Le rappresentazioni anticonvenzionali dell’Africa nell’Espressionismo NeoCubista di Kojo Marfo, tra tradizione e contemporaneità

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flawlessIn un mondo globalizzato e trasversale come quello attuale spesso ci si trova davanti all’evidenza delle carenze conoscitive che una cultura narrata prevalentemente da una parte del mondo ha lasciato nell’approccio a tradizioni e ricchezze artistiche e rappresentative di molti popoli che di fatto ora hanno finalmente la possibilità di far sentire la propria voce, mettendo in evidenza tutto ciò che in precedenza era stato trascurato perché troppo appartenente a usi e costumi locali per essere esplorato fino in fondo dall’esterno. Proprio grazie alle possibilità del cosmopolitismo, alla possibilità di viaggiare con maggiore facilità, alle opportunità date ai talenti di ogni parte del mondo, è possibile avere un punto di vista differente perché proveniente dall’interno, da chi in quelle culture è nato e cresciuto respirandone ogni singolo aspetto. Il protagonista di oggi dedica tutta la sua produzione artistica a portare il mondo ad approfondire e riflettere sulla ricchezza e la bellezza del suo continente di origine di cui svela aspetti più tradizionali attualizzati ai temi prioritari della società contemporanea.

Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento molti artisti, incentivati anche dal diminuito tempo di percorrenza per giungere verso paesi lontani, cominciarono a interessarsi alle iconografie e alle rappresentazioni delle civiltà tribali dell’Africa, ispirandosi addirittura a esse per elaborare i propri stili pittorici e scultorei. Questa tendenza prese il nome di Primitivismo e fu ampliato anche agli usi e costumi delle popolazioni aborigene dell’Australia e della Nuova Zelanda, ma fu l’Africa a lasciare una traccia molto profonda ed evidente nei volti dei personaggi presenti nelle opere di Pablo Picasso, costituendo la base da cui nacque di fatto il suo Cubismo, o nelle donne enigmatiche e algide dell’Espressionismo di Amedeo Modigliani, che riprese proprio le caratteristiche stilizzate delle maschere africane per delinearne i contorni del viso. Malgrado l’attenzione e la rilevanza che quelle rappresentazioni indigene ebbero su due tra i principali movimenti degli inizi del Ventesimo secolo, nessun autore sarebbe mai stato in grado di mostrare una conoscenza davvero approfondita di tutte le sfaccettature di tradizioni tramandate verbalmente di generazione in generazione, degli aspetti spirituali di culture troppo differenti per essere esplorate nella loro totalità.

Sono passati molti, troppi anni, prima che cominciassero a emergere voci pittoriche e scultoree di artisti provenienti dall’Africa, che grazie al percorso di affrancamento dal colonialismo e di evoluzione avvenuta negli ultimi cento anni, hanno avuto l’opportunità di studiare, di manifestare il loro talento dando vita a un vivaio di creativi di indiscusso talento che possono dare il proprio personale punto di vista sul loro paese, questa volta però dal suo interno. Ben Enwonwu è considerato un pioniere dell’arte africana moderna, si scontrò con le resistenze del Regno Unito degli anni Quaranta del Novecento ma poi riuscì a raggiungere il successo planetario grazie alle sue opere in cui l’Espressionismo si mescola indissolubilmente alla cultura nera, alle tradizioni, all’abbigliamento delle regali e autorevoli donne e alle ambientazioni della sua terra; Chéri Samba, le cui opere sono presenti nei musei più importanti del mondo come il Centre Pompidou di Parigi e il Moma di New York, che con il suo Surrealismo racconta le difficoltà vissute dal suo popolo, le sottomissioni a cui tutta l’Africa è stata sottoposta, le guerre civili che hanno trasformato i bambini in soldati ma anche la quotidianità variopinta delle loro città. E poi il Naif di Chéri Chérin, più allegro e apparentemente leggero eppure in grado comunque di portare alla luce e denunciare temi sociali legati allo sfruttamento e alla povertà a cui da sempre è soggetta la sua nazione. Il ghanese Kojo Marfo appartiene alla nuova generazione di artisti africani e unisce la tradizione e il fascino delle raffigurazioni della sua terra a uno stile in cui l’Espressionismo si armonizza al Cubismo, forse per rendere omaggio a Pablo Picasso che per primo fece conoscere universalmente la bellezza dell’arte tribale, o forse perché la sua inclinazione espressiva è quella di filtrare con la leggerezza i temi sociali che ama trattare, o meglio nascondere, nelle sue colorate e vivaci opere.

