L’atto pittorico è un’unione simbiotica tra l’oggetto che riceve, cioè la tela, e il soggetto che crea, l’artista, a discapito spesso di ogni limite razionale e logico che indurrebbe alla ricerca di una perfezione esecutiva, o a una narrazione di ciò che lo sguardo coglie; laddove la rinuncia all’equilibrio estetico e formale prevalga il risultato è la creazione di un tipo di arte fortemente legata solo al sentire, alle sensazioni vissute nel momento dell’osservazione e poi interiorizzate dalla sensibilità dell’autore che solo a quel punto riesce a propagarle sulla superficie ruvida della tela. Questo è il caso della protagonista di oggi che non solo si distacca dalla realtà, pur mantenendo una forte connessione con la figurazione, ma sceglie di avere un rapporto tattile con l’opera, dipingendo con il solo uso delle mani.
Il percorso di scoperta di nuove forme artistiche che potevano coesistere con quelle più tradizionali fu rapido e dirompente, soprattutto perché la ribellione in atto aveva bisogno di eccedere, di mostrare gli estremi di nuove possibilità destinate a rivoluzionare tutti gli schemi e le regole accademiche fino a poco prima considerate irrinunciabili; da un lato si ebbe la rottura con la tecnica esecutiva tradizionale, con il disegno preparatorio e con la stesura stratificata del colore grazie alla determinazione di un gruppo di creativi che vollero conquistarsi la possibilità di dipingere all’aperto restando di fronte ai paesaggi raccontati dando vita all’Impressionismo. Dall’altro vi furono altri artisti più radicali per cui fondamentale era conquistarsi il diritto di infondere nella tela le emozioni interiori fino a quel momento escluse da ogni movimento del passato, dando origine inizialmente a un incontro di idee, più che un vero e proprio movimento, che prese il nome di Fauves, in cui tutto ciò che doveva fuoriuscire dall’opera era proprio la sensazione più immediata; per farlo Henri Matisse, Maurice de Vlamink e André Derain rinunciarono all’equilibrio estetico, alla prospettiva, alla profondità, ed elaborarono uno stile dove le persone e gli oggetti erano raccontati in maniera diversa, dove l’attinenza alla realtà e la ricerca della bellezza erano ripudiate in nome dell’espressione di emozioni a volte forti, violente, intense, raccontate attraverso i colori spesso aggressivi quanto irreali, guadagnandosi così l’appellativo di Fauves, bestie in francese. In questo stile la linea di contorno delle figure e degli oggetti conteneva tutto ciò che apparteneva all’interiorità dell’esecutore e al momento in cui osservava la realtà circostante, totalmente decontestualizzata dal punto di vista cromatico. Queste basi furono le linee guida su cui nacque l’Espressionismo, velocemente diffusosi in tutto il continente europeo proprio in virtù della necessità, in un periodo storico complesso per i venti di guerra che stavano emergendo a metà del secondo decennio del Novecento, da parte degli artisti di ribellarsi alla pura estetica e lasciar parlare le proprie emozioni, permettere a quel mondo interiore di avere una voce. La declinazione esecutiva cambiò sulla base del paese di provenienza dei vari interpreti, più cupo e angosciante nel nord Europa, con Edvard Munch ed Emil Nolde, più definito nei contorni ed esistenzialista in Germania, Belgio e Austria, con Oskar Kokoshka, James Ensor, Egon Schiele e George Grosz, e più sereno e sognante in Francia con Henri Matisse e Marc Chagall; in tutti i casi il movimento rivoluzionò completamente il modo di fare arte insieme ad altre correnti, persino più estreme come quelle che rinunciarono alla forma, che scrissero una nuova storia nella cultura visiva che da quel periodo in avanti non sarebbe più stata la stessa. L’artista calabrese Marilù Caminiti, figlia di una pittrice e di un giornalista e con un nonno, Alfredo Caccamo, insegnante e direttore d’orchestra, respira arte fin da bambina, comprendendo l’importanza dell’esprimere se stessa attraverso la forma comunicativa più affine alla sua natura scegliendo così l’Espressionismo perché in virtù della sua libertà esecutiva e della possibilità di assecondare i colori alle emozioni provate davanti a circostanze vissute o episodi su cui riflette, riesce a raccontare tutto ciò che va a toccare le sue corde emotive fino al punto di doverle manifestare sull’opera.
