hopper was sometimes compared to Giorgio De Chirico‘s Metaphysics. Korean artist D La Her, in turn, chooses an Existentialism that can be conceptually traced back to Sartre‘s thought, but losing the expressionist aspect of Giacometti and Schiele to tend towards an urban and suburban Realism that cannot but recall Hopper‘s atmospheres, which she, however, expands to a more metropolitan landscape akin to contemporaneity but also corresponding to her journey in the world, that trip linked to her art that has led her from South Korea to Paris and then to New York and London. But the most evident and surprising characteristic of D La Her is that of never representing the human being but rather outlining and allowing to understand their presence by describing empty clothes that carry out ordinary actions, as if everyone could feel like the protagonist of the glimpses depicted; her analysis delves into two aspects of current living, both essential to induce the observer to ask questions, inquiry himself and above all reflect on how much the reality that the artist highlights belongs to his own way of life, considering both the positive and the negative.

The first aspect is the undeniable that of superficiality, of stopping at appearances that drive individuals to possess, to give themselves the best possible appearance, often pursuing unattainable models and for this very reason self-generating frustration and dissatisfaction; hence the clothes are an allegory of this letting appearance become predominant over substance, preventing human beings from cultivating values and emotions, what should really count. The second, diametrically opposed aspect is that of the individual understood as an entity capable of freely choosing its own existence, excluding any predetermination, any pre-constituted form, without being subject to any identification but becoming a potentiality to be developed according to one’s own conscience, overcoming prejudice. Thus, the human presence in her paintings is only a trace, which gives way to the imagination and interpretation of the observer, who may feel attracted or repelled by that lack of consistency, but in both cases will feel as fascinated by D La Her‘s point of view as by those bizarre yet usual environments in today’s metropolitan reality. Not only that, the artist also seems to emphasise how easy it is in the folds of everyday life to neglect to look at the appearance of people who are constantly encountered, who sit next to each other on the underground or in a café without bothering to lift their heads to exchange a greeting; this is why it is only the clothes and bodies without personalities that are depicted, because very often the faces of the whole multitude of people who surround one another’s lives unnoticed are ignored. The realist stroke only emphasises the concepts dear to D La Her, which emerge in a subtle way, attracting the observer by the eccentricity of what he sees, but immediately afterwards lead him almost hypnotically to go towards those strange images, to immerse himself within that dimension of lack in order to find the deepest meaning that can emerge from that point of view; the artist’s skill is to leave imaginative space for interpretation that is combined and harmonised with the sensibility, the experience and the approach to life of each person, tying in with the Sartrian concept of existing understood in its immediacy, in being here and now coming out of nothing to return to nothing. The essence of the people, that aura of presence that is suggested by the bodies and clothes, is totally absent in some canvases, while in others it is subtly traced as if D La Her were inviting the viewer to imagine himself within those circumstances, within the situations narrated, infusing the characters with his own personality, the definition closest to his own self; here, then, Existentialism becomes possibilism, an openness to different and varied facets of her artistic research, as if all her own reflections were only a cue to generate others, personal, as unique as the individuals of whom she tells. So the contrast between presence and absence, between lack of content and substance and the opportunity to fill the void with one’s own fundamentals and personality, between awareness of a life that must find a deeper meaning than simply getting up, getting dressed, pursuing material goals and then going back to sleep, the contrast I was saying highlights and underlines the difficulties of contemporary existence but at the same time the possibility of turning everything to the positive through awareness and the chance of being able to write a different story. D La her exhibited her artworks at the Rea! Art Fair in Milan and at WIAF in London, at the Mall Galleries; she was shortlisted for the Homiens Art Prize in the US and the Jackson’s Art Prize in the UK. Her upcoming exhibitions include a presence at the Dutton Gallery at California State University, San Bernardino, California, at the CICA Museum in South Korea and she will hold her first solo exhibition at the MINT Gallery in Atlanta, Georgia, USA.

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Pubblicato da
Marta Lock

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