celebration of perfection
1 Celebration of perfection – acrilico su tela, 186x167cm

La gamma cromatica è esuberante, piena, costituita da colori che infondono nell’osservatore una sensazione di positività e che divengono attrattivi per lo sguardo, ma poi conducono verso un approfondimento nei confronti degli usi e dei costumi del popolo ghanese in virtù delle rappresentazioni iconografiche dei volti dei personaggi, spesso riconducibili alle maschere utilizzate nelle danze e nei riti religiosi, enfatizzandone l’importanza nella cultura africana.

the spark of life
2 The spark of life – acrilico su tela, 196×170,5cm

La fonte di ispirazione pittorica di Kojo Marfo sono i manufatti tradizionali Akan, di cui riprende i volti rotondi e i copricapo decorati con fiori, attraverso i quali conduce nel mondo variopinto e allegro del suo paese evidenziandone le abitudini quotidiane, la presenza costante degli animali per sottolineare la convivenza essenziale e rispettosa con la natura, i simboli della religione e delle credenze animiste che appartengono al tessuto sociale e che regolamentano la morale.

defended honour
3 Defended honour – acrilico su tela, 160x160cm

Defended honour racconta proprio di quest’ultimo tipo di approccio, dove le due donne si mostrano con tutta la loro spontaneità solenne, in posa per un osservatore che desidera scoprire le sfaccettature di quei ritratti in cui protagonista è anche il teschio posto sul piccolo mobile e adornato di perle; il simbolo del teschio nella cultura africana, ma anche in quella sudamericana, rappresenta la rinascita, il ritorno alle origini ancestrali, la riflessione sull’eternità dell’anima che trascende il corpo, dunque le due donne lo tengono in bella vista proprio per sottolineare la rilevanza che riveste nel loro approccio all’esistenza. Kojo Marfo concentra la sua attenzione su tutto ciò che appartiene alla tradizione del suo popolo, l’adornarsi delle donne, gli immancabili fiori, la gamma cromatica vivace degli abiti e la presenza costante dei bambini che rappresentano il punto focale della vita africana, sono la conseguenza naturale dell’unione tra uomo e donna, opportunità e speranza di scrivere un futuro migliore in cui la nazione potrà prendere in mano il proprio destino e combattere l’indigenza e la povertà ancora troppo predominanti.

don't cry out loud
4 Don’t cry out loud – acrilico su cartone, 80x59cm

In Don’t cry out loud l’artista cita le strisce verticali colorate di Ian Davenport ma le riconduce al suo stile pittorico, inserendole all’interno di un contesto in cui è evidente la costrizione a cui sono sottoposte quelle donne, poiché gli viene impedito di parlare, o di piangere come suggerito dal titolo, attraverso l’evidente x nera posta sulle loro bocche; in questo caso la forte critica di Kojo Marfo, residente a Londra, è nei confronti di una cultura ghanese ancora troppo misogina, patriarcale, in cui la donna ha un ruolo marginale nella società e anche all’interno della famiglia dove è letteralmente sottomessa al proprio uomo. Dunque l’opera è una sottile esortazione al suo popolo a evolversi, a superare ciò che causa sofferenza e arretratezza ma mantenendo ciò che invece è positivo, molto più di alcuni eccessi della società occidentale, cercando dunque un modo per valorizzare la bellezza, i colori, l’amore e il contatto con la natura ma lasciando andare le credenze limitanti che sono retaggio del passato e che impediscono di migliorare le condizioni di vita.

the missin girl
5 The missing girl and the prince – acrilico su tavola, 120x120cm