Non solo, la sua principale caratteristica esecutiva è quella di dipingere solo ed esclusivamente con le mani, come se queste ultime fossero un prolungamento di quel sé interiore che preme per fuoriuscire e andarsi a fissare senza alcun tipo di intermediazione direttamente sulla materia, prima quella morbida del colore e poi quella ruvida della tela; la gamma cromatica è assolutamente decontestualizzata, irreale proprio perché va a legarsi con l’emozione ricevuta e perché non vuole avere bisogno del confine dell’oggettività, tutto ciò che deve fare è connettersi con l’interno e poi manifestarsi con spontaneità verso l’esterno.
In alcuni lavori emerge persino un’evocazione riconducibile al Simbolismo poiché diviene presente l’energia sottile, l’interpretazione immaginativa di Marilù Caminiti che si pone in ascolto di tutto ciò che fuoriesce dal soggetto rappresentato e lo avvolge in maniera impercettibile se guardato con il filtro oggettivo della ragione; tutto il ventaglio di emozioni che appartiene all’essere umano viene messo in evidenza dall’artista e arriva in modo diretto all’osservatore che è così chiamato a dare una sua traduzione di quella forza cromatica che viene impressa e contraddistingue il dipinto.
In Connessioni Marilù Caminiti racconta quanto anche nella rumorosa e tecnologica modernità gli esseri umani riescano a restare legati da quel collegamento intangibile, da quel sentirsi vicini anche da lontano se tra di loro esiste un rapporto profondo e incancellabile da qualsiasi ostacolo fisico; la donna a sinistra sembra vegliare il sonno dell’altra, forse sua figlia o forse qualcuno a lei caro, quasi come fosse proprio il non essere presente fisicamente a rendere più forte il suo pensiero. La tonalità principale è il turchese, che nella tradizione indiana rappresenta la protezione e la forza del sentimento, alternato con il rosso, il colore della vita, dell’energia positiva e della vitalità dunque quello evocato dall’artista è un augurio per il risveglio, è un trasmettere quelle sensazioni a un livello superiore.
In Rotazione dell’io su se stesso la ragazza protagonista sembra spaventata, atterrita dalla consapevolezza di un dolore generato da un accadimento che non ha potuto fermare e che è stata costretta a subire sperimentando l’inevitabilità delle conseguenze delle circostanze che si susseguono e la necessità di modificare il proprio punto di vista sulla base del concatenarsi di cause ed effetti. La ragazza non è cosciente di quanto tutto ciò che appare negativo e spiacevole possa poco dopo avere un risvolto insperato e positivo che costringe ogni individuo a compiere una rotazione, come suggerito dal titolo, che modifica, certo, ma costituisce anche una fondamentale evoluzione. Ecco perché il livello in secondo piano è rappresentato da Marilù Caminiti con la foglia oro, perché l’accaduto rappresenterà un tesoro inestimabile grazie a cui si consoliderà e si rafforzerà la personalità della ragazza in primo piano, nel momento attuale in preda alla sua tempesta emotiva che le impedisce di trovare nell’immediato una via d’uscita al dolore.