The missing girl and the prince mostra invece un’attitudine più tribale in cui emerge una sottile rappresentazione cubista e che al contempo non può fare a meno di ricordare la stilizzazione e i volti deformati delle grandi tele di Jean-Michel Basquiat; qui all’immagine antropomorfa viene attribuita un’identità spirituale, animista, ma al contempo viene celebrata la vita nella savana, quell’habitat che è il panorama naturale per il popolo africano ed essenziale anche per l’approvvigionamento di cibo. Eppure i due animali, ipoteticamente una giraffa e una iena, sono rappresentati come divinità, come se agli occhi di Kojo Marfo la bellezza di quel mondo selvaggio dovesse semplicemente essere celebrato e considerato come un dono.

wings of hope
6 Wings of hope – acrilico su cartone, 58x78cm

La stilizzazione dell’artista dunque attinge ad altri stili pittorici personalizzandoli, adattandoli e rendendoli vere e proprie citazioni, come nel caso del Cubismo evidente in particolar modo nei bambini, spesso rappresentati con teste poste in orizzontale, nei volti stilizzati e simili a maschere, e nella raffigurazione sullo stesso piano visivo dei diversi lati del viso.

gatekeepers
7 Gatekeepers – acrilico su tela, 185x160cm

Il lavoro di Kojo Marfo si propone di far conoscere l’immensa ricchezza delle rappresentazioni tradizionali del popolo africano troppo spesso mancante nel panorama artistico internazionale; l’artista è rappresentato dalle maggiori gallerie internazionali, ha esposto le sue opere in importanti musei come il Kunsthal KadE, nei Paesi Bassi, e le sue opere sono regolarmente battute all’asta.

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The unconventional representations of Africa in Kojo Marfo’s Neo-Cubist Expressionism, between tradition and contemporaneity

In today’s globalised and transversal world, one is often confronted with the evidence of the cognitive shortcomings that a culture narrated predominantly from one part of the world has left in its approach to traditions and artistic riches representative of many peoples, who now finally have the opportunity to make their voices heard, highlighting all that had previously been overlooked because it belonged too much to local customs and traditions to be fully explored from the outside. Precisely thanks to the possibilities of cosmopolitanism, to the possibility of travelling with greater ease, to the opportunities given to talents from all over the world, it is possible to have a different point of view because it comes from within, from those who were born and grew up in those cultures, breathing every single aspect of them. Today’s protagonist dedicates his entire artistic production to bringing the world to explore and reflect on the richness and beauty of his continent of origin, of which he reveals more traditional aspects brought up to date with the priority themes of contemporary society.

Between the end of the 19th century and the beginning of the 20th century, many artists, also encouraged by the shorter travel time to distant countries, began to take an interest in the iconographies and representations of Africa’s tribal civilisations, even drawing inspiration from them to develop their own painting and sculptural styles. This trend took the name Primitivism and was also extended to the uses and customs of the aboriginal peoples of Australia and New Zealand, but it was Africa that left a very deep and evident trace in the faces of the characters in Pablo Picasso‘s artworks, forming the basis from which his Cubism was in fact born, or in the enigmatic and algid women of the Expressionism of Amedeo Modigliani, who took precisely the stylised features of African masks to outline their facial contours. Despite the attention and relevance that those indigenous representations had on two of the major movements of the early 20th century, no author would ever be able to show a truly in-depth knowledge of all the facets of traditions passed down verbally from generation to generation, of the spiritual aspects of cultures too different to be explored in their entirety. It took many, too many years before began to emerge the pictorial and sculptural voices of artists from Africa, who thanks to the path of enfranchisement from colonialism and the evolution that has taken place over the last hundred years, have had the opportunity to study, to manifest their talents, giving rise to a breeding ground of unquestionably talented creatives who can give their own personal viewpoint on their country, this time however from within.