Ne La casa di cristallo Marilù Caminiti racconta le incertezze che avvolgono l’essere umano contemporaneo, quel sentirsi protetto all’interno di una zona sicura, nel caso specifico la casa, che però ha pareti fragili, come il cristallo del titolo, e dunque a rischio di distruggersi con facilità al primo forte scossone; quest’opera è dunque una metafora dell’esistenza, un invito all’osservatore a riflettere sull’evidenza che molto spesso tutto ciò dentro cui ci rifugiamo è solo un sintomo della paura di affrontare l’incognito, l’imprevedibile generato da tutto ciò che non è conosciuto, conducendolo a domandarsi se quella dimensione rassicurante non sia invece solo una gabbia dalla quale guardare la vita esterna, quella che per timore non si ha il coraggio di vivere. In questa tela la gamma cromatica è tenue, delicata, quasi a voler sottolineare l’evanescenza di quelle pareti e di quei tetti che non impediscono alle tonalità che la circondano di filtrare al suo interno infondendo alla composizione il senso di immobilità di chi non riesce a non circondarsi dalle false certezze che diventano causa di immobilità.
Marilù Caminiti ha al suo attivo un lungo percorso espositivo in Italia e all’estero – Tokio, Bruxelles, Parigi, Yelets (Russia), San Pietroburgo, Quatar, Praga – è stata finalista a molti premi di pittura e vincitrice del concorso 2024 indetto dalla Galleria Spazio MacOs.
MARILÙ CARMINITI-CONTATTI
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The act of painting is a symbiotic union between the object that receives, i.e. the canvas, and the subject that creates, the artist, often to the detriment of all rational and logical limits that would induce the search for executive perfection, or a narration of what the eye catches; where the renunciation of aesthetic and formal balance prevails, the result is the creation of a type of art that is strongly linked only to feeling, to the sensations experienced at the moment of observation and then internalised by the author’s sensitivity, which only then manages to propagate them on the rough surface of the canvas. This is the case of today’s protagonist who not only detaches herself from reality, while maintaining a strong connection with figuration, but chooses to have a tactile relationship with the artwork, painting with the sole use of her hands.
The path of discovery of new artistic forms that could coexist with the more traditional ones was rapid and disruptive, above all because the rebellion in progress needed to go beyond, to show the extremes of new possibilities destined to revolutionise all the schemes and academic rules that had until recently been considered inalienable; on the one hand, there was the break with the traditional technique of execution, with the preparatory drawing and with the layered application of colour thanks to the determination of a group of creatives who wanted to conquer the possibility of painting in the open air while remaining in front of the landscapes they described, giving rise to Impressionism. On the other, there were other more radical artists for whom it was fundamental to win the right to infuse the canvas with inner emotions hitherto excluded from any movement of the past, giving rise initially to a meeting of ideas, rather than a real movement, which took the name of Fauves, in which all that had to come out of the artwork was the most immediate sensation; in order to do so, Henri Matisse, Maurice de Vlamink and André Derain renounced aesthetic balance, perspective and depth, and developed a style where people and objects were depicted in a different way, where the connection to reality and the search for beauty were repudiated in the name of the expression of sometimes strong, violent, intense emotions, told through colours that were often as aggressive as they were unreal, thus earning them the nickname Fauves, beasts in French.
In this style, the outline of the figures and objects contained everything that belonged to the interiority of the artist and the moment in which he observed the surrounding reality, totally decontextualised from a chromatic point of view. These were the guidelines on which Expressionism was born, which quickly spread throughout the European continent precisely because of the need, in a complex historical period due to the winds of war that were emerging in the middle of the second decade of the 20th century, for artists to rebel against pure aesthetics and let their emotions speak, to allow their inner world to have a voice. The executive declination changed according to the country of origin of the various interpreters, darker and more distressing in northern Europe, with Edvard Munch and Emil Nolde, more defined in outline and existentialist in Germany, Belgium and Austria, with Oskar Kokoshka, James Ensor, Egon Schiele and George Grosz, and more serene and dreamy in France with Henri Matisse and Marc Chagall; in all cases, the movement completely revolutionised the way of making art along with other currents, even more extreme such as those that renounced form, which wrote a new history in visual culture that would never be the same from that period onwards. Calabrian artist Marilù Caminiti, the daughter of a painter and a journalist and with a grandfather, Alfredo Caccamo, teacher and orchestra director, has been breathing art since childhood, understanding the importance of expressing herself through the communicative form most akin to her nature, thus choosing Expressionism because, by virtue of her freedom of execution and the possibility of matching her colours to the emotions she feels in the face of circumstances she has experienced or episodes she reflects on, she is able to tell everything that touches her emotional chords to the point of having to manifest them on the work.