Ben Enwonwu is considered to be a pioneer of modern African art, he met with resistance from the United Kingdom in the 1940s but then managed to achieve worldwide success thanks to his works in which Expressionism is inextricably mixed with black culture, traditions, the clothing of royal and influential women and the settings of his land; Chéri Samba, whose paintings can be found in the world’s most important museums such as the Centre Pompidou in Paris and the Moma in New York, who with his Surrealism recounts the hardships experienced by his people, the subjugation to which the whole of Africa was subjected, the civil wars that turned children into soldiers, but also the colourful everyday life of their cities. And then there is Chéri Chérin‘s Naif, more cheerful and apparently light-hearted yet still able to bring to light and denounce social issues linked to the exploitation and poverty to which his nation has always been subjected. The Ghanaian Kojo Marfo belongs to the new generation of African artists and combines the tradition and charm of the depictions of his land with a style in which Expressionism harmonises with Cubism, perhaps to pay homage to Pablo Picasso who first made the beauty of tribal art known universally, or perhaps because his expressive inclination is to lightly filter the social themes he likes to deal with, or rather conceal, in his colourful and lively artworks.

The chromatic range is exuberant, full, made up of colours that infuse the observer with a feeling of positivity and that become attractive to the eye, but then lead towards a deeper understanding of the customs and traditions of the Ghanaian people by virtue of the iconographic representations of the characters’ faces, often referable to the masks used in dances and religious rituals, emphasising their importance in African culture. Kojo Marfo‘s source of pictorial inspiration are the traditional Akan artefacts, whose round faces and flower-decorated headgear he uses to lead into the colourful and cheerful world of his country, highlighting its daily habits, the constant presence of animals to emphasise the essential and respectful coexistence with nature, the symbols of religion and animist beliefs that belong to the social fabric and regulate morality. Defended honour tells precisely of this latter approach, where the two women show themselves with all their solemn spontaneity, posing for an observer who wishes to discover the facets of those portraits in which the protagonist is also the skull placed on the small piece of furniture and adorned with pearls; the symbol of the skull in African culture, but also in South American culture, represents rebirth, the return to ancestral origins, reflection on the eternity of the soul that transcends the body, so the two women keep it in plain sight precisely to emphasise its relevance in their approach to existence.

Kojo Marfo focuses his attention on everything that belongs to the tradition of his people, the adornment of the women, the ever-present flowers, the lively colour palette of the clothes and the constant presence of the children who represent the focal point of African life, are the natural consequence of the union between man and woman, the opportunity and the hope of writing a better future in which the nation will be able to take its destiny into its own hands and fight the destitution and poverty that are still too predominant. In Don’t cry out loud, the artist cites Ian Davenport‘s coloured vertical stripes, but relates them to his pictorial style, placing them within a context in which is evidente the constraint to which these women are subjected, as they are prevented from speaking, or crying as the title suggests, through the obvious black x placed over their mouths; in this case, London resident Kojo Marfo‘s strong criticism is of a Ghanaian culture that is still too misogynistic, patriarchal, where women have a marginal role in society and also within the family where they are literally subservient to their men. Therefore, the work is a subtle exhortation to its people to evolve, to overcome what causes suffering and backwardness but maintaining what is instead positive, much more so than some of the excesses of Western society, thus seeking a way to value beauty, colours, love and contact with nature but letting go of limiting beliefs that are legacies of the past and that prevent better living conditions.

The missing girl and the prince, on the other hand, shows a more tribal attitude in which emergese a subtle cubist representation and which at the same time cannot help but recall the stylisation and deformed faces of Jean-Michel Basquiat‘s large canvases; here the anthropomorphic image is given a spiritual, animist identity, but at the same time is celebrated life in the savannah, that habitat which is the natural landscape for the African people and also essential for the supply of food. Yet the two animals, hypothetically a giraffe and a hyena, are represented as deities, as if in Kojo Marfo‘s eyes the beauty of that wild world should simply be celebrated and considered as a gift. The artist’s stylisation therefore draws on other pictorial styles, personalising them, adapting them and making them true quotations, as in the case of Cubism, evident particularly in the children, often represented with heads placed horizontally, in the stylised, mask-like faces, and in the depiction of the different sides of the face on the same visual plane. Kojo Marfo‘s work aims to make known the immense wealth of traditional representations of the African people that is too often missing from the international art scene. The artist is represented by major international galleries, has exhibited his artworks in important museums such as the Kunsthal KadE, in the Netherlands, and his works are regularly auctioned.