Not only that, her main characteristic of execution is that she paints solely and exclusively with her hands, as if they were an extension of that inner self that presses to come out and fix itself without any kind of intermediation directly on the material, first the soft colour and then the rough canvas; the chromatic range is absolutely decontextualised, unreal precisely because it binds with the emotion received and because it does not need the boundary of objectivity, all it has to do is connect with the inside and then spontaneously manifest itself towards the outside. In some paintings there even emerges an evocation that can be traced back to Symbolism, as the subtle energy becomes present, the imaginative interpretation of Marilù Caminiti that listens to everything that escapes from the subject represented and envelops it imperceptibly if viewed with the objective filter of reason; the whole range of emotions that belongs to the human being is highlighted by the artist and reaches the observer directly, who is thus called upon to give his own translation of that chromatic force that is imprinted and distinguishes the painting. In Connections, Marilù Caminiti recounts how, even in the noisy and technological modernity, human beings manage to remain linked by that intangible connection, by that feeling of being close even from afar if there is a deep relationship between them that is indelible from any physical obstacle; the woman on the left seems to be watching over the sleep of the other, perhaps her daughter or perhaps someone dear to her, almost as if it is precisely not being physically present that makes her thoughts stronger. The main hue is turquoise, which in Indian tradition represents protection and the strength of feeling, alternating with red, the colour of life, positive energy and vitality, so the colour evoked by the artist is a wish for awakening, it is a transmission of those feelings to a higher level. In Rotation of the ego on itself, the girl protagonist seems frightened, terrified by the awareness of a pain generated by an event that she could not stop and that she was forced to endure, experiencing the inevitability of the consequences of the circumstances that follow one another and the need to change her point of view on the basis of the concatenation of causes and effects. She is unaware of how everything that appears negative and unpleasant can shortly afterwards have an unhoped-for and positive turn that forces each individual to make a rotation, as suggested by the title, which modifies, certainly, but also constitutes a fundamental evolution.
This is why the level in the background is represented by Marilù Caminiti with the gold leaf, because what happened will represent an invaluable treasure thanks to which the personality of the girl in the foreground will be consolidated and strengthened, at the moment in the grip of her emotional storm that prevents her from finding an immediate way out of her pain. In The Crystal House, Marilù Caminiti recounts the uncertainties that envelop the contemporary human being, that feeling of being protected within a safe zone, in this case the house, which, however, has fragile walls, like the crystal of the title, and is therefore at risk of being easily destroyed at the first strong shake; this work is therefore a metaphor for existence, an invitation to the observer to reflect on the evidence that very often everything we take refuge in is only a symptom of the fear of facing the unknown, the unpredictable generated by all that is not known, leading him to wonder whether that reassuring dimension is not instead just a cage from which to look at life outside, that which out of fear one does not have the courage to live. In this canvas, the chromatic range is soft, delicate, almost as if to emphasise the evanescence of those walls and roofs that do not prevent the tones that surround it from filtering inside, infusing the composition with the sense of immobility of those who are unable to avoid surrounding themselves with the false certainties that become the cause of immobility. Marilù Caminiti has to her credit a long exhibition career in Italy and abroad – Tokyo, Brussels, Paris, Yelets (Russia), St. Petersburg, Quatar, Prague – and has been a finalist in many painting prizes and winner of the 2024 competition organised by Spazio MacOs Gallery.